La chiusura del ciclo di carbonio antropogenico
La chiusura del ciclo di carbonio antropogenico
Una strategia industriale integrata per un futuro sostenibile
Di Luigi Antonio Pezone
Introduzione
Il pianeta si trova di fronte a crescenti segni di ecocidio globale a causa di una tempesta perfetta di fattori ecologici, energetici ed economici correlati. Il riscaldamento globale antropogenico (AGW) è la più grande minaccia, innescando altri effetti a catena di degrado dell’ecosistema come l’acidificazione degli oceani, una croososfera che si scioglie che minaccia di rilasciare enormi quantità di CO2 e metano intrappolati, l’innalzamento del livello del mare da una Groenlandia e l’Antartide che si sciolgono, terrestri perdita di biodiversità, perdita di biodiversità oceanica e molti altri.
Mentre scienziati, ingegneri, tecnologi, ambientalisti, ecologi, politici ed economisti si danno da fare per trovare soluzioni per la complessa matrice di problemi in una finestra temporale sempre più ridotta, si teme che la lunga storia dell’incapacità di raggiungere il consenso internazionale. con conseguenti fallimenti politici come il Protocollo di Kyoto, insieme a testarde e continue resistenze dell’industria dei combustibili fossili, possono ritardare soluzioni scalabili fino a quando non sono troppo tardi.
È in questa atmosfera di incertezza che un designer industriale italiano offre una soluzione scalabile e completa che si basa su noti principi scientifici.
Il designer industriale italiano Luigi Antonio Pezone ha lavorato come designer industriale per molti decenni, progettando e costruendo una varietà di diversi impianti industriali che vanno dal settore automobilistico al trattamento delle acque e delle fognature nel suo paese d’origine in Italia. Da decenni di esperienza pratica con i sistemi biologici a circuito chiuso, Pezone è giunto alla conclusione che i nostri sistemi ingegnerizzati di trattamento dell’energia e dei rifiuti sono fondamentalmente imperfetti nella loro progettazione di base. Pezone prende spunto dalla natura e applica la metodologia, la biomimetica e i sistemi di progettazione da culla a culla pensando di sviluppare cicli di carbonio antropogenico a circuito chiuso che ricicla la CO2 come cibo in altri processi industriali. Non riuscendo ad adottare i cicli a ciclo chiuso della natura nel nostro progetto del sistema industriale, trattiamo la CO2 come rifiuto creando in tal modo RISCALDAMENTO GLOBALE PERICOLOSO che sta minacciando la civiltà umana.
In questo libro, l’autore propone un nuovo design di sistema che revisionerebbe l’attuale sistema industriale lineare a circuito aperto chiudendo il ciclo del carbonio antropogenico sulla terra. Per comprendere la soluzione, è necessario un cambio di paradigma che vede lo spreco come cibo.
Questo libro mostra che è possibile combattere il riscaldamento globale e allo stesso tempo risparmiare risorse naturali, raddoppiando il potenziale occupazionale del pianeta per mezzo di opere pubbliche che adeguano gli impianti di generazione termoelettrica esistenti per chiudere il ciclo del carbonio antropogenico. Queste modifiche ci consentiranno di utilizzare le emissioni di combustibili fossili e altri tipi di rifiuti insieme alla biomassa terrestre e acquatica per produrre energia pulita purificando l’aria e alcalinizzando grandi flussi d’acqua che ridurranno l’acidificazione degli oceani mentre sfocia negli oceani e nei laghi acidificati contemporaneamente.
Modificando questa progettazione del sistema con una variazione si può provocare la desalinizzazione dell’acqua di mare, risolvendo la crisi della scarsità d’acqua dolce. L’immensa quantità di compost prodotta dall’ambiente di queste fabbriche servirà a concimare le molte terre sterili, in costante aumento. I grandi accumuli di acqua ottenibili in queste fabbriche verticali, paralleli ai flussi naturali, saranno il miglior sistema di difesa attiva contro i pericoli di alluvioni e siccità estive.
Gli effetti collaterali involontari delle centrali termiche e degli impianti di trattamento delle acque di oggi sono danni all’ambiente, all’economia e all’occupazione. Questo libro delinea una soluzione a questi difficili problemi. È generalmente rivolto a coloro che desiderano una migliore comprensione dei problemi ambientali, e in particolare a coloro che sono coinvolti nel trattamento delle acque, nella depurazione dell’aria e nella produzione di energia, che in futuro dovranno unirsi per realizzare un sistema sinergico comune che elimini le emissioni di CO2. Vengono forniti numerosi esempi di progetti concreti per impianti futuri di energia, trattamento delle acque e depurazione dell’aria urbana, insieme a disegni tecnici dettagliati completi. Esistono persino calcoli che dimostrano, inequivocabilmente, che gli sprechi dovuti a tecniche di pulizia errate sono più dannosi delle scelte politiche sbagliate.
Oggi, i politici che hanno gravi colpe. Ma questo libro mostra che anche in questo caso, i difetti sono più privi di immaginazione tecnica, anche oggi, insensibili alle sinergie tecnologiche in questo libro. I politici sono sconsigliati. Il problema del lavoro viene risolto con l’industrializzazione della protezione ambientale. Ciò equivarrebbe a una seconda rivoluzione industriale in soccorso della prima. Il potenziale occupazionale non sarà molto inferiore.
Prefazione.
Ho anticipato nel titolo e sottotitoli le conclusioni alle quali sono arrivato dopo aver studiato e proposto, inutilmente, agli addetti ai lavori (a partire dal Ministero dell’ambiente, regioni, enti pubblici dell’ambiente, dell’energia e anche imprenditori) un modo diverso di proteggere l’ambiente. Mi sono ispirato principalmente ai concetti fondamentali della biologia e del ciclo naturale del carbonio che non vengono rispettati negli impianti di depurazione dell’ambiente e in quelli che producono energia. Questi impianti non sono in grado di chiudere il ciclo del carbonio, che deve essere chiuso sulla terra, prima di emettere il CO2 nell’atmosfera, per molte ragioni. Soprattutto, perché non non sono stati progettati con i criteri della depurazione globale, che deve proteggere contemporaneamente l’acqua e l’aria, vicine e lontane. Inoltre, i progettisti non si sono avvalsi delle sinergie che nel mondo industriale, hanno consentito l’aumento dei rendimenti produttivi. La modifica dei sistemi depurativi, il recupero del calore del CO2 dei settori energetici tradizionali, un maggiore coinvolgimento del territorio e l’ingresso in questi settori delle automazioni dei trasporti tecnici industriali, moltiplicheranno le capacità di difesa dell’ambiente di centinaia di volte rispetto a quelle attuali. Sarà l’industrializzazione della protezione dell’ambiente, senza la quale, ormai, non possiamo più andare avanti.
La nuova protezione ambientale deve partire dal sistema fognario. Oggi i liquami sono costretti a percorrere chilometri in un ambienti privi di aria dove si sviluppano i batteri che decomponendo la materia sviluppano gas come l’ idrogeno solforato, anidrite carbonica, metano. Sviluppano anche acido solforico, solfidrico,ecc.. Arrivano ai depuratori in condizioni settiche, degenerati più dal percorso fognario che dalle sostanze inquinanti originarie. Quando, i liquami, finalmente, arrivano ai depuratori per prima cosa si procede a dare l’ossigeno inutilmente sottratto, con un enorme dispendio di energia e lo si fa nel peggiore dei modi, in vasche scoperte. L’ossidazione, è il principale trattamento depurativo delle acque, come la combustione, produce CO2. Questo CO2, si aggiunge nell’atmosfera a quello prodotto dagli impianti termici, industriali, a quello emesso dai mezzi di trasporto ecc.. Essendo, il CO2, già sovrabbondante, una parte resta nell’atmosfera e un’altra sovralimenta le acque oceaniche e la superficie terrestre. Ma i danni maggiori li produce nelle acque. Il CO2 essendo un nutriente, insieme agli altri nutrienti indesiderati, sviluppa la produzione di piante acquatiche e alghe che decomponendosi, precipitano nei fondali, consumando l’ossigeno. Non essendo possibile estrarre i fanghi prodotti nei fondali, lentamente i corpi idrici, compresi gli oceani, consumando l’ossigeno incominciano a fossilizzare i sedimenti espellendo il CO2 e successivamente anche il metano. I corpi idrici da assorbitori, si trasformano o si trasformeranno in emettitori, di gas serra. Con l’aumento della temperatura anche gli alberi della terra da assorbitori si trasformeranno in emittitori di CO2, come è gia successo in alcuni paesi, nelle estati particolarmente calde. In questo libro, tra le altre cose, propongo due diversi modi di ossidare le acque, assorbendo CO2, non emettendolo nell’atmosfera e alcalinizzando le acque, non acidificandole; contribuendo a produrre energia, non assorbendola soltanto.
Se il sistema fognario separasse all’origine le sostanze putrescibili in moduli depurativi verticali (http://media.teknoring.it/file/news/depuratori.pdf) e i depuratori che conosciamo, fossero sostituiti da fabbricati serra sviluppati in verticale, questi potrebbero stare nelle città, risparmiando molti chilometri di fogne e depurare l’aria, oltre che l’acqua. In questi fabbricati che chiamo fabbricati sinergici verticali (F,S.V), attraverso due diversi e paralleli percorsi fognari, si convoglierebbero le acque e l’aria inquinata che si depurerebbero salendo verso l’alto in percorsi comuni e separati. (http://ebookbrowse.com/la-depurazione-globale-nelle-citt%C3%83%C2%A0-doc-d152379508).
La depurazione delle acque non si baserebbe su alti carichi inquinanti e basse portate, ma su alte portate e bassi carichi organici. I depuratori non assorbirebbero energia ma contribuirebbero a produrla. Si baserebbero, principalmente, sulla fotosintesi che si svolgerebbe in stagni biologici sovrapposti che consumano i nutrienti presenti nelle acque e il CO2 presente nell’aria producendo piante acquatiche galleggianti (tipo lemma o azolla), che quando muoiono precipitano e vengono estratte dai fondali per essere inviate a digestori che le utilizzano per produrre energia. L’acqua, man mano, che salirebbe verso l’alto diventerebbe sempre più pura e priva di sali. Potrebbe arricchirsi di carbonati, consumando il CO2, scendendo di nuovo sulla terra, passando attraverso le serre calcaree che sarebbero affiancate a quelle fotosintiche.
La depurazione dei fumi e smog urbani avverrebbe facendoli risalire nell’atmosfera attraversando serre calcaree automatizzate, nelle quali quali avverrebbe anche l’ossidazione e l’alcalinizzazione delle acque (la superficie reagente aumenterebbe di centinaia, se non migliaia, di volte rispetto al noto fenomeno del carsismo e anche la solubilità del CO2 in acqua aumenterebbe di decine di volte, andando ad occupare spazi che, al di fuori delle serre, alla stessa pressione atmosferica, sono occupati da azoto e ossigeno, in base alla legge di Henry). Essendo le serre sottratte all’azione degli agenti atmosferici, si verifica una stratificazione dei gas in base al proprio peso specifico, e il CO2,che è il più pesante, (1,5 volte più pesante dell’aria), si trattiene di più nella serra, aumentando la propria concentrazione e la propria pressione relativa (leggi di Dalton ed Einstein). Essendo moderatamente acido, il CO2 corroderà rocce e calcestruzzi di demolizione, estraendo dagli stessi il calcio che renderà alcaline le acque che, uscite dagli impianti, andranno a contrastare l’acidificazione dei laghi e dei mari. L’automazione industriale consentirà di movimentare e immagazzinare, rinnovare, automaticamente le rocce i detriti calcarei nelle serre per estrarre gli ioni calcio, senza ricorrere all’attuale riscaldamento delle rocce che comporta emissioni di CO2.
Considerando che le centrali termoelettriche producono grandi quantità di CO2 che viene espulso nell’atmosfera attraverso le ciminiere e che vengono attraversate da grandi quantità di acque per raffreddare i condensatori del vapore che fa girare le turbine e gli alternatori, sarà soprattutto, dove si produce energia bisogna intervenire per recuperare il CO2 e il calore sprecato. I vantaggi saranno enormi ai fini ambientali ed economici.
Innanzitutto è necessario modificare le ciminiere che non devono espellere i fumi, ma solo agevolare il raffreddamento degli stessi, facendoli salire ugualmente verso l’alto, ma richiamandoli verso il basso una volta raggiunta la sommità. I fumi passerebbero attraverso filtri elettrostatici e scambiatori di calore. Dopo sarebbero convogliandoli nelle serre calcaree meccanizzate, sopra accennate. Queste ciminiere le ho chiamate C.R.D. (raffreddamento e depurazione). Il calore contenuto nelle acque di raffreddamento delle centrali termoelettriche può essere usato per riscaldare digestori anaerobici di dimensioni enormi. Considerando che il rendimento delle centrali termoelettriche è appena il 40 % rispetto al potere calorifero del combustibile, il 60 % è disperso in calore. In questi digestori riscaldati dalle stesse acque prodotte dalle centrali termoelettriche, potremmo digerire di tutto, con alti o bassi rendimenti, secondo la qualità delle matrici energetiche che utilizzeremo. Il biogas che produrremo attraverso questi digestori, sarà di qualità superiore a quello prodotto dagli altri digestori. Questo, essendo composto per circa il 70 % di metano, il 28% di CO2, può essere impoverito dalla percentuale di CO2 aspirando quest’ultimo dalla superficie del liquame in digestione e trasferendolo alla serra calcarea. Potremmo arrivare a produrre un biogas che si avvicina moltissimo al potere calorifero del metano. Questo biogas, accumulato in gasometri e filtrato andrà ad alimentare gli stessi bruciatori della centrale termica se questa usa combustibili leggeri, altrimenti, lo potremmo mettere in rete per alimentare i centri urbani o alimentare un’altra centrale termoelettrica, che, ugualmente, produrrebbe energia pulita e acque depurate e alcalinizzate. Non ho finito. Le acque calde che usciranno dai digestori, saranno ancora abbastanza calde per riscaldare delle serre di produzione foto sintetiche che, sempre in verticale, potranno produrre biomasse energetiche e alimentari, aspirando, filtrando, consumando altro CO2, proveniente dalle serre calcaree adiacenti, oltre che depurare le acque che salgono verso l’alto.
Ovviamente, le biomasse energetiche, insieme a quelle provenienti dal territorio saranno digerite nei digestori. Ma i digestori non produrranno soltanto biogas. Produrranno del materiale digestato solido e liquido. Il digestato solido sarà compostato aerobicamente e disidratato per completarne l’igienizzazione. Successivamente, sarà insaccato per essere commercializzato come concime agricolo. Queste operazioni potranno effettuarsi in processi automatizzati, in altre sezioni poste al di sopra dei digestori. I fabbricati dove si realizzano tutte queste operazioni li ho chiamati “digestori disidratatori compostatori lineari” (D.D.C.L.) sviluppandosi linearmente e parallelamente ai F.S.V.. Il digestato liquido prodotto da questi fabbricati verrà trasferito in un bacino di ossidazione coperto, dal quale viene gradualmente sollevato agli stagni biologici per produrre di nuovo biomasse energetiche in un ciclo infinito.
Essendo grandissime le quantità di CO2 prodotte dalle centrali termoelettriche (circa il 10% in peso dei fumi) per procedere alla neutralizzazione, oltre alle acque di raffreddamento, è necessario coinvolgere, anche altre acque. Ma questo sarà un bene poiché potremmo inviare molti più carbonati verso i mari e i laghi per combattere il riscaldamento globale. Questa è in poche parole l’energia protettiva dell’ambiente che potrebbe nascere dal recupero del CO2 e del calore sprecato. L’energia semplicemente pulita è superata. Neanche l’idrogeno quando diventerà un propellente potrà fare tanto per l’ambiente.
L’aspetto negativo è dovuto al fatto che i depuratori per come sono stati concepiti non possono essere recuperati in questi processi virtuosi, mentre le centrali termoelettriche solo in pochi casi si possono recuperare, poiché i F.S.V., in particolare, richiedono volumi molto grandi. Possiamo stimare che l’ingombro in pianta di una centrale termoelettrica triplicherebbe, pur sviluppandosi in altezza per almeno una cinquantina di metri. Non ci dobbiamo spaventare. Se la stessa quantità di CO2 la dovessero assorbire gli alberi occorrerebbero ingombri quindicimila volte superiori, ma questi, non potrebbero depurare e alcalinizzare le acque. Pertanto, le grandi centrali produrrebbero anche grandi impatti ambientali. La colpa non è della pulizia dell’energia e dell’alcalinizzazione delle acque, ma dei progettisti del passato e del presente che hanno progettato centrali che producono migliaia di MWh, e non hanno pensato al valore aggiunto che avrebbero avuto i loro impianti se li avessero realizzati di minore potenza ma producendo, anche dal carbone, quella che definisco “energia protettiva dell’ambiente”. Purtroppo, oggi, le centrali dovranno essere ridimensionate e distribuite diversamente sul territorio. Ma i vantaggi saranno enormi per l’economia e l’occupazione, poiché questo tipo di energia produrrà molte attività indotte in tutti i settori, sia per la realizzazione delle infrastrutture, sia per approvvigionare le materie prime necessarie alle serre calcaree e ai digestori, sia per l’indotto prodotto nell’automazione industriale mondiale. Ma come i digestori potranno essere alimentati con rifiuti, anche le serre calcaree potranno essere alimentate con calcestruzzi di demolizione depurati da intonaci e vernici, che contengono oltre il 60% di ossido di calcio. Beneficerà di questi processi anche l’industria meccanica che dovrà fornire oltre ai sistemi di trasporto e immagazzinamento, anche quelli per le lavorazioni meccaniche del terreno riportato nelle serre foto sintetiche verticali che non potranno utilizzare gli attuali sistemi di lavorazione che si usano in campo aperto, che creano ferite profonde che inquinano le falde. Anzi le acque irrigue non arriveranno alle falde, essendo continuamente riciclate. Ne beneficerà anche l’agricoltura in campo, che beneficerà del compost prodotto per rifertilizzare in modo sostenibile i terreni aridi. Ma attraverso questi impianti “termo depurativi” potremo desalinizzare in modo sostenibile anche grandi quantità di acque saline e salmastre, che saranno usate per l’irrigazione dei campi. Anche la desalinizzazione avverrebbe grazie all’automazione industriale: facendo circolare nei bassi stagni biologici, meccanicamente, una grande quantità di cestelli contenenti resine ioniche per aumentare le capacità di addolcimento praticata in superficie dalla fotosintesi.
Ma i fabbricati serra non si propongono di essere soltanto dei desalinizzatori, depuratori dell’acqua e dell’aria in un contesto urbano e abbinati alle centrali termoelettriche. Saranno, anche, un grande sistema di prevenzione ambientale, accumulando in verticale le acque. Tenendo pulite e al secco fogne e piccoli corsi di acqua, quindi prevenendo fenomeni alluvionali. I depuratori attuali sversano acque degenerate con l’avvento delle prime piogge, non avendo la capacità di trattarle, né dove accumularle. Ma esistono anche contesti extra urbani, che non sono mai stati affrontati nel modo giusto. Le acque agricole, da sempre colpevoli per l’inquinamento che producono alle falde e ai corpi idrici potrebbero essere convogliate in grandi quantità in questi fabbricati. I F.S.V. le depurerebbero accumulando riserve idriche fuori dal percorso naturale delle acque per prevenire disastri alluvionali e fabbisogni nei periodi di siccità. Anche gli impianti termici industriali, i cementifici, gli impianti siderurgici, da soli non sono in grado di chiudere il ciclo del carbonio. Anche a questi impianti deve essere abbinata, almeno, una ciminiera C.R.D., un fabbricato F.S.V., un fabbricato D.D.C.L., un gasometro. Tutti insieme diventeranno un unico impianto che ho chiamato di “Depurcogeproduzione Termoelettrica Coperta Globale” ( D.C.P.T.C.G).
Sono Onorato che la Pressenza international agency, partendo da un articolo che riporta, più o meno, quanto sopra scritto, inviti altri autori a proporre articoli sugli argomenti sollevati dal sottoscritto (http://www.pressenza.com/it/2012/12/la-politica-depurativa-sbagliata/ ). Sono anche convinto che nessuno interverrà. Chi acquisisce competenze in questo settore lo fa al servizio del sistema vigente. Anche se arriva alle mie stesse conclusioni non può parlare, a meno che non sia un cane sciolto o un innocuo pensionato. Sono arrivato alla conclusione che solo portando tra la gente progetti alternativi dettagliati si può fare qualche passo avanti per tutelare la qualità della vita dei nostri figli. Probabilmente, sono la sola persona al mondo che si è esposta al ridicolo dichiarandosi un “inventore ambientale”, nonostante sia stato snobbato da politici, imprenditori e persino dalle associazioni ambientali. Quello che non hanno compreso questi signori è che se sono entrato in “facebook”, scritto articoli, pubblicato inutili progetti e brevetti, infine, questo libro, l’ho fatto per mettere in discussione tutti coloro che hanno delle responsabilità, in questo settore. Non c’è un solo impianto sulla faccia della terra che chiude correttamente il ciclo del carbonio antropico: consumando il CO2, senza emetterlo nell’atmosfera e inviando carbonati ai mari. Come sopra detto anche i depuratori lavorano per il riscaldamento globale.
C’è la crisi occupazionale mondiale. Paradossalmente, per sviste collettive delle classi dirigenti, tecniche e politiche, del passato e del presente, il settore più importante, quello che dovrebbe proteggere l’ambiente e le risorse, non ha fatto una sola assunzione, poiché non esiste. Come hanno fatto a sfuggire attività così importanti, che nel mondo intero, potrebbero occupare un miliardo di persone nelle attività dirette e indotte. Chiudere il ciclo del carbonio antropico non è uno scherzo. Richiede la collaborazione di tutti e moltissimi potranno trovare lavoro in quest’ardua impresa. I continui fallimenti dei vertici mondiali dimostrano che la politica depurativa, fino ad ora adottata, è completamente sbagliata. Posso sbagliarmi anch’io, per questo mi piacerebbe che qualcuno lo dimostrasse, senza sfuggire a un onesto confronto. E’ ora che i signori dell’ambiente scendano dal piedistallo e si confrontino anche con un semplice pensionato. Non mi piace che il mio lavoro, di progettista e inventore ambientale, sia giudicato in contumacia, soltanto da coloro che hanno portato l’ambiente nelle condizioni attuali. Non sono le industrie, ma chi ha progettato e legiferato sull’ambiente. Sono loro che hanno taciuto sugli articoli che ho pubblicato e cestinato progetti e brevetti. Questo libro, dovrebbe servire ad ampliare anche il collegio giudicante. Soprattutto, per diffondere una maggiore cultura sugli impianti di protezione dell’ambiente. Si deve uscire dagli slogan e confrontarsi apertamente sui progetti. Questa cultura non ce l’hanno nemmeno quelli del W.W.F., Legambiente, Green Peace. Dovrebbero organizzarsi per proporre nel dettaglio progettazioni alternative. Bisogna contestare lo stato dell’arte che è completamente nelle mani dei potenti. Mi piacerebbe che altre persone, se condividono quello che scrivo, traducessero questo libro nelle altre lingue. Possono anche cancellare il mio nome, purché si diffondano le soluzioni, che non sono uscite dai vertici, da Cancun a Doha, né dagli uffici pubblici, né dalle multinazionali e nemmeno dalle associazioni ambientali. Qualcuno ha voluto che nemmeno entrassero nei convegni dove si parla di ambiente. Fortunatamente, Internet, prima o poi farà giustizia. Se ho ragione, grazie alla depurazione globale e dell’energia che protegge l’ambiente, l’atmosfera e i mari si potranno risanare. Prima partiamo, meglio sarà. Moltissimi giovani potranno trovare lavoro. Considerando i silenzi ricevuti, vengono i brividi a pensare a quante buone idee siano state insabbiate in passato, quando la rete non esisteva. Con le ultime invenzioni ho concluso il mio percorso creativo, portando anche l’automazione industriale nel mondo dell’ambiente e dell’energia. Probabilmente se qualcuno mi avesse pagato per progettare la “Depurazione globale e l’energia protettiva dell’ambiente” non avrei accettato, non ritenendomi all’altezza. Tutto sommato, devo ringraziare i signori dell’ambiente. I loro silenzi mi hanno fatto comprendere che il meglio di me stesso lo potevo ancora dare. Tutti noi, possiamo dare il massimo quando nessuno si aspetta niente. Ho gettato un seme che mi è costato sei anni di lavoro, oltre i trentasette anni di lavoro precedenti, come progettista e tecnico installatore d’impianti industriali e ambientali. Il resto lo deve fare la gente comune. Deve pretendere dei pubblici dibattiti su questi argomenti, non basati su slogan, ma su progetti concreti. Gli addetti ai lavori e la gente comune devono comprendere che i singoli impianti, che da soli, non sono mai riusciti e non possono chiudere il ciclo del carbonio antropico. Occorrono opere strutturali che coinvolgano l’intero territorio. Nell’ambiente tutto è collegato. C’è bisogno anche delle macchine, ma non solo di quelle. Che cosa credono di concludere gli addetti ai lavori descrivendo brillantemente in libri e convegni, dettagli insignificanti sui bilanciamenti di massa degli impianti a fanghi attivi, se non vedono quello che c’è a monte, a valle, sotto e sopra agli impianti di cui parlano. A monte, c’è la degenerazione fognaria che triplica il lavoro da fare. A valle, ci sono i corpi idrici e il mare che gradirebbero acqua depurata e alcalinizzata. Invece, bene che vada, ricevono acqua acida, altrimenti, sversamenti non trattati. Sotto, ci sono le falde acquifere che risentono delle infiltrazioni di metalli pesanti, nitrati e pesticidi di grandi quantità di acque che non passano nemmeno per i depuratori, già inadeguati. Sopra c’è atmosfera che riceve le emissioni d’idrogeno solforato e CO2 di vasche a cielo aperto che non hanno mai pensato di coprire. Oggi hanno incominciato a farlo, ma non per consumare nelle acque il CO2, né per aumentare il rendimento depurativo, come insegnano le leggi di Lavoisier, Dalton, Henry, la fotosintesi. Coprono gli impianti solo per non diffondere i cattivi odori che non dovrebbero fuoriuscire dagli impianti, con una corretta progettazione.
E le centrali termoelettriche, che fanno per difendersi dall’energia concorrente nucleare, eolica, solare? Cercano di diventare da inquinanti a insostenibili con il C.C.S., aumentando i costi e creando pericoli, non vedendo che il calore e il CO2,che sprecano da un secolo, potrebbero essere gli assi nella manica per produrre un’energia pulita, sostenibile e protettiva dell’ambiente.
Gli addetti ai lavori delle depurazioni e dell’energia non collaborano tra di loro, come potevano accorgersi dell’automazione industriale che potrebbe consentire la verticalizzazione, la semplificazione, e la moltiplicazione delle potenzialità protettive ed energetiche? Senza aumentare queste potenzialità, siamo indifesi contro l’inquinamento che noi stessi produciamo.
Ho scritto il libro perché non si può dialogare con chi non risponde.
Luigi Antonio Pezone
LA CHIUSURA DEL CICLO DEL CARBONIO ANTROPICO
INDICE
1) Riflessioni introduttive.
2) Riassunto delle soluzioni.
3) Le Specializzazioni, nemiche della depurazione globale.
4) Le prospettive degli impianti globali.
5) Il racket ambientale
6) L’ambiente e l’economia visti attraverso la D.C.P.T.C.G
7) La risorsa CO2 nell’ambito della D.C.P.T.C.G.
8) La produzione di biomasse nell’ambito della D.C.P.T.C.G.
9) La chiusura del ciclo del carbonio nella D.C.P.T.C.G
10) La protezione ambientale e la produzione energetica negli stessi impianti.
11) L’influenza della D.C.P.T.C.G. nella strategia delle risorse energetiche del futuro.
12) La natura insegna, ma l’uomo potrebbe fare meglio.
13) La fotosintesi nell’acqua.
14) Produttività primaria.
15) La carbonatazione a freddo delle rocce calcaree.
16) Esperienze preistoriche e la moderna automazione industriale in soccorso dell’ambiente e dell’energia pulita.
17) Anche i fumi possono costituire una risorsa ambientale.
18) I problemi delle siccità e le desertificazioni affrontati con la D.C.P.T.C.G
19) L’abbreviazione del ciclo del carbonio.
20) L’energia semplicemente pulita è già superata.
21) Gli sprechi tecnici superano ampiamente quelli politici.
Il problema sottovalutato del calore sprecato.
22) I grandi depuratori completi di cogenerazione sono superati.
23) La modifica delle grandi ciminiere inquinanti.
24) DIMENSIONAMENTO DI UN IMPIANTO DI DEPURCOGEPRODUZIONE COPERTO GLOBALE (D.C.P.T.C.G.).
Bacino di raccolta acque calde e canale coperto per acqua calda e fumi.
Il recupero del CO2 e del calore dei fumi.
Note generali sui fabbricati sinergici verticali (F.S.V.).
Fabbricati sinergici verticali (F.S.V.).
Fabbricati digestori, disidratatori, compostatori lineari (D.D.C.L.).
Tramogge di carico digestore e alimentazione disidratazione (D.D.C.L.).
Digestori lineari (D.D.C.L.).
Postazione mobile di selezione rifiuti e fanghi.
Disidratazione, stabilizzazione compostaggio dei fanghi (D.D.C.L.).
Gasometri.
25) Le stime dimensionali le allocazioni potenziali della D.C.P.T.C.G in Italia.
26) I costi della D.C.P.T.C.G.
27) Le proiezioni depurative della D.C.P.T.C.G in Italia.
28) L’economia del calcio e dell’acqua nei bacini e fabbricati serra coperti.
29) I brevetti e i disegni della D.C.P.T.C.G.
1) Riflessioni introduttive
Le Nazioni Unite, hanno stimato che la richiesta di risorse triplicherà entro il 2050 quando le popolazioni supereranno i nove miliardi se gli esseri umani continueranno a utilizzarle con il grado di efficienza attuale.
Molti scrittori, filosofi e ambientalisti (soprattutto all’estero: William Mc Donough, Michael Braungart) hanno individuato come ideale un’economia basata sulla filosofia Cradle-to-Cradle (dalla culla alla culla) assimilabile ai “rifiuti zero” di Paul Connet. Ritengono che sia l’unico modo che possa arginare il duplice problema: dell’ esaurimento delle risorse e dell’inquinamento che avanza a causa delle attività antropiche dell’uomo. Ma mentre il problema “rifiuti zero” si sta risolvendo a livello industriale, recuperando le materie e riconvertendole nell’industria, i problemi dell’inquinamento dell’acqua e dell’aria non accennano a essere risolti. Siamo ancora all’enunciazione dei principi. Come si dice: < tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare>. Chi scrive, che si occupato di questi impianti per tutta la vita, era arrivato alle stesse conclusioni per vie più pratiche degli scienziati e professori: osservando la dispersioni degli impianti ambientali ed energetici. L’inquinamento organico, non depurato, e il CO2 sono la principale fonte di eutrofizzazione dei laghi e dei mari, essendo anche dei potenti nutrienti. Al danno ambientale che provocano, si aggiunge la beffa del danno economico provocato dal basso rendimento degli impianti termoelettrici che non recuperano il calore che disperdono nelle acque e nei fumi. L’industria che dovrebbe recuperare l’inquinamento organico, inorganico e il calore, di fatto non esiste. Fogne, depuratori a cielo aperto, camini, ciminiere, fabbriche industriali, inceneritori, centrali termoelettriche, dovrebbero essere ampiati con nuove funzioni, oppure si dovrebbero creare delle opere strutturali che affianchino tutti gli impianti al fine di recuperare l’inquinamento, senza degenerarlo, per produrre nuova energia, restituire i nutrienti alla terra e i Sali ai mari (dalla culla alla culla). Purtroppo, per ottenere questi risultati, è tutto da rifare: fogne, depuratori, e centrali termoelettriche. I successi ottenuti dall’ndustria del riciclaggio dei rifiuti solidi potrebbero essere replicarti e moltiplicati per cento se si intervenisse in modo razionale contro l’inquinqmento globale. Moltissimi altri posti di lavoro saranno creati per il recupero delle altre risorse, che non possono essere raccolte per strada e trasportate ai centri di smistamento e fabbriche, ma hanno bisogno di opere strutturali e sinergiche, paragonabili ad autentiche e sofisticate fabbriche mai progettate dall’uomo. Queste grandi fabbriche produrranno non solo energia, ma anche alimentazione, protezione contro la siccità e la desertificazione. Andranno in soccorso della natura, non contro.
Purtroppo, sia le aziende pubbliche (università comprese), sia quelle private, hanno creato questo sistema, si sono nutrite e vivono dello stesso. Sarebbe impietoso dire che è tutto sbagliato. La tecnologia acquisita è preziosa per la ricostruzione. Ma il sistema attuale non funziona e non può funzionare. Gli inutili vertici ambientali, da Kioto a Doha, lo confermano.
Secondo una proiezione della Commissione europea sull’efficienza delle risorse la domanda di cibo, mangimi e fibre potrebbe aumentare fino 70% entro il 2050, ma il 60% degli ecosistemi più importanti del Mondo dai quali derivano queste risorse sono già stati degradati o vengono utilizzati in modo non sostenibile. Il 2012 ha segnato il record delle emissioni di CO2 nell’atmosfera di oltre 35 giga tonnellate, nonostante la crisi economica mondiale abbia frenato la produzione industriale in molti Paesi. Gli oceani procedono tranquillamente nel processo di acidificazione che ha superato il 35 % e i ghiacciai recedono a vista d’occhio. Mi colpì, in modo particolare, uno studio pubblicato su Nature (Ciais et al., 2005 http://www.wwf.it/client/render.aspx): mette in evidenza come, a causa dell’eccezionale rialzo delle temperature dei mesi di luglio e agosto del 2003 (in media più di 6°C rispetto ai valori medi del periodo), i boschi e le foreste europee, invece di funzionare come assorbitori di CO2 atmosferica abbiano funzionato come sorgenti, emettendo complessivamente circa 1,850 miliardi di tonnellate di CO2. Anche le riserve naturali e gli stagni biologici, basati su un’eutrofizzazione controllata, se non vengono tutelate e ripulite dalla produzione biologica in eccesso si rivolteranno contro l’ambiente. Tuttavia, nel 2012, le difese globali sono ancora affidate agli alberi e alle poche riserve naturali, agli oceani, ai ghiacciai, che come detto, stanno perdendo le loro capacità di difesa. Tutte queste fonti, molto più degli alberi, di cui abbiamo avuto un leggero assaggio nel 2003, superato il limite di assorbimento si trasformeranno in potentissimi emettitori, non solo di CO2, ma anche di vapore e metano, man mano che aumenta il riscaldamento globale.
Nel 2012, a Doha, nel Qatar siamo arrivati al 18mo vertice mondiale sullambiente sull’ambieente senza aver concordato una linea comune che non si può trovare senza cambiare il modo di progettare gli impianti di protezione ambientali.
Con l’universalizzazione della “depurazione coperta globale” (D.C.G) e la “depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale” (D.C.P.T.C.G.), entrambi inesistenti, per una colossale e universale svista dei progettisti del passato e del presente, i vertici mondiali sull’ambiente sarebbero inutili e non ci sarebbe nessun accordo da raggiungere. La riduzione del CO2 e la protezione dell’ambiente avverrebbero automaticamente utilizzando, indifferentemente, combustibili fossili o biologici. Al momento del vertice di Doha, la (D.C.G) sulla carta esisteva da circa tre anni e la (D.C.P.T.C.G.), da meno di un mese, ma qualcuno già sapeva e non ne ha parlato, assumendosi grosse responsabilità. Naturalmente, vale di più per la (D.C.G)., non essendo stato possibile metabolizzare la (D.C.P.T.C.G.). Sono in molti a non volere che i grandi sappiano tutto quello che dovrebbero sapere sull’ambiente e l’energia, soprattutto i cattivi consiglieri. I motivi sono diversi: principalmente, non ammettere gli errori commessi; secondariamente, difendere le quote di mercato delle multinazionali, basate su una politica ambientale sbagliata. Ma anche i media danno una mano a tacere sulle invenzioni e proposte ambientali di un semplice pensionato. Mi riallaccio ad alcuni articoli del sottoscritto, disponibili in rete, pubblicati su piccole riviste “On line”, sconosciute al mondo scientifico, imprenditoriale e politico, scritti in occasione del vertice di Cancun del 2010 che parlano di depurazione globale:
http://lexambiente.it/ambiente-in-genere/188-Dottrina188/6795-ambiente-in-genere-depurazione-globale.htm; http://www.cancelloedarnonenews.com/2011/01/06/a-cancun-non-si-e%E2%80%99-parlato-di-depurazione-globale-la-migliore-soluzione-contro-il-riscaldamento-globale/; http://altocasertano.wordpress.com/2010/12/06/l-intervento-cecita%E2%80%99-a-cancun-a-cura-dell-esperto-ambientalista-luigi-antonio-pezone/; http://www.alternativasostenibile.it/archivio/2010/12/23/files/la%20depurazione%20globale.pdf; http://altocasertano.wordpress.com/2011/03/21/il-c-c-s-inutile-costoso-dannoso-meglio-la-depurazione-globale/; http://www.meteoweb.eu/2012/12/clima-doha-i-grandi-non-sanno-cosa-sia-la-depurazione-globale-e-lenergia-protettiva-dellambiente/171245/; http://www.meteoweb.eu/2013/01/la-crescita-sostenibile-non-e-quella-delleconomia-globale/176371/
Ho saltato il vertice di Durban, del 2011. poiché stavo già lavorando sull’energia che protegge l’ambiente. Riprendo l’argomento dopo Doha. Quindi, con altri altri due vertici falliti. Siamo sempre all’anno zero nella protezione dell’ambiente, mentre su altri fronti i progressi sono enormi. Pensiamo all’evoluzione dei mezzi per combattere le guerre. Siamo arrivati alle guerre chimiche, ai razzi telecomandati, agli aerei invisibili, ai radar, ai droni, robot, ecc.. Tutto questo per non nominare le bombe nucleari che risalgono agli anni quaranta. L’uomo per farsi del male le ha inventate tutte. Ha messo insieme tutte le sinergie possibili e immaginabili tra industria chimica, meccanica, elettronica, biologica, informatica, mentre per farsi del bene, non ha saputo, semplicemente, mettere insieme, sui territori, impianti e tecnologie diverse, al fine di chiudere sulla terra il ciclo del carbonio. I mezzi più efficienti per proteggere l’ambiente dall’inquinamento globale sono ancora quelli inventati dalla natura: gli alberi, il suolo, l’atmosfera, le acque fluviali e marine. Gli unici che ancora chiudono il ciclo del carbonio. La società moderna, i grandi agglomerati urbani e industriali hanno comportato grandi concentrazioni di emissioni antropiche, che in buona parte, riusciamo a controllare, tranne le emissioni di anidride carbonica e il calore. La colpa non è del CO2, che è il frutto di un’ossidazione perfetta e fa di tutto per farsi catturare, essendo, più pesante degli altri gas, e cerca di rendersi utile per trasportare carbonati verso il mare, come ha sempre fatto nel ciclo naturale. Non è nemmeno del calore che insieme al CO2 può essere neutralizzato. La colpa è dell’uomo che per difendere l’ambiente, non ha usato le stesse sinergie che ha usato nell’arte della guerra e nell’industria. Chi produce energia non dialoga abbastanza con chi, depura le acque, l’aria, l’industria meccanica, chimica, biologica, informatica e viceversa. Se avessero dialogato si sarebbero accorti che, in particolare, gli impianti termici e i depuratori delle acque avrebbero dovuto essere progettati diversamente per chiudere il ciclo del carbonio antropico al loro interno, prima di scaricare i fumi nell’atmosfera e le acque nei fiumi, laghi e nel mare. Si sarebbero accorti, come ho scritto negli articoli citati e in molti altri, che mettendo insieme una centrale termica e un grande depuratore delle acque, i fumi avrebbero potuto uscire depurati e le acque alcalinizzate. Scrivevo articoli, non ritenendomi in grado di approfondire questi argomenti da solo: Cercavo qualcuno a cui trasmettere idee accumulate in quaranta anni di impianti. Non ho trovato nessuno, rischiando, come è avvenuto, soltanto di essere snobbato. Ma i grandi silenzi ricevuti e qualche piccolo consenso mi stimolarono ad andare avanti. Con “La depurazione globale nelle città”(http://ebookbrowse.com/la-depurazione-globale-nelle-citt%C3%83%C2%A0-doc-d152379508), proposi di catturate l’aria calde e inquinata urbana attraverso dei collettori interrati per farla risalire verso l’atmosfera depurandola attraverso i depuratori coperti, che non sarebbero altro che delle serre, nelle quali, il CO2, potrebbe combinarsi chimicamente con l’ossido di calcio e la fotosintesi: Ma non mi sono fermato a quella soluzione. Oggi, la depurazione globale nelle città, che nessuno ha preso in seria considerazione, può essere migliorata, ulteriormente, sostituendo i depuratori coperti con dei fabbricati sinergici verticali (F.S.V), con potenzialità immensamente superiori. Questi fanno parte della futura industria protettiva dell’ambiente, che, se saremo saggi, realizzeremo mettendo insieme depuratori dell’acqua e le centrali termiche. In tutti i Paesi del mondo, la progettazione pubblica non è stata capace di creare impianti sinergici che chiudessero il ciclo del carbonio. I depuratori delle acque e le centrali termiche, che sono impianti pubblici, in tutti i Paesi, emettono CO2 nell’ambiente. Pertanto, in tutti i Paesi, non è stato possibile imporre all’industria di azzerare le emissioni. Progettare un depuratore globale dell’acqua o dell’aria è molto diverso dal progettare un depuratore locale. La differenza sta tutta nella chiusura del ciclo del carbonio che deve terminarsi senza emissioni di CO2. Non risolvendo questo problema, il legislatore non può imporre le regole all’imprenditoria privata. L’imprenditoria privata non può chiudere il ciclo del carbonio senza sinergie impiantistiche pubbliche che collaborino alla cattura e al convogliamento dei gas nocivi e con effetto serra, tra i quali, principalmente il CO2. Il cane si morde la coda dall’avvento dell’epoca industriale. E’ toccato al sottoscritto, dipanare la matassa, probabilmente, perché ho trascorso metà della vita negli impianti dell’industria e metà negli impianti ambientali, in ruoli modesti ma concreti. Mi sono accorto che lo stato dell’arte non può essere superato se non si collegano gli impianti e questi non possono essere collegati se non sono modificati.
Probabilmente, anche altri progettisti si sono accorti che lo stato dell’arte non può essere superato ma hanno optato per una soluzione diversa: il C.C.S. che è peggiore del male che dovremmo curare. Infatti, questa soluzione, discutibile sul piano della sicurezza, dimentica completamente che il CO2, insieme alle acque dolci e il calcio costituisce la grande risorsa sostenibile per inviare carbonati agli oceani. Sono convinto che se ai grandi della Terra, fosse stata data una possibilità di scelta, non avrebbero scelto il C.C.S. e bene hanno fatto importanti Paesi, come la Cina a non prendere in considerazione questa soluzione. Purtroppo, il Gotha dell’ambiente e dell’energia mondiale difficilmente ammetterà gli errori commessi e i vertici mondiali sull’ambiente potranno continuare, ancora per molto, senza arrivare a una conclusione, se per vie diverse, non si riesce a comunicare con chi ha veramente poteri decisionali per far conoscere la depurazione globale e l’energia che protegge l’ambiente. I grandi della Terra non sono dei tecnici, difficilmente, si formeranno delle opinioni personali. Continueranno a credere a chi ha portato l’ambiente alle attuali condizioni. Almeno, una pulce nelle orecchie di questi grandi uomini si può provare a metterla, se si diffonde quello che scrivo, ormai da anni, oggi rafforzato dalla (D.C.P.T.C.G.). Non per fare inutili polemiche, ma, a mio parere, sarebbe più logica una discussione sulle soluzioni, non sulle percentuali di CO2 da ridurre. Ridurre il CO2 senza trasportare maggiori carbonati al mare farebbe più male che bene all’ambiente. Chi sostituirebbe il CO2 che la natura usa da miliardi di anni per trasportare i carbonati al mare che si sta addolcendo liberando altro CO2 e metano? Se chi gestisce l’ambiente sapesse fare il proprio mestiere, il CO2 non lo farebbescappare in atmosfera, né lo interrerebbe nelle profondità terrestri, ma lo userebbe per trasportare carbonati ai mari.
Della depurazione globale ho già scritto abbondantemente negli articoli precedenti. In questo libro parlo dell’energia protettiva dell’ambiente. L’unica che può ridurre il CO2 depurando l’ambiente e trasportando carbonati al mare. La mia non è un’idea geniale, concentrata su una sola tecnologia, come possono essere considerate le pale eoliche e i pannelli solari. Descrivo un mestiere che nessuno ha voluto imparare. Quello di saper mettere insieme gli impianti e le infrastrutture che riguardano l’ambiente, l’energia, l’industria. E’ un mestiere che coinvolge attivamente anche il territorio e i piani regolatori delle città. E’ il mestiere delle grandi sinergie che si può apprendere soltanto dopo una vita di lavoro nei piani bassi, entrando nei dettagli. Dai piani alti non si vede nulla. Non tocca a me realizzare questi progetti, ma i giorni che mi restano li impiegherò per farli conoscere, nei limiti delle mie modestissime possibilità. Queste proposte non sono costate un centesimo di euro ai contribuenti. Nel nostro Paese, sicuramente sarebbero state apprezzate di più se le avesse elaborate una commissione di esperti lautamente pagata. Questo sicuramente è stato fatto, sia in Italia sia in altre parti del Mondo e ugualmente non hanno trovato la soluzione, che richiede una sincronia tra cuore e testa, che nessuna commissione può mettere insieme. Credo che, tutto sommato, noi italiani siamo stati fortunati. Le caste che ci governano potevano farci ancora più male. Oggi avremmo ancora più debiti, se l’Europa non ci avesse fermato. Se non ci avesse salvato lo tsumani giapponese ci saremmo imbarcati anche nell’energia nucleare. Non parlo di politica ma soltanto di ambiente, nonostante sia appena caduto il governo dei tecnici, che per l’ambiente ha fatto soltanto il decreto legge per l’Ilva, che non condivido. La crisi italiana e mondiale non è soltanto politica e finanziaria, ma anche tecnica, almeno sul piano ambientale. Non esistono tecnici liberi e senza padrone, a meno che non conservino idee ed energie per quando vanno in pensione. Lo dico per esperienze vissute. Molti degli impianti che ho installato da lavoratore dipendente non li condividevo e non potevo dirlo. Fin da allora, vedevo che erano soltanto dei palliativi. Per il sottoscritto, l’ambiente è come il corpo umano, deve consumare l’energia che produce, senza accumulare scorie e acidità. Una gestione corretta ci costringerebbe a lavorare tutti nel comune interesse coinvolgendo molta più terra, acqua, aria e industria riciclando tutto, senza inquinare. Questa dovrebbe essere la vera società dei consumi. Prima di pubblicare una proposta ambientale cerco di farla avere a chi ci governa a livello regionale o nazionale per sapere se la vogliono prendere in considerazione. Talvolta, allego anche dei depositi di brevetti che nelle mani del sottoscritto non hanno alcun valore, ma nelle mani di un ente pubblico, potrebbero contribuire alla crescita del Paese e probabilmente, almeno sul piano delle progettazioni ambientali, battere sul tempo la concorrenza internazionale. Anche se sarebbe corretto diffondere immediatamente nel mondo le buone idee ambientali, almeno il prestigio e i diritti d’autore dovrebbero concederceli. Oggi, più che mai c’è competizione tra i paesi. L’importante è che sia una sana competizione. Invece, succede che le buone idee sono frenate per continuare il mercato dei palliativi ambientali. La progettazione pubblica dell’ambiente e dell’energia è inesistente. E’ tutta nelle mani dei privati. Oggi si parla di rottamare le generazioni passate, ma non penso che abbiamo un problema generazionale. Dobbiamo soltanto eliminare le caste, che sono più radicate di quanto si pensi e ricostruire il Paese. Sono più vecchio di ministri e sottosegretari, ma posso assicurare che, ai fini sociali, si rende di più lavorando da pensionato, senza essere pagato, che per un padrone che ha bisogno di fatturare, per poterti pagare. E per fatturare deve far parte dell’ingranaggio di questa macchina che spreca risorse senza proteggere l’ambiente. Non avrei potuto lavorare su questi argomenti se non avessi rinunciato ad alcuni anni di stipendio. La libertà di pensiero e di espressione unita all’esperienza sono un cocktail micidiale, per abbattere molti santuari. Nessuno mi ha concesso l’opportunità e l’onore di lavorare per il ministero dell’ambiente e dell’energia, ma l’ho fatto ugualmente. Posso dire abusivamente. Ho parlato soltanto quando avevo dei progetti pronti per l’impiego o delle idee da discutere. Che nessuno vuole discutere. Posso anche aver sbagliato qualcosa. Sta ad altri dimostrarlo. Comunque vada, sono orgoglioso di averci provato. Se prima non si progetta, non si può discutere. Questo non l’hanno capito né i politici né i tecnici politicizzati. I progetti vengono prima dei decreti e non tutti i progetti sono buoni. Nel mondo dell’ambiente e dell’energia dobbiamo imparare a progettare nell’interesse globale dell’ambiente. In questo libro, ho raccolto delle ricerche che dovevano aiutarmi a capire le ragioni per le quali le mie idee ambientali sono snobbate dal mondo scientifico, politico e imprenditoriale. Ho trovato soltanto conferme alle mie intuizioni e le riporto insieme alle nuove proposte. Cito molti esempi d’impianti ambientali che risolvono problemi locali e creano danni a livello globale. Il titolo del libro, l’ho cambiato molte volte, essendo difficile condensare tanti problemi in poche parole. All’ultimo momento ho deciso di dedicarlo proprio a questo ennesimo vertice fallito sull’ambiente. Provocare già nel titolo la reazione degli addetti ai lavori, che tacciono da anni sulla depurazione globale. Se i sistemi depurativi ed energetici attuali hanno dei padri, che li difendano. Se sono figli di nessuno, le autorità ambientali perché li diffondono e soprattutto, perché non vogliono cambiarli. Ritengo che solo diffondendo nuove idee e nuovi progetti si possano smantellare tecniche depurative ed energetiche consolidate, nonostante gli evidenti fallimenti. Non credo agli slogan: No al carbone. No al gassificatore. No al digestore. No alla centrale termoelettrica. Non è importante quello che entra negli impianti, ma quello che esce attraverso gli scarichi delle acque e nell’atmosfera.
Le conclusioni alle quali sono arrivato sono che i sistemi di protezione ambientale sono sbagliati dalla nascita. Voglio, semplicemente, dire che già oggi le acque che passano attraverso le centrali termoelettriche sono decine di volte superiori a quelle che passano attraverso i depuratori. Queste acque non le trattiamo nemmeno per adeguarle a valore alcalino del corpo idrico ricevente. Le restituiamo calde all’ambiente, senza dargli nulla in cambio. A prescindere dai tanti altri problemi che non abbiamo risolto, è lecito domandarsi: come possiamo pensare di contrastare l’acidificazione di 1.45 miliardi di km3 d’acqua presenti sulla faccia della terra, se non interveniamo nemmeno sulle pochissime acque che passano attraverso gli impianti? Il bello è che possiamo alcalinizzare le acque consumando il CO2 e per oscure ragioni tutti fingono di non comprenderlo. Forse le ragioni non sono tanto oscure se si pensa che per sfruttare queste immense potenzialità vengano fuori tutti gli errori commessi nella progettazione dell’ambiente. I depuratori non servirebbero più e le centrali termoelettriche dovrebbero essere ridimensionate e distribuite meglio sul territorio per pulire l’energia. Sfruttando sistematicamente queste applicazioni con bassi consumi energetici, già da molto tempo, avremmo potuto parlare di “depurazione globale” dell’acqua e dell’aria e quindi anche di pulizia dell’energia termoelettrica. Considerando che le centrali termoelettriche necessariamente, sono già realizzate vicino al mare, ai fiumi, ai laghi, sarebbe un peccato continuare a non sfruttare queste grandissime opportunità a livello mondiale. Il concetto di protezione globale dell’ambiente, purtroppo, è ancora sconosciuto ai progettisti e allo stato dell’arte.
Sarei stato felice se il mio lavoro fosse stato cestinato, superato dai progetti presentati a Doha dal Gotha dell’ambiente e dell’energia. Invece, sono certo, che saranno cestinati per continuare sulla stessa strada. Quella dei palliativi depurativi e delle nuove costose energie, che al massimo, potranno essere, semplicemente, pulite. Delle 194 delegazioni dei paesi membri, nessuna sa cosa sia la protezione globale dell’ambiente. Gli unici che avrebbero potuto conoscerla sono quelli italiani. Ma chi sono? Chi li ha mai visti? Sono professori e scienziati? Burocrati ministeriali? Politici? Grandi manager? Nessuno in questo Paese ha voluto conoscere la depurazione globale e l’energia protettiva dell’ambiente e nessuno poteva parlarne. Per fortuna, siamo nel mondo di Internet. Le bugie e l’ipocrisia hanno le gambe sempre più corte, c’e chi pubblica anche le riflessioni e i progetti di un modesto pensionato che, da anni, ha nella testa grandi progetti ambientali, che non voleva sviluppare da solo. Non so come finirà questa storia, ma sono certo che quel poco che ho fatto, non sarei riuscito a farlo, senza la collaborazione di chi ha collaborato pubblicando i miei articoli. Sono bastati pochi incoraggiamenti di amici sconosciti a non farmi sentire solo in questa lotta. Le cose non vanno bene, ma sarebbero state ancora peggiori e senza speranza, appena una ventina di anni fa. Alla fine la verità verrà fuori e ai vertici mondiali si potrà parlare di soluzioni concrete per produrre energia pulita sostenibile, proteggere l’ambiente, creare occupazione.
Mi lascio alle spalle la mia breve attività d’inventore ambientale (2006 – 2012), non avendo più nulla da inventare. Ho dovuto fare le cose in fretta per non lasciarmi sconfortare dall’indifferenza delle autorità ambientali locali e nazionali, alle quali, in questi anni. Ho inviato le mie proposte, sulla depurazione domestica, fognaria, urbana, fluviale, lacustre, portuale, marina. Ho concluso il percorso virtuale con l’energia protettiva dell’ambiente. Non esiste niente di quanto ho inventato, ma non sarebbero nate nemmeno virtualmente le depurazioni successive che si basano sulle precedenti, che ho dovuto immaginare funzionanti, senza potere spendere un solo euro in esperimenti e prototipi. Penso di aver preparato, il materiale per una serena discussione con chi è disponibile discuterne. Chiunque sia. Se chi gestisce l’ambiente e l’energia vuole continuare a tenersi fuori da questi argomenti è una scelta loro. Mi basta trovare delle persone per confrontarmi, come ci si confronta quando si parla di pallone, della Ferrari, dell’alimentazione, del buon vino, perfino della politica, quella sana. Qualcuno deve pur esserci, in questo Paese e nel Mondo, con idee diverse dal sottoscritto in materia di ambiente e di energia. Sono certo che chi tace non sempre acconsente, soprattutto, se ha degli scheletri nell’armadio. Non è il caso di fare dei processi. Non sono una cassandra, gli errori riguardano il passato, le conclusioni e le prospettive alle quali sono arrivato, sono abbastanza ottimistiche. Basta cambiare strada:
E’ POSSIBILE PULIRE I FUMI DI COMBUSTIONE, RECUPERARE IL CALORE, IL CO2, AUMENTARE I RENDIMENTI ENERGETICI E DEPURATIVI, PRODURRE BIOMASSE ENERGETICHE E ALIMENTARI, ENERGIA PULITA E COMPOST, DEPURARE, ALCALINIZZARE, DESALINIZZARE LE ACQUE, CONTRASTARE LA SICCITA’, LA DESERTIFICAZIONE, L’ACIDIFICAZIONE, CREARE OCCUPAZIONE.
Queste cose che non riguardano soltanto l’ambiente e l’energia ma lo sviluppo dell’intera futura società, il modo di costruire le città, il modo di distribuire le attività produttive e industriali al fine di non sprecare energia e di conservare l’ambiente, le scrivo in un libro intero, che pubblico quando ho compreso che anche nel mondo dell’energia non esiste nessuno predisposto all’ascolto di un semplice pensionato. E’ vivo e vegeto il mondo dell’energia, mentre, purtroppo, quello delle depurazioni appartiene al passato, soprattutto, nel nostro Paese. Sono già troppe le critiche alla nostra classe dirigente politica e tecnica. Non voglio affondare il coltello nella piaga. Oltre a tutto, dal mio punto di vista, non si salvano nemmeno i Paesi più avanzati. Hanno finto di non comprendere la “Depurazione coperta globale” che non poteva non partorire la “Depurcogeroproduzione termoelettrica coperta globale” (D.C.P.T.C.G.). Era un parto annunciato, ma le strutture pubbliche italiane non hanno mostrato interesse. Tuttavia, l’Italia, almeno per un trentennio, potrebbero esportare nel mondo questo modello di sviluppo basato sull’energia che protegge l’ambiente, se aziende di stato come ENI ed ENEL, si fossero mostrate meno chiuse all’innovazione dei responsabili del settore depurativo. Il problema è sapere come contattarle, in quale giro burocratico finisce la tua pratica e dove avverrà l’insabbiamento. Contattare ministeri e presidenti di regione è ancora più difficile, mentre le aziende private, almeno nel settore depurativo, cercano soltanto di difendere la loro nicchia di un mercato sbagliato. Tuttavia, nel mio piccolo, sono arrivato alla conclusione che la politica energetica e depurativa va unificata a livello mondiale, non a parole, ma nei fatti. Gli impianti che producono energia devono anche depurare e proteggere l’ambiente coinvolgendo acque fognarie, piovane, agricole, industriali e l’aria inquinata. Tutto deve convergere nei D.C.P.T.C.G., dove si chiuderà il ciclo del carbonio antropico. Se non lo comprenderanno i grandi enti, cercherò altre realtà più piccole, più vive e più giovani per far comprendere questo modello di sviluppo, che prende spunto dalle nuove tendenze al riciclo dei rifiuti e delle bio energie, ma ne amplifica le potenzialità, senza trascurare le vecchie energie, insospettabili recuperi energetici, sinergie con moderni sistemi depurativi e con l’automazione industriale. Tutto può e deve concorrere fisicamente e materialmente in un sistema integrato che produce, contemporaneamente energia, depurazione e protezione ambientale. Nulla a che vedere con gli attuali servizi idrici integrati che hanno unificato soltanto le bollette da pagare e le termovalorizzazioni, che abusano soltanto della parola, tranne qualche rara eccezione.
Abbiamo sbagliato a concepire gli impianti energetici separati dagli impianti di depurazione. Abbiamo sbagliato i sistemi fognari, che degenerano i liquami da depurare e i depuratori che sversano tutto ciò che non riescono a depurare. Abbiamo sbagliato le ciminiere che non consentono il recupero del CO2 e il calore dei fumi. Abbiamo sbagliato a realizzare grandi centrali termoelettriche che disperdono troppo calore e CO2 contemporaneamente, che si potrebbero pure recuperare, ma comporterebbero opere di grande impatto visivo. Centrali più piccole, nell’ordine di qualche decina di MW, distribuite sul territorio, avrebbero un minore impatto visivo, proteggerebbero meglio l’ambiente e creerebbero moltissime opportunità di lavoro nella gestione e nell’alimentazione degli impianti, ma anche in settori collaterali, quali le costruzioni, produzione di biogas, automazione industriale, di cui si serviranno i nuovi impianti. E’ questo il modello di sviluppo che il nostro Paese potrebbe e dovrebbe esportare nel mondo.
Nella D.C.P.T.C.G. che costituirà il connubio tra una centrale termoelettrica e un depuratore di nuova generazione la C.T.E. rimarrà la stessa, ma cambierà tutto il resto. Alla produzione di energia e alla protezione dell’ambiente parteciperà tutto ciò che è combustibile e digeribile. Quello che uscirà nell’atmosfera non saranno fumi ma aria depurata e l’acqua che sarà scaricata nei corpi idrici sarà depurata e alcalinizzata. Saranno aboliti le ciminiere e i depuratori che conosciamo.
Il sistema che propongo si basa sull’allargamento delle C.T.E. con nuove sezioni che possano sfruttare il calore e il CO2 che producono. Fanno parte di queste nuove sezioni le ciminiere C.R.D. che riportano verso il basso i fumi contribuendo alla filtrazione e al raffreddamento; i fabbricati D.D.C.L. che sfruttano il calore contenuto nelle acque per riscaldare grandi digestori anaerobici producendo biogas e compost per l’agricoltura di alta qualità; i fabbricati sinergici verticali F.S.V. che consumando il CO2 e il calore residuo producono biomasse energetiche e fanghi, che trasferiti agli stessi D.D.C.L., contribuiranno alla produzione di biogas e compost. Nei F.S.V. il CO2 sarà usato anche per la carbonatazione a freddo di rocce calcaree immagazzinate su più piani in appositi cestelli pensili carrellati. E’ il continuo riciclo delle acque tra la sezione calcarea (scmcv) e quella depurativa (sbsfcv) a consentire l’assorbimento del CO2. Piogge di acqua depurate (e desalinizzate da cestelli forati mobili contenenti resine di scambio ionico), trascineranno nei bacini acquatici sottostanti i carbonati prodotti dalla corrosione delle rocce che saranno rinnovate periodicamente. Ma gli F.S.V. avranno una capacità depurativa molto superiore alla capacità produttiva di energia, mentre i D.D.C.L., recuperando l’attuale calore disperso nelle acque e nei fumi delle centrali termoelettriche avranno una potenzialità digestiva immensamente superiore. In altre parole, per pulire l’attuale energia termoelettrica fossile dalle emissioni di CO2, attraverso la D.C.P.T.C.G., incrementeremmo dello 0,7% l’energia prodotta dalla centrale stessa. Questa energia prodotta soddisferà abbondantemente il fabbisogno energetico delle stesse sezioni depurative. Non è poco se si considera che il sistema C.C.S. che stanno sperimentando, ormai da anni, in tutto il mondo (Italia compresa) riduce il rendimento dei combustibili dell’11% e addirittura, del 30% per il carbone, senza contare i costi dell’interramento, che si traducono in un altro abbassamento del rendimento. La produzione energetica che riusciremo ad ottenere è solo un effetto collaterale insperato, essendo lo scopo principale, quello di pulire l’energia fossile. Non solo riusciremo a pulire l’energia ma, raffredderemo i fumi, depureremo, alcalinizzeremo o dissaleremo tutte le acque che transitano nelle C.T.E. del futuro. Potremo far transitare nelle C.T.E. molte più acque di quelle attuali, che già sono molte decine di volte superiori rispetto a quelle che passano attraverso i depuratori. Quindi, potremo eliminare gli attuali depuratori. I depuratori attuali, dimensionati per alti carichi e piccole portate, sversano grandi quantità di acque non trattate, emettono CO2, non alcalinizzano le acque e nemmeno sono in grado di dissalarle, se non attraverso specifici impianti che sul piano della sostenibilità non possono competere con il sistema proposto nella D.C.P.T.C.G.. Una vera sorpresa sono i D.D.C.L. che avranno potenzialità digestive in grado di raddoppiare la potenzialità della C.T.E.., Significa che avremo a disposizione il restante 99,5% della potenzialità dei digestori per produrre nuova energia, digerendo biomasse proveniente dal territorio. In Italia, se trasformassimo in impianti di depurcogeproduzione le centrali termoelettriche esistenti, con rendimento stimato del 40%, (come da calcoli riportati al cap. 25, potremmo ricavare il 20% dell’attuale fabbisogno energetico termoelettrico digerendo tutti i rifiuti organici digeribili. Saturando le restanti potenzialità digestive con produzioni energetiche di qualità, arriveremmo a produrre il 56% del fabbisogno nazionale. L’altro 44% dell’energia potrebbe essere prodotto ugualmente con produzioni energetiche di qualità in moderne centrali termoelettriche con ciclo combinato. Queste hanno un rendimento del 55% e abbinate alla D.C.P.T.C.G.,che ne recupererebbe il calore disperso, arriverebbero a un rendimento termoelettrico superiore all’80%. Considerando che i nuovi impianti produrrebbero direttamente il compost e che possono desalinizzare acque salmastre, depurare quelle agricole, che oggi non possiamo fare, grazie alle sinergie impiantistiche, il rendimento generale diventerà superiore al 100%. Se pensiamo che universalizzando il sistema, la grande quantità di compost che produrremo, potrebbe risanare anche i terreni che si stanno inaridendo, alla fine, non sottrarremo terreni all’agricoltura ma li aumenteremo. Questo, a prescindere, dalle coltivazioni fuori terra che potremmo effettuare nelle serre verticali. Dopo aver sviluppato questi progetti, è stato spontaneo chiedermi perché consentiamo il perforamento dei fondali oceanici rischiando disastri ambientali irreparabili, quando l’energia pulita la potremmo produrre, in casa, migliorando l’ambiente, la bilancia dei pagamenti e creando occupazione? Si faccia un censimento dei terreni incolti o mal coltivati e in fase di desertificazione.
E’ questo l’argomento trattato nel dettaglio in questo libro. Mi sarebbe piaciuto scriverlo insieme ai giovani ricercatori del CNR, ENEA, ENI, ENEL, ma non è stato possibile. Questi enti sono stati i primi a snobbare le invenzioni di un pensionato. Comunque il sistema che propongo non è compatibile con il C.C.S. (carbon, capture and storage) del CO2, che questi grandi enti stanno portando avanti. Devono essere loro a cedere sotto questo aspetto. Per il sottoscritto, il CO2 non deve essere immagazzinato nelle profondità terrestri ma utilizzato sul posto, come fondamentale risorsa per la protezione dell’ambiente. Probabilmente, le posizioni sono inconciliabili e anche il mondo dell’energia italiano non mi risponderà. La scienza è esatta, ma le applicazioni impiantistiche realizzate per proteggere l’ambiente e produrre energia devono essere riprogettate. Se a oltre 150 anni dall’avvento dell’epoca industriale non abbiamo ancora compreso che le fogne non vanno dimensionate soltanto in base a calcoli idraulici; che le ciminiere non devono essere dimensionate soltanto dal punto di vista del tiraggio ma come elemento di depurazione e recupero; che le acque che vanno verso il mare devono trasportare maggiori carbonati; che il ciclo del carbonio antropico deve essere chiuso negli impianti, non nell’ambiente, è naturale che nel 2012 non siamo ancora partiti con la protezione dell’ambiente e nella corretta produzione dell’energia.
Essendomi specializzato, soprattutto, nello sviluppare dettagli industriali e ambientali ho potuto costruire, come un muratore, un mattone dopo l’altro, la depurazione globale e la depurcogeproduzione termoelettrica globale. Pur non avendo speso un euro in sperimentazioni, non crollerà il castello, se sarò costretto a cambiare qualche mattone. Sarebbe ora che gli addetti ai lavori si confrontassero con queste soluzioni. Non possiamo continuare a scrutare i satelliti per cercare piogge e venti che liberino, provvisoriamente, le città da smog e polveri sottili, spostandoli da un’altra parte, a fare danni. L’inquinamento va combattuto nel momento stesso in cui si genera. Come dimostro in questo libro, anche l’inquinamento può essere trasformato in risorsa, ma soltanto se si sanno mettere insieme gli impianti.
Se non avessi messo insieme impianti che trattano acqua, aria, energia e automazioni industriali, non sarei mai arrivato a proporre queste soluzioni. Che piaccia o no agli addetti ai lavori e soprattutto, ai contribuenti, dovremo accettare che, nell’ambiente e nell’energia, è quasi tutto da rifare. E’ vero che le centrali termiche e gli impianti termici si possono salvare, ma la condizione è che il territorio circostante abbia i requisiti per ospitare fisicamente, attorno alla centrale, le sezioni necessarie per pulire l’energia, recuperare il calore e produrre nuova energia. Queste sezioni triplicheranno l’ingombro della centrale termica originale. Se questo lavoro dovesse farlo la natura occorrerebbero foreste migliaia di volte più grandi degli impianti che propongo. Se ragioniamo, comprendiamo anche che sono poca cosa gli attuali occupati nei settori interessati, compresi quelli delle nuove energie (solare ed eolico) emergenti, che vanno ridimensionate. La vera energia sostenibile, non è quella semplicemente pulita, è quella che depura e protegge l’ambiente. Di fronte al ricircolo continuo della materia organica e inorganica, che pretende l’energia protettiva dell’ambiente, c’è bisogno di tutti. Sarà questa la maggiore industria del futuro. Quella che consentirà una più equa distribuzione della ricchezza. E’ stato troppo semplice estrarre dal sottosuolo risorse appartenenti all’intera umanità, commercializzarle, come una proprietà privata, produrre energie non depurate, sprecando almeno il 60% del potere calorifero. Recuperando il calore sprecato, pulendo l’energia prodotta avremmo tutelato l’ambiente e distribuire meglio la ricchezza, creando occupazione. Avremmo potuto farlo anche con la vecchia tecnologia, ma meglio tardi che mai.
Tanto per cominciare, ricordo l’inesistente prevenzione ambientale fatta dell’inesistente depurazione fognaria e l’inesistente depurazione globale urbana, di cui ho già scritto in varie occasioni, ma a questi, vorrei aggiungere inesistenti bacini idrici che molti, senza sbagliare, vorrebbero realizzare in montagna, allagando le valli e realizzando dighe. Ben vengano pure questi bacini, quando è possibile realizzarli, ma, a mio parere, sono necessari soprattutto quelli che non sono mai stati realizzati da nessuna parte. Mi riferisco a bacini di accumulo dell’acqua, sviluppati in verticale, che alleggerirebbero il carico idraulico dei corsi d’acqua e delle fognature, prevenendo fenomeni alluvionali, che migliorerebbero la qualità delle acque e che consumerebbero il CO2. Questi bacini costituirebbero un accumulo dinamico delle acque e dovrebbero essere realizzati, soprattutto, nelle città e vicino agli impianti termici. Per questa ragione li ho chiamati “fabbricati sinergici verticali” (F.S.V.). Nelle città serviranno a depurare l’acqua fognaria e l’aria inquinata, anch’essa catturata attraverso un diverso sistema fognario (v. art. la depurazione globale nelle città). Ma gli F.S.V. daranno il massimo se affiancati agli impianti termici, altiforni industriali, inceneritori e soprattutto, le centrali termoelettriche, per pulire i fumi che producono e recuperare il calore che questi disperdono. In queste funzioni saranno aiutati da ciminiere modificate (C.D.R.) e da fabbricati digestori, disidratatori, compostatori dei fanghi (D.D.C.L), di cui parlerò in seguito. I F.S.V. saranno accumulatori dinamici delle acque perché fungeranno anche da depuratori, alcalinizzatori, desalinizzatori, in funzione delle esigenze del territorio, della fonte di approvvigionamento a monte e del bacino idrico a valle. Per ragioni strutturali, e pratiche non potremmo realizzare l’accumulo in verticale delle acque: la spinta idrostatica sulle pareti sconsiglia questa soluzione, pertanto, i F.S.V. saranno costituiti da solai con vasche sovrapposte dell’altezza di circa un metro che funzioneranno come degli stagni facoltativi. L’acqua che arriva in questi fabbricati, dal piano inferiore sale al piano superiore e man mano che sale si depura producendo in superficie, attraverso la fotosintesi delle piante acquatiche tipo azolla o lemma, che realizzano un panno superficiale, il quale, impedendo il passaggio della luce, impedisce la proliferazione di alghe. La produzione di queste piante acquatiche assorbirà dall’ambiente CO2 nell’ordine di circa 10 T di carbonio per ettaro / anno, che tradotti in termini energetici equivalgono a circa circa 80.000 kw/ettaro * anno. Ma è importante, soprattutto, l’aspetto depurativo. Se vorremo desalinizzare completamente le acque che salgono verso l’alto, supponendo di averle prelevate da una sorgente salmastra o inquinata da nitrati e metalli pesanti, possiamo far circolare in questi stagni dei cestelli contenenti delle resine di scambio ionico cationiche e anioniche. L’acqua, salendo, arriverà allo stagno finale con il grado di salinità che ci fa comodo, mentre le resine potranno essere rigenerate automaticamente passando attraverso tunnel di rigenerazione e ritornando negli stagni, per successive desalinizzazioni. Ma se, invece di desalinizzare, vogliamo alcalinizzare le acque che abbiamo depurato, le facciamo scendere attraverso una serra calcarea adiacente, che fa parte sempre dello stesso fabbricato. In questa serra immagazzineremo in cestelli pensili delle rocce calcaree frantumate (che rinnoveremo man mano che si consumano) e immetteremo dal basso l’aria inquinata dai fumi degli impianti termici e dallo smog cittadino. Per l’azione congiunta dell’ambiente coperto, dell’acqua desalinizzata e quindi avida di riassorbire sali e gas, e della ricchezza di CO2 nell’ambiente, sottrarremo ioni di calcio e magnesio alle rocce che spediremo verso il mare. Abbiamo già intravisto due processi che non esistono. Ma se, se vogliamo economizzare nel processo di desalinizzazione delle acque e non dobbiamo spedire le acque al mare, ma sottrarle al mare, non dobbiamo scaricare le acque che attraversano le serre calcaree, ma, raccoglierle in un bacino (braa), fino a quando accumulano una quantità tale di calcio e magnesio, che precipitando, producono depositi di carbonati che, una volta estratti, lasceranno le acque in condizioni acide, che risollevate alle serre calcaree, produrranno altri carbonati. Risparmieremo una grande quantità di resine cationiche nel trattamento di desalinizzazione, consumeremo CO2 e produrremo dei carbonati, dai quali potremo ricavare dell’ossido di calcio con minori costi e minori emissioni di CO2.
Ovviamente, per realizzare questi processi, che non esistono, è necessario integrare questi fabbricati, che non esistono, di: elettropompe di sollevamento delle acque e dei fanghi, elettrosoffianti e ventilatori per la circolazione dell’aria, sistemi meccanici per il trasporto e l’immagazzinamento delle resine di scambio ionico, sistemi meccanici per il trasporto e l’immagazzinamento, delle rocce alla zona di reintegro; sistemi meccanici di lavorazione del terreno e raccolta della produzione nelle serre dedicate alle coltivazioni. Essendo, questi ipotetici fabbricati, sviluppati in verticale, ci sarà bisogno di grandi opere edili, di convogliamento delle acque, della tecnologia sviluppata nell’industria per sollevare, traslatare, immagazzinare cestelli e bilancelle, lavorare il terreno, nel caso si voglia procedere anche con produzioni agricole. Spero di aver chiarito le ragioni per le quali oggi è necessario l’accumulo dinamico delle acque, e anche le ragioni per le quali ho chiamato questi fabbricati “sinergici e verticali”, ma c’è un intero libro per entrare, maggiormente, nei dettagli.
Qualcuno dirà che queste cose richiederanno investimenti enormi, tralasciando che oggi sprechiamo grandissime risorse senza proteggere l’ambiente e senza sfruttare le molte potenzialità occupazionali dirette e indirette, che comporterebbero la reale protezione dell’ambiente, sostituendo quella finta. I F.S.V., oltre a depurare l’ambiente, insieme ad altri elementi, contribuiranno al raddoppio dell’attuale rendimento delle centrali termoelettriche attraverso il recupero del calore e la produzione di biogas. Questi recuperi di rendimento consentiranno ampiamente il recupero dei capitali necessari agli investimenti.
Dal mio punto di vista, i politici sbagliano, ma sono i tecnici che li mettono nelle condizioni di sbagliare, costringendoli scegliere il male minore. O, addirittura a non offrire alternative tecniche, dando per assodate quelle sbagliate. Molte cose sono state sbagliate nella progettazione dei sistemi di protezione dell’ambiente e nell’energia ma mi sono permesso di esprimere critiche soltanto quando ho potuto studiare e proporre soluzioni alternative. Purtroppo, queste soluzioni ho potuto studiarle soltanto da pensionato e arrivo con molto ritardo. Questo dimostra che non esiste, nel Mondo, una progettazione impiantistica pubblica, che vada al di la delle specializzazioni di singoli settori. Ma, come ho detto, se non si mettono insieme gli impianti si sommano soltanto gli errori. Esistono progettazioni private che commercializzano sistemi e macchinari per il trattamento dei rifiuti e la protezione dell’ambiente che non possono chiudere su se stessi il ciclo del carbonio. Nessuno si è accorto di questo gravissimo difetto. Nessuno è disposto a riconoscere gli errori. Soprattutto i tecnici. Per chiudere il ciclo del carbonio occorre un legame indissolubile tra il territorio l’acqua, l’aria e l’energia. Gli impianti devono tener conto di enormi volumi di masse acquatiche e aeree che vanno bilanciate sul posto. Al massimo possono essere commercializzati i vari componenti tecnologici. Il grosso consiste in opere strutturali. Gli impianti ambientali che vedo nel nostro futuro sono completamente diversi da quelli attuali. Saranno delle grandi fabbriche, dove conterà molto anche l’automazione industriale che non vi è mai entrata. E’ più difficile di quanto si pensi portare idee nuove in questi settori che, a mio modesto parere, hanno intrapreso percorsi impiantistici sbagliati da almeno mezzo secolo. Infatti, con la tecnologia di allora, senza grandi invenzioni, avremmo potuto gestire meglio le risorse, proteggere l’ambiente e avere energia pulita e sostenibile.
Personalmente, ho compreso soltanto che alla diciottesima conferenza, siamo ancora al punto di partenza. Ancora non esistono le basi per fare degli accordi internazionali sull’ambiente. La ragione è molto semplice: non sono ancora stati individuati dei sistemi di protezione ambientali globali sostenibili che possano essere condivisi e incidere sull’intero eco sistema mondiale, come la D.C.P.T.C.G.. Le soluzioni che si prospettano fanno intravedere soltanto un peggioramento. Non si possono imporre ai poveri energie pulite non sostenibili economicamente quando non hanno nulla da mangiare, né costringere altri a rallentare la loro crescita è competitività in nome di generici accordi sull’inquinamento globale, senza parlare di soluzioni sostenibili, utili all’ambiente, all’economia e all’occupazione. Le poche idee pubblicizzate e anche sperimentate come il C.C.S. e gli alberi artificiali non hanno nulla a che vedere con la sostenibilità, nemmeno con la protezione dell’ambiente, e all’occupazione della gente. Tutt’altro. Ogni Paese dovrebbe impegnarsi a ridurre il CO2 del30%, senza sapere come. Ma, a parte questa fantomatica riduzione, che solo la recessione consente, per gli esperti, di cui paghiamo anche il conto degli alberghi, sembra che i problemi ambientali siano tutti concentrati sulla percentuale di CO2 nell’atmosfera, ma non lo sono. La realtà è evidente: la produzione industriale, quella energetica e agricola danneggiano l’ambiente a livello locale e globale. Ma anche i trattamenti depurativi locali dell’acqua, dell’aria, dei rifiuti, pur risolvendo dei problemi locali danneggiano l’ambiente a livello globale. Aveva ragione il premio Nobel, Paul Crutzen, quando nel 2000 coniò il termine “Antropocene” per definire la nostra era, come la prima era geologica nella quale le attività umane sono state in grado di influenzare l’atmosfera e alterare il suo equilibrio. Il pianeta Terra, anche senza di noi, avrebbe una naturale tendenza all’acidificazione, dovuta, principalmente all’impossibilità di estrarre e digerire dalle acque i fanghi prodotti attraverso i cicli naturali. Questo fenomeno, insieme con altri, esterni al pianeta, porta a un’alternanza di ere di riscaldamento e di glaciazioni che durano centinaia di milioni di anni. L’uomo, soprattutto, con l’avvento dell’epoca industriale è stato capace di accelerare vertiginosamente la velocità di questi cambiamenti. Con una politica ambientale diversa, realizzando gli impianti adatti e al posto giusto, potrebbe influenzare positivamente questi equilibri, nonostante la crescita della popolazione mondiale, addirittura rallentare il processo di acidificazione naturale.
Non se la prendano gli addetti ai lavori degli errori commessi. Solo chi non lavora non sbaglia. In fin dei conti, quando hanno inventato i depuratori e le centrali termoelettriche non si parlava di inquinamento globale, nemmeno di riscaldamento globale. Anzi, di errori ne hanno commessi troppo pochi. Hanno creduto di aver trovato subito le soluzioni e non ne hanno sperimentato altre, che, anche senza lo spauracchio del riscaldamento globale, sarebbero state più efficaci. Sbagliare sperimentando nuove soluzioni sarebbe stato umano, perseverare nel migliorare un sistema sbagliato è stato diabolico, anche se, alla fine, qualche miglioramento si è ottenuto. Il gioco non è valso la candela perché gli impianti sono ancora incompleti e trattano pochissima acqua. Di più non possono fare senza cambiare strada, perché l’acqua deve servire anche a pulire l’energia e bisogna coinvolgerne molta di più di quella con la quale si gioca al ricircolo nei depuratori, dopo averla degenerata nelle fogne. Mi perdonino gli addetti ai lavori se non sono tenero nei loro confronti. Ma chi sono gli addetti ai lavori? Sono pubblici o privati? Fino ad ora, nell’intero pianeta né i progettisti pubblici né i privati hanno saputo mettere insieme la protezione dell’ambiente con l’energia. Non per motivi ideologici ma pratici, deve essere la progettazione pubblica a prendere in mano la situazione e dotarsi dei tecnici capaci di mettere insieme impianti e infrastrutture.
Oggi, che è stato inventato tutto è molto difficile fare progressi in ogni settore, senza approfondite sperimentazioni. Gli specialisti di settore e i ricercatori possono migliorare i dettagli, che sebbene siano importanti, consentono piccoli progressi nel rendimento generale. Quello che è difficile per la ricerca e le specializzazioni è possibile per delle sinergie impiantistiche che pochi riescono a vedere. Le specializzazioni scientifiche tecniche non consentono di uscire dal proprio laboratorio e dal proprio settore. Non basta mettere insieme tecnici di diversa estrazione per trovare dei collegamenti. Se fosse bastato, avremmo già risolto il problema, non avrei scritto il libro e non avrei depositato i miei brevetti. Per vedere i legami esistenti tra il territorio l’ambiente e l’energia ci vuole allenamento. Faccio un esempio: Un amico mi portò a cercare funghi in montagna. Non riuscivo a vederli perché non ce ne erano molti, ma lui, essendo esperto, riuscì ugualmente a riempire mezzo cesto. Non a caso, dopo quasi un quarantennio di attività impiantistica, in pochi anni di pensione ho riempito il mio cesto di novità ambientali e senza fermarmi a discutere, con chi non vuole discutere, rimando le discussioni a dopo aver riempito anche il cesto energetico. Chi non è abituato a studiare soluzioni impiantistiche diversificate, non ha girato per i cantieri, non ha vissuto esperienze diverse e lontane dal mondo ambientale o energetico, non può innovare, nella sostanza, questi sistemi, che continuano a non essere sostenibili e a non proteggere l’ambiente, nonostante gli innegabili progressi. L’invenzione più importante nel settore energetico degli ultimi anni è senz’altro quella dovuta all’azione sinergica tra le turbine a gas e a vapore che hanno portato al ciclo combinato e a un salto del rendimento generale di circa il 25%. Quest’invenzione avrebbe meritato il Nobel. Pensiamo a quale salto di rendimento possiamo realizzare con la sinergia tra interi sistemi energetici e depurativi. Avremo un salto di rendimento energetico di almeno il 30% e un salto di rendimento depurativo del 100 %. Contrariamente a quanto si possa pensare la palla al piede della protezione ambientale, non sono le centrali termoelettriche, che hanno fatto progressi enormi, ma i depuratori delle acque, che non hanno ancora compreso il loro ruolo. I depuratori attuali, sebbene si siano diffusi in tutto il mondo, non proteggono l’ambiente e non possono collegarsi con le C.T.E. Quando parlo di sinergie, impiantistiche non mi riferisco agli attuali depuratori, ma a quelli che descrivo da qualche anno, che in Italia, ancora nessuno ha voluto comprendere.
Che oggi consumiamo il doppio o il triplo delle risorse che ci spetterebbero, non sono io a dirlo ma organismi nazionali e internazionali. Gli stessi che hanno taciuto sulla depurazione globale. Se questi organismi non versano lacrime di coccodrillo soltanto per favorire i palliativi proposti da alcune multinazionali, devono misurarsi con i sistemi di depurcogeproduzione globale che propongo. La premiata Nobel I.P.C.C. riducendo soltanto le emissioni di CO2 (catturandole e interrandole), non può pretendere di migliorare la gestione globale delle acque del pianeta, che sono legate anche alla circolazione delle correnti marine, allo scioglimento dei ghiacciai, agli uragani, (realizzando altri sprechi e pericoli ambientali). Sapevo che non sarebbero bastate le mie modeste pubblicazioni a convincere i responsabili ambientali del pianeta. Non ci sono riusciti scrittori molto più importanti. Per smantellare un grandissimo sistema sbagliato, occorre sviluppare progetti concreti e moltissimi dettagli. Un’impresa impossibile, per chiunque, senza una vasta conoscenza di depurazioni locali, sollevamenti, impiantistica generale e altro ancora. Non si possono improvvisare “progetti globali”. Altri progettisti e inventori sono stati più fortunati: è bastata un’idea, un’intuizione da sviluppare, qualcuno che ci abbia creduto, qualcun altro che abbia finanziato il progetto, per arrivare a produrre apparecchiature utili e commerciabili. Nel caso della depurcogeproduzione termoelettrica globale si è trattato di un mosaico messo insieme, inconsapevolmente, da una vita di lavoro, con processi e tecnologie distanti tra loro. I ricercatori, con tutta la buona volontà, non possono vedere queste soluzioni. La ricerca deve continuare ma può soltanto fornire altre caselle da inquadrare. Anche il lavoro dei progettisti, specializzati in singoli settori, fornisce caselle da inquadrare, in un disegno molto più grande. Serve a poco che climatologi, geologi, biologi, chimici, ingegneri, propongano soluzioni parziali e locali. Per progettare impianti globali, la fantasia deve convivere con la tecnica e la capacità di entrare nei dettagli dei singoli settori. Non vale meno delle più grandi invenzioni il sogno di depurare l’acqua, l’aria, recuperare il calore e il CO2, proteggere il mare dall’acidificazione e la terra dalla salificazione, mentre si produce energia. Occorre una visione globale e dettagliata per coinvolgere in questi grandi impianti anche il territorio con i corsi d’acqua e i bacini idrici, i terreni agricoli, le cave di pietra, le miniere di carbone, le ciminiere dell’Ilva e delle Acciaierie di Terni. Le realtà ambientali e industriali esistenti, le vecchie centrali termoelettriche sono la fonte che alimentano i nuovi fabbricati sinergici, i digestori disidratatori e produttori di compost. Le attività indotte per la costruzione delle opere idrauliche, edili, i gasometri, l’automazione industriale per lo sviluppo in verticale delle opere, creeranno molte opportunità di lavoro. Non abbiamo la necessità di creare anche e soprattutto occupazione? Per fortuna e soprattutto, per necessità sono arrivato a queste conclusioni senza spendere un euro nelle sperimentazioni. La pulizia dell’energia fossile e non fossile, richiede immense portate di acqua. Deve essere vista come un’opportunità per migliorare anche la gestione delle acque, per costituire riserve idriche che non interferiscano con il normale deflusso delle acque. E’ stato necessario eliminare tutto quello che non serve all’ambiente visto con quest’ottica, per prima cosa gli impianti a fanghi attivi e l’attuale sistema fognario che deve essere in grado di catturare anche il CO2 e le polveri sottili dall’ambiente urbano. Nel nuovo sistema di protezione ambientale entra a far parte la vecchia fotosintesi, il vecchio fenomeno del carsismo, la vecchia digestione anaerobica e la relativa produzione di biogas, ma anche tecniche depurative moderne, come lo scambio ionico e l’automazione industriale, che non sono mai entrata nei depuratori e nelle centrali termoelettriche. Queste soluzioni sono applicate in una chiave moderna che migliora i rendimenti generali e la qualità del biogas, che si avvicinerà molto alla qualità del metano. La svolta per creare la vera protezione dell’ambiente e la vera energia pulita sta nel creare gli ambienti adatti, le sinergie impiantistiche e lo sfruttamento delle acque come reagente, diluente, e mezzo di trasporto dei componenti interessati ai processi. Sebbene la storia dell’uomo sia lastricata dai successi dell’abbinamento della fantasia con la tecnica, l’impresa più ardua è stata sempre quella di convincere i tecnici che sbagliano e non vogliono cambiare strada. Soprattutto nell’ambiente, dove tutto è già stato inventato dalla natura, avrebbero dovuto comprenderlo da soli quando la tecnologia è diventata troppo complessa per abbattere dei semplici nutrienti indesiderati. Non ammetteranno mai che hanno complicato le cose. E non riconosceranno mai che quando ci sono riusciti si sono fermati a metà strada, senza adattare le acque al corpo idrico che le riceve. Con grandi mezzi disposizione anche le strade sbagliate possono portare qualche risultato ma questo è valido nella medicina e nella scienza in genere. Non negli impianti che proteggono il territorio che oltre alla qualità devono fare anche la quantità. Come possiamo pensare di incidere nella lotta all’addolcimento oceanico e al riscaldamento globale senza trattare grandi masse di acqua da alcalinizzare e grandi volumi d’aria da depurare? Come possiamo vedere scorrere le acque calde che escono dagli impianti termici senza pensare di utilizzarle? Come possiamo pensare di interrare il CO2 quando la natura lo usa per trasportare carbonati nei mari? Stiamo trascurando l’energia sostenibile e protettiva dell’ambiente, che abbiamo a portata di mano e spendiamo immense risorse per produrre un’energia pulita ma non sostenibile economicamente, che non partecipa alla pulizia e alla protezione dell’ambiente, che crea altri rifiuti speciali di difficile smaltimento. Gli impianti devono essere semplici e lineari, soprattutto devono abbreviare e chiudere al loro interno il ciclo del carbonio consumando anche il CO2. Nulla a che vedere con impianti a fanghi attivi, i bireattori per abbattere il fosforo e i nitrati, reazioni nucleari, precombustioni e postcombustioni per pulire l’energia e interramenti di bombe ecologiche fatte di scorie, materiali non rigenerabili, veleni chimici e CO2. In questo settore, persino, le specializzazioni delle piccole aziende che, normalmente, migliorano e innovano, hanno migliorato e innovato un sistema sbagliato. Oggi, anche le piccole aziende, super specializzate nel settore ambientale, producono macchine che non servono per proteggere l’ambiente. Tutto il sistema depurativo delle acque ostacola la nascita dei sistemi di protezione globale dell’ambiente, non essendo adatto per trattare grandi volumi di acqua e non essendo capace di coinvolgere anche l’aria nel trattamento. Se i sistemi di depurazione globale, che stavo studiando, non mi avessero portato a concepire, in simbiosi, anche l’unica produzione energetica in grado di proteggere l’ambiente per potenzialità e sostenibilità, la maggioranza silenziosa avrebbe già vinto la propria guerra alla protezione globale dell’ambiente, per interesse di parte, senza spendere una parola per difenderli con la compiacenza delle associazioni ambientali, dei politici e i tecnici che governano l’ambiente. Provino loro, con i depuratori attuali, a pulire l’energia. A proposito di simbiosi, la vita sulla terra non esisterebbe se i batteri non lavorassero in simbiosi dirette e indirette. Come possiamo pensare di proteggere l’ambiente senza realizzare delle sinergie tra impianti e processi? I progetti di pubblica utilità vanno studiati, in una logica di depurazione globale dell’ambiente. Come vedremo, questa logica crea dei collegamenti che sono sfuggiti a tutti, che alla fine, porteranno al miglioramento globale anche dell’economia. L’acqua nella depurcogeproduzione svolge la funzione più importante, lavorando in un ciclo semi chiuso, oppure aperto, in funzione della disponibilità della stessa. Secondo la gestione del CO2 e dell’impianto che facciamo, possiamo arricchire di Sali carbonati le acque che inviamo al mare e desalinizzare le acque provenienti dal mare. Solo la possibilità di poter fare queste cose dovrebbe aprire i cuori e le menti. Vedremo se avverrà. Sia l’immagazzinamento delle rocce calcaree, sia il trasporto delle resine di scambio negli stagni, sia la lavorazione del terreno e l’evacuazione del raccolto richiedono di sistemi di trasporto lavorazione e automazione validamente utilizzati da anni in altri settori. Nessuno ha mai pensato che questi sistemi potessero stare insieme, nemmeno il sottoscritto, prima di imbarcarsi in questa ardua impresa. Se pensiamo a tutti i settori collegati con la D.C.P.T.C.G., non esagero dicendo che possiamo creare nel mondo un miliardo di posti di lavoro, non effimeri, ma utili al mantenimento dell’ambiente nelle condizioni di funzionamento per assicurare il proseguimento di una vita dignitosa anche alle prossime generazioni. Avrei voluto collaborare con un ente pubblico dell’ambiente e dell’energia, anche una grande azienda sarebbe andata bene. Ci ho provato anticipando quello che ho potuto, attraverso varie pubblicazioni, ma in questo Paese chi volete che prenda in considerazione un semplice pensionato? Non provo nessuna invidia per chi ha fatto carriera in questo Paese. Rivivrei volentieri la mia vita, convinto che grazie al fatto di essere stato sempre in prima linea, sempre in bilico nella lotta per la sopravvivenza, a sessantaquattro anni so ancora lavorare e ancora fare delle proposte che richiedono un duro lavoro, tecnica e fantasia. Se mi fossi sentito, falsamente, appagato dal danaro guadagnato l’energia pulita e protettiva dell’ambiente non l’avrei mai inventata. Nonostante l’abbia inventata non è detto che diventi una realtà. Scrivo questo libro mentre deposito quattro brevetti su questi argomenti, che avrebbero potuto essere molti di più, rivendicando anche i dettagli. Li metto a disposizione, come i precedenti del settore ambientale, per la crescita di questo Paese. Spero che la classe dirigente, che si occupa di energia, sia più competente di quella che si occupa di ambiente. Toccherà a loro essere all’altezza della situazione. Se vorranno farli diventare una realtà, estenderli all’estero nell’arco di un anno dalla data del deposito, creando nel Mondo opportunità di lavoro italiane che ci faranno onore. Personalmente, di più non posso fare. I problemi ambientali, momentaneamente, passano in secondo ordine perché questi progetti, pubblicati in questo libro, trascorso un anno, all’estero, tutti potranno copiarli. Se avverrà ne sarò, comunque, onorato pur continuando a non essere pagato per il mio lavoro. Meglio essere copiati e non pagati che snobbati e non pagati. Queste sono le alternative offerte a un inventore ambientale senza padrone. Mi dispiacerà, soprattutto, se non riuscirò a contribuire alla crescita di questo Paese. Lo dico sperando ancora di essere smentito.
Oggi si sprecano immense risorse in opere e gestioni che non si sono mai proposte la protezione globale dell’ambiente. Queste opere sono la totalità degli impianti termici e depurativi, fino ad ora realizzati, andrebbero chiusi immediatamente, mentre si continuano a costruire, complicandoli ulteriormente con inutili palliativi. La chiusura del cerchio del carbonio ottenibile con la depurazione globale non può essere sostituita dalla somma di tutti gli attuali sistemi energetici e depurativi, perche questi sistemi non sono integrabili tra di loro, anzi si ostacolano a vicenda. Le nuove energie sono neutrali ma non sostenibili, mentre ci occorre energia sostenibile e protettiva dell’ambiente. Vorrei chiedere agli economisti che ci governano quanto costa a noi italiani un brevetto su argomenti di pubblica utilità dell’ENEA, CNR, degli ATENEI UNIVERSITARI, tra stipendi, ricerche, sperimentazioni. Probabilmente, anche il più modesto, non meno di un milione di euro. I brevetti delle aziende private certamente costano meno ma raramente risolvono problemi di pubblica utilità. Comunque creano lavoro. Agli economisti che ci governano, impotenti di fronte alla mancata crescita, vorrei chiedere perché in questo Paese si snobbano i brevetti dei privati cittadini che non costano nulla alla comunità e che ugualmente potrebbero creare ricchezza? Quelli di pubblica utilità, in particolare, riguardanti l’ambiente e l’energia, con proposte non commerciali, dovrebbero almeno essere degnati di risposte dal ministero competente. Con il passaggio delle competenze dallo Stato alle Regioni non si sono aumentate le risposte in questi settori ma soltanto le fughe dalle responsabilità. Non ho trovato interlocutori nemmeno nelle regioni. Tutti assumono atteggiamenti da esperti ma vogliono soltanto gestire finanziamenti sull’ambiente e l’energia, scegliendo, quasi da catalogo gli impianti da realizzare. Questo oggi non è possibile in nessuna parte del Mondo, figuriamoci nelle regioni italiane. Il principale difetto di tutti gli impianti, a prescindere che siano termici, industriali o depurativi è quello che nessuno chiude il ciclo del carbonio, il secondo è che molti producono l’acidificazione dell’ambiente, il terzo è che molti producono polveri, più o meno sottili. Sono tutti problemi affrontabili e risolvibili con i sistemi di depurazione globale che propongo da qualche anno come cittadino del mondo, senza un’azienda e un Paese alle spalle. Cosa che solo in Italia può succedere. E’ stato un miracolo se sono arrivato anche all’energia pulita e protettiva dell’ambiente. Sarà un altro miracolo se riuscirò ad arrivare alle persone giuste che possano comprendere questi progetti, superando i burocrati dell’ambiente e dell’energia.
Nell’intero pianeta nessuno ha saputo, o voluto, mettere insieme gli impianti per consentire che avvengano delle semplici sinergie che, come minimo, raddoppierebbero i rendimenti complessivi, eliminando gli sprechi. Non avendo progettato gli impianti in vista di queste possibili sinergie nel mondo ambientale e in quello dell’energia è quasi tutto da rifare. Non possiamo tenerci gli impianti nelle condizioni attuali, sprecando risorse e continuando a danneggiare l’ambiente, per non riconoscere gli errori commessi. Credo di essermi fatto dei nemici nei costruttori di macchine per l’ambiente che non servono. Non voglio farmi dei nemici al Ministero dell’ambiente, all’ENEA, CNR, alle Regioni, Arpa, AATO che non hanno risposto alle mie precedenti proposte ambientali. Oggettivamente, non potevano vedere l’intreccio di legami tra gli impianti che soltanto il sottoscritto ha evidenziato. Né i testi universitari, né gli impianti esistenti accennano minimamente a questi collegamenti. Tuttavia, in natura questi collegamenti esistono. Queste strutture pubbliche, non hanno visto e non hanno saputo ascoltare. Non hanno risposto. Se non hanno compreso il valore pubblico della depurazione fognaria e i criteri della depurazione globale significa che non hanno compreso quale dovrebbe essere il loro ruolo. Non è possibile che non ci sia nessuna differenza tra la loro politica ambientale e quella portata avanti dalle multinazionali dell’ambiente. Queste ultime, non possono fare una politica industriale di lungo respiro. Il loro profitto deve essere immediato e si può realizzare soltanto attraverso la commercializzazione di macchine e impianti. Chi deve impostare la protezione dell’ambiente lo deve fare senza soluzione di continuità tra passato e presente. Gli uomini e le multinazionali passano, il Pianeta, le Nazioni, le Città restano. I progettisti pubblici dovrebbero avere una formazione e una preparazione diversa da quelli privati. Meno specialistica ma più ampia. Solo dedicando a questi argomenti un intero libro con esempi e disegni, posso sperare che, oltre al sottoscritto, altri incominceranno a comprendere che la progettazione pubblica ambientale deve essere molto diversa da quella delle multinazionali. Prima di essere snobbato anche da chi si occupa di energia in questo Paese, ho voluto scrivere un libro che evidenzia i legami ambientali che hanno trascurato. Solo cambiando radicalmente la politica della protezione dell’ambiente si potranno fare grandi economie nella produzione dell’energia. Si comprenderà che la vera energia pulita non è il solare o l’eolico o il nucleare e nemmeno l’idrogeno, è quella che chiudendo completamente il ciclo del carbonio depura anche l’ambiente. Mi lasciano perplesso le magiche ricette sulla crescita dei politici e degli economisti basate su nulla di concreto. Soltanto su artifici finanziari, tasse, riforme pensionistiche, lotta all’evasione fiscale. Le loro invenzioni consistono nel trovare nuove cose da tassare. Non disturbano eccessivamente i ricchi per il timore che portando i soldi all’estero aggravino ulteriormente la disoccupazione Sono recenti i casi Fiat, Ilva, Alcoa, Omsa, Thyssen Krupp. Nessuno si è accorto che la più potente delle industrie è nelle mani pubbliche. Non è mai entrata in funzione: quella della protezione dell’ambiente e della vera produzione energetica sostenibile. Questa sarebbe l’industria con il maggior numero di occupati, perché il ciclo del carbonio antropico si deve chiudere sulla terra, non nell’atmosfera. Lo dimostrano i grandi numeri riportati in questo libro, riguardanti, soprattutto, l’energia sprecata.
Dando per scontato l’attuale stato dell’arte nel settore depurativo ed energetico si consente di tenere in piedi, abilmente e tecnologicamente, processi costosi e complessi per creare profitto a chi li gestisce e progetta, mentre l’ambiente e l’economia ci rimettono. Qualcosa si sta muovendo nella giusta direzione con le bio energie e le cogenerazioni ma, come al solito, i progettisti si sono fermati a metà strada, senza recuperare il calore e il CO2 e proponendo piccoli impianti che non incidono sul sistema generale. Per questo mi permetto di insistere sui sistemi di depurazioni globali di cui parlo, inutilmente, da circa tre anni vedendoli crescere solo nella mia mente. La tecnologia, di cui c’e un grande bisogno in questo settore, non può sostituire completamente la fantasia. Una tecnologia di livello inferiore, dal punto di vista della chimica ambientale, applicata con fantasia a tecniche di automazione industriale e opere di ingegneria ambientale potrebbe avere rendimenti immensamente superiori. Gli specialisti privi di fantasia continuano a scavare in profondità, sprecando risorse e sperando di trovare qualcosa che non c’è e non troveranno mai, se non cambiano la direzione in cui scavano. Gli impianti termici attuali non sfruttano i vantaggi offerti dal territorio, li usano soltanto ai fini produttivi e per raffreddare turbine, condensatori, laminatoi, per poi sprecare il calore trasferito alle acque che se fosse recuperato aumenterebbe notevolmente il rendimento complessivo. Lo stesso dicasi per il calore trasferito ai fumi. Infatti, il rendimento di trasformazione energetica non supera il 40%. Realizzando la pulizia dell’energia con il C.C.S., che ugualmente trascurerà il recupero del calore, questo rendimento, come detto, si abbasserà ulteriormente dell’11% nel caso di combustibili leggeri e del 30% nel caso del carbone, ma se vi aggiungiamo anche gli oltre 100 $/T previsti per interrare il CO2, il costo energetico potrà aumentare ancora di almeno il 30% diventando sempre più insostenibile, a parte il fatto che le risorse vanno verso l’esaurimento. Questo succede perché si è sbagliato l’approccio alla soluzione del problema concentrandosi sui combustibili e non sugli impianti che devono essere modificati e allargati recuperando il calore e il CO2 per aumentare il rendimento e pulire l’energia.
Per gli addetti ai lavori del settore depurativo il problema del riscaldamento globale è di competenza esclusiva del settore energetico, mentre per il sottoscritto la parte più importante dovrebbe farla chi si occupa del trattamento delle acque. Quando ho proposto a chi si occupa di depurazione di coprire gli impianti per evitare le loro stesse emissioni di CO2 nessuno mi ha risposto. Un’invenzione è utile importante quando la collettività la percepisce come tale. E’ il caso della luce elettrica, della radio, del telefono, della televisione. delle auto, dei computer. Le altre invenzioni, quelle che la collettività non può percepire immediatamente, devono prima combattere le rendite di posizione degli addetti ai lavori, che hanno tutto l’interesse a non cambiare le cose. Ne sa qualcosa anche Galilei, addirittura, arrestato e costretto a rinnegare la propria importantissima e fondamentale scoperta. Come reagirà questa maggioranza ostile, silenziosa e potente di fronte alla “depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale”? Questa nuova invenzione non ammette separazioni tra la depurazione dell’acqua, dell’aria e la produzione di energia. Per fortuna, in questo caso, qualche multinazionale potrebbe guadagnarci. Ovviamente, mi riferisco a chi ancora insiste con le centrali termoelettriche che potrebbero passare da grandi imputate a salvatrici dell’ambiente, dell’economia e dell’occupazione. Giacché non si può discutere con chi non risponde, e non avendo compreso, nonostante i miei sessantaquattro anni, la logica che governa il Mondo, ho deciso di riassumere in un libro i vari aspetti del mio pensiero impiantistico ambientale, cresciuto nei cantieri, non nei congressi né negli studi di progettazione, né nelle università. Mi limito a scrivere, soprattutto, dei problemi irrisolti che maggiormente mi hanno colpito, attraverso i quali sono arrivato a queste conclusioni: le carenze impiantistiche nella protezione dell’ambiente e nella produzione dell’energia, soprattutto, degli impianti che non ho visto realizzare. La mia non è una critica distruttiva perché propongo soluzioni, criticabili e confrontabili con le soluzioni attuali. Nessuno fino ad oggi ha voluto questo confronto. Sono convinto che gli impianti mal progettati, funzionando ventiquattro ore al giorno e 365 giorni all’anno portano al degrado dell’ambiente molto di più degli incendi boschivi e delle eruzioni vulcaniche, che sono occasionali e dalle cui ceneri e lava può nascere nuova vita. Consentendo l’arrivo di acque acide agli oceani e CO2 nell’atmosfera acidifichiamo l’intero pianeta. I problemi non possono essere risolti separatamente sprecando risorse, Gli impianti ben progettati possono salvare il Mondo dall’inquinamento e dal riscaldamento globale, consentire di alimentare la futura popolazione mondiale, nonostante la crescita esponenziale. Contro l’incremento demografico ben poco possono fare gli attuali sistemi di produzione energetica e depurativi, altrettanto, le demagogiche posizioni ambientaliste e le opposte soluzioni super tecnologiche commercializzate dalle multinazionali. Avevo quasi completato questo libro quando è scoppiato il caso dell’Ilva di Taranto, che mi ha confermato quanto sbagliate siano le politiche ambientali: industriali, energetiche, depurative, nonostante i grandi progressi tecnologici. Sono sbagliate strategicamente perché concentrano troppo inquinamento in un unico posto, senza verificare se in quel posto esistono le condizioni ambientali per neutralizzarlo; sono sbagliati i sistemi di depurazione che partono in ritardo e si fermano prima di completare la completa neutralizzazione dell’inquinamento; sono sbagliate le produzioni energetiche termiche che hanno bassi rendimenti e inquinano l’ambiente a causa dello spreco di calore e CO2, che dovrebbero essere, entrambi, recuperati e utilizzati nel processo stesso. Il caso dell’Ilva non sarebbe mai nato se l’azienda non avesse esagerato con un grossolano inquinamento, visibile anche ad occhio nudo. Ma non è dell’inquinamento grossolano e arrogante di cui voglio parlare, bensì di quello più sottile, che nessuno vede e nessuno contesta. Quello che esce dalle ciminiere, dalle fogne, depuratori, industria, agricoltura, centrali termiche, inceneritori accettati dai legislatori. Quest’inquinamento istituzionalizzato e accettato, più di quello occasionale di chi non rispetta le leggi, spreca immense risorse e sta portando all’acidificazione e al riscaldamento l’intero pianeta. Le soluzioni depurative adottate, sebbene siano complesse, artificiose e costose, sono incomplete. Non chiudono il ciclo del carbonio, non colgono l’occasione per fare prevenzione, non creano le opportunità di lavoro che potrebbero creare. E’ scoppiato anche il caso degli operai delle miniere di carbone del Sulcis che preferiscono vivere a quattrocento metri di profondità, piuttosto che morire di fame alla luce del sole. Con la depurcogeproduzione anche il carbone può diventare competitivo senza costi aggiuntivi e senza perdere un centesimo di rendimento, recuperando il CO2 per produrre utilissimi carbonati. E’ scoppiato anche il caso dell’ALCOA, dove il costo dell’energia in Italia costringe a chiudere un’azienda di avanguardia tecnologica americana, mentre la ex Tyssen tutti la vogliono e nessuno se la prende, soprattutto, perché si trova in Italia, dove costa troppo il lavoro e l’energia. Quest’ultima gravata da costi per finanziare, non la ricerca, ma la produzione di energie non competitive. Purtroppo, queste sono le conseguenze della scarsa competitività di un Paese super burocratizzato, come l’Italia, dove fino ad oggi sono mancati anche i punti di riferimento per fare delle proposte di crescita. E’ necessario cercare a tutti i costi soluzioni ambientali ed energetiche sostenibili e universali, da condividere a livello internazionale, che mettano tutti i paesi sullo stesso piano di competitività, dando priorità alla tutela dell’ambiente. Lo stato dell’arte, da molto tempo consentirebbe di sviluppare soluzioni di depurazione globale, ma gli addetti ai lavori hanno paura di queste soluzioni che potrebbero far crollare il mercato di macchine e impianti che hanno costruito per ottenere scarsissimi risultati nella protezione dell’ambiente. Le autorità ambientali preferiscono affidare la soluzione del problema CO2 al solo settore energetico piuttosto che mettere in discussione l’intero sistema. Se il problema lo risolvessero quelli del settore energetico, ci sarebbe gloria anche per il settore depurativo delle acque. Potrebbe continuare l’ignobile mercato. Ma le cose non stanno in questo modo. Sommando i risultati di due settori separati si sommano soltanto gli errori e i costi, non i vantaggi. Mettendo insieme gli impianti avverrebbero dalle simbiosi impiantistiche che consentirebbero il completamento del ciclo del carbonio, oggi interrotto dalle uscite premature dagli scarichi e dalle ciminiere. Intorno a questi nuovi impianti nascerebbero attività indotte che dovrebbero fornire le materie prime (rocce calcaree, ossido di calcio biomasse, F.O.R.S.U., carbone, gasolio, metano); altre attività utilizzerebbero il prodotto finito (energia e compost per l’agricoltura); altre per la costruzione delle opere civili; altre per l’automazione industriale, perché l’impianto non verrebbe gestito come un depuratore o una centrale termoelettrica, ma come una grande industria. Le acque che uscirebbero dagli impianti andrebbero a contrastare le acidificazioni dei laghi e dei mari, ma potrebbe anche avvenire il contrario, se vorremo addolcire per uso agricolo le acque del mare. Ma le potenzialità sono ancora più immense. Se al posto della centrale fossile di partenza ci fosse un grande impianto termico non energetico (caso ILVA) o un inceneritore o un impianto di produzione dell’ossido di calcio, o più impianti che producono e disperdono calore e CO2. Questi impianti potranno continuare a fare il proprio lavoro, cedendo le acque calde e i fumi a chi li affiancherebbe per produrre energia. Quindi anche la politica delle zone industriali è stata sbagliata, realizzando gli impianti dove non si possono depurare e recuperare le risorse sprecate. Si dovrebbe comprende anche che per realizzare queste grandi opere e gestirle, la quantità di lavoro necessario sarà immensa, e richiederà un’occupazione pari a quella dell’industria. Anzi l’industria stessa deve fornire i sistemi di controllo, automazione, trasporti interni, lavorazioni del terreno, ventilatori, pompe, soffianti. Serviranno soprattutto opere di presa lungo i fiumi, fabbricati serra nelle città e fuori per la depurazione delle acque e dell’aria. Occorrerà la riorganizzazione e ridistribuzione delle centrali termoelettriche per incorporarle nella protezione dell’ambiente. Mentre il mondo piange per la disoccupazione dilagante, nessuno si è accorto che la rivoluzione industriale aspetta da almeno cinquanta anni di essere completata con la parte concernente la protezione dell’ambiente, mai iniziata. La crisi economica mondiale, alla fine, doveva scoppiare, avendo sviluppato soltanto i sistemi produttivi, basati sul consumo delle risorse, trascurando il circuito del ricircolo della produzione antropica. Solo recentemente gli uomini hanno compreso che bisogna riciclare tutto ma per poterlo fare correttamente bisogna saper mettere insieme gli impianti. Non si può chiamare riciclo quello che facciamo attraverso inceneritori, digestori, compostaggi, mentre depuratori e centrali termoelettriche sono da un’altra parte. In questo modo, come minimo, continueranno a sfuggire polveri sottili e diossina, ma soprattutto, il calore e il CO2, che potrebbero essere delle preziose risorse. Quello che è peggio è che il CO2 lo vorrebbero recuperare per interrarlo mentre al calore non ci pensano nemmeno.
Dopo questa pubblicazione non dovrebbero esserci dubbi su dove volevo arrivare quando scrivevo di strani sistemi di depurazione che non esistono e dei quali nessuno ha voluto parlare. Ho dovuto scrivere un libro, dopo aver costatato che la depurazione globale illustrata a piccole dosi, non ha funzionato. Quando e se politici e tecnici, che godono meritatamente o immeritatamente di posizioni privilegiate per essere ascoltati, vorranno affrontare questi argomenti, non sconosciuti ma trascurati, si potranno scrivere opere molto più importanti che questo libro che parla di soluzioni nuove ma semplici nella gestione sostenibile dell’ambiente. Il carro è molto gran più politici e tecnici vi saliranno maggiori saranno le possibilità di risanamento dell’ambiente e dell’economia. Le risposte, che credo di aver dato, vanno ben oltre le domande che mi ponevo quando ho iniziato a studiare questi problemi. Coinvolgono la desertificazione, la fame, la disoccupazione nel Mondo. Che fare della grandissima quantità di compost che produrremo se tutte le centrali termiche diventassero impianti di depurcogeproduzione, se non restituirle alla terra per ripristinare le risorse sottratte? Non mi faccio un vanto per queste soluzioni, ho soltanto cercato di copiare negli impianti il ciclo universale del carbonio che coinvolge acqua, aria, CO2 e rocce. Occorre il contributo di tutti per chiudere il ciclo del carbonio e dare un senso compiuto alla società dei consumi. Non possiamo accettare il gioco delle multinazionali, che vogliono barare chiudendo il ciclo del carbonio attraverso costosi palliativi come il C.C.S. e gli alberi artificiali, addebitandoci rischi e costi, senza risolvere i veri problemi dell’inquinamento globale e impedendo alla gente di partecipare alla soluzione per non creare quell’occupazione che porterebbe anche a una più equa distribuzione della ricchezza. La protezione dell’ambiente non può continuare a essere fatta con impianti incompleti. Non possiamo accettare di pagare salate energie semplicemente pulite, mentre potremmo avere a prezzi competitivi energie pulite e protettive dell’ambiente. Ho impiegato sei anni a trovare queste soluzioni e a scrivere questo libro. Possono sembrare molti ma sono pochi se si considera che a oltre cento anni dall’avvento dei primi depuratori e centotrenta dalle prime centrali termoelettriche, sprechiamo oltre il 60% delle risorse termiche e la protezione vera dell’ambiente non è ancora iniziata. Con la depurcogeproduzione tutti i Paesi potrebbero produrre energia pulita con quello che possiedono, soprattutto colture energetiche ma anche rifiuti e carbone, senza dipendere, per forza, dal petrolio o dalle nuove energie, se non sono competitive. La pulizia può iniziare all’uscita delle ciminiere senza perdite di rendimento dei combustibili, come avverrebbe con il C.C.S. Se gli uomini saranno saggi, adotteranno questo sistema e lo conserveranno anche quando il combustibile idrogeno diventerà una realtà perché più dell’energia pulita, abbiamo bisogno della chiusura e dell’abbreviazione del ciclo del carbonio.
2) Riassunto delle soluzioni
Tutto ciò che è scienza ambientale è già stato inventato dalla natura. Non tutto, ma buona parte di ciò che è tecnologia è già stato inventato dall’uomo. Bisogna soltanto mettere meglio insieme le due cose per aumentare i rendimenti. Molte cose possiamo già farle e le facciamo. Purtroppo, molte altre non le facciamo. Abbiamo affidato alla natura la chiusura del ciclo del carbonio antropico per il quale non è attrezzata. Il ciclo del carbonio naturale, la natura lo completa con tempi lunghissimi che l’uomo non può permettersi di aspettare. E’ questo il caso delle depurazioni senza alcalinizzazioni, delle combustioni senza neutralizzazioni del CO2, del calore disperso nell’ambiente senza essere riassorbito per produrre nuova energia. Senza affrontare e risolvere questi tre grandissimi problemi tutto ciò che facciamo per l’ambiente è soltanto un palliativo, in quanto il processo degenerativo, in altre forme e in altri luoghi continua, sebbene disturbato dai parziali trattamenti. Per questo è necessario parlare di una depurazione globale: maggiormente presente sul territorio, che coinvolge aria, acqua, calore ed energia negli stessi impianti. Personalmente, come semplice tecnico dell’impiantistica industriale e ambientale, ritengo che la corretta gestione delle risorse possa avvenire soltanto attraverso piccole e grandi opere impiantistiche che vadano in soccorso dei sistemi di gestione e protezione ambientali naturali. Non si dica che gli impianti ambientali attuali già lavorano in questa direzione perché nessun impianto esistente, industriale o ambientale chiude su se stesso il ciclo del carbonio, nemmeno parzialmente. Potrà sembrare strano che a parlare per primo della possibilità di anticipare la chiusura del ciclo del carbonio sia un modesto tecnico impiantista, ma questo lavoro è l’unico che permette di abbinare le soluzioni ai problemi, senza passare attraverso gerarchie e burocrazie che gestiscono l’ambiente e frenano sul nascere le innovazioni. Troppe personalità si scontrano sulle strategie ambientali da adottare: chimici, biologi, meccanici, idraulici, geologici, ambientalisti, politici, ecc.. Sarebbe molto più semplice affidare le proposte agli impiantisti che conoscono le scorciatoie e poi discuterne i dettagli. Per impiantista intendo colui che mette insieme gli impianti, non chi li progetta in ogni dettaglio. L’impiantista deve creare le condizioni ambientali adatte affinché possano avvenire più processi contemporaneamente, sfruttando al meglio la tecnologia esistente ai fini del recupero delle risorse e per aumentare i rendimenti; deve già sapere quello che è possibile fare e non fare dal punto di vista strutturale, meccanico, chimico, biologico, rimandando l’affinamento dei dettagli agli specialisti, ma in una fase successiva all’ideazione degli impianti. Un po’ come avviene nei film di fantascienza ma su basi più concrete: mettendo insieme impianti e processi già esistenti. Con queste convinzioni mi sono ritrovato a prospettare gli impianti di “depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale” (D.C.P.T.C.G), dopo essere passato per proposte riguardanti nuovi sistemi di depurazioni: domestica, fognaria, coperta, globale, alle quali nessuno ha voluto credere. Probabilmente, qualcuno ci avrebbe creduto, se il ministero dell’ambiente, o della ricerca scientifica, avesse messo insieme una commissione di esperti, lautamente pagati, per mesi o anni, per tirare fuori queste soluzioni. Non è vero che a caval donato non si guarda in bocca, semplicemente non si accetta. Son troppo orgogliosi perché accettino. Loro sono pratici, non credono ai miracoli. In un campo così importante la soluzione dei problemi non può essere casuale. Ma chi ha detto che lo sia? Sono anni che ci lavoro senza averne l’autorizzazione. Se le commissioni del mondo queste soluzioni non le hanno partorite, probabilmente, senza seguire un unico pensiero, non potevano essere partorite. La scorciatoia è stata quella di ipotizzare funzionanti i depuratori coperti, inventati dal sottoscritto, paradossalmente non accettati dall’ufficio brevetti europeo, per mancanza di novità. Per farli accettare dovrei spendere soldi che non ho e rispettare la loro forma burocratica. Dove le parole usate valgono molto di più dei concetti. Non ho forze per combattere anche la burocrazia, mi basta essere l’inventore morale. Mentre loro contestano cavilli burocratici i depuratori coperti li ho superati tecnicamente con i fabbricati F.S.V., che pure troveranno il modo burocratico di contestare. Che ci credano o no, i signori dell’ambiente, proprio da questi impianti inesistenti, contestati dalla burocrazia e snobbati dai tecnici politicizzati viene la conferma che in natura tutto è collegato. Cosa non confermata dagli impianti depurativi dell’acqua, dell’aria ed energetici esistenti, completamente scollegati gli uni dagli altri e non collegabili. Anzi, gli effetti collaterali dei processi che avvengono in questi impianti, in alcuni casi, creano danni ambientali ed economici talmente ingenti che sarebbe stato meglio rinunciare al progresso e ritornare al passato. Ma le sinergie impiantistiche ambientali sono possibili, anche se nessuno ne parla e nessuno le insegna nelle scuole, università comprese.
Dalla depurazione coperta è stato semplice arrivare alla depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale. La D.C.P.T.C.G è molto superiore alla somma di un depuratore e di una centrale termoelettrica, che già sarebbe molto di più della cogenerazione, consumando il CO2 e recuperando il calore. Nulla si crea tutto si trasforma. Dalla terra e dal mare dovremo trarre il nutrimento anche quando saremo oltre i nove miliardi. Le soluzioni ottimali, fino ad ora, non sono state individuate poiché è stato sbagliato il concepimento della protezione dell’ambiente separata dalla produzione energetica e non sono state create le infrastrutture per armonizzare la crescita industriale e dei consumi con la gestione dell’ambiente globale. Stando separati, questi settori, sprecano immense risorse e danneggiano l’ambiente. Solo da pensionato mi sono accorto di questa lampante verità. Ma le grandi commissioni nazionali e mondiali, che fanno convegni e scrivono relazioni da molti decenni, come hanno fatto a non accorgersene? Senza grandi opere, depurative e protettive dell’ambiente, capaci di produrre energia attraverso la corretta gestione delle risorse, sarà molto difficile gestire la povertà cui andiamo incontro. La crisi economica dell’America e dell’Europa, oltre che dalle bolle finanziarie e dalle speculazioni di borsa, è dovuta soprattutto all’improrogabilità della condivisione del benessere che abbiamo creato, con i paesi poveri che non hanno avuto le stesse opportunità di crescita. E’ ovvio, che condividendo la ricchezza e gli spazi a disposizione, si diventi tutti più poveri e si stia meno comodi. La maggioranza di noi ha pochissimo da condividere. Non vale la pena di difendere la posizione. Possiamo soltanto batterci per difendere l’ambiente in cui vivranno i nostri figli. L’ambiente, per fortuna, solo apparentemente può essere circoscritto. I ricchi si illudono di scegliere le città e addirittura i quartieri dove si vive meglio, ma prima o poi l’inquinamento arriva dappertutto. Dovremmo imparare a gestire meglio le risorse, aumentando rendimenti e produttività, soprattutto, tutelando l’ambiente. Solo in questo modo è possibile, non evitare, ma almeno contenere, guerre e gelosie tra i popoli. L’incapacità di cercare e trovare delle soluzioni per condividere il benessere ci sta portando verso il baratro sociale ed economico. La non tanto velata minaccia di spostare gli impianti di produzione dove costa meno la manodopera e si può inquinare più liberamente, non deve essere consentita da nessun Paese sovrano. Le leggi ambientali devono essere universali. Ma come possono esserlo, se nessuno vuole parlare di depurazione globale? Stiamo sbagliando, sia spostando gli uomini poveri dove c’è maggiore ricchezza, sia spostando le fabbriche dove ci sono popolazioni povere e minore tutela dell’ambiente. La coperta dell’economia è troppo corta per coprire tutti e le risorse mal gestite aggravano i problemi. I Paesi più evoluti hanno anche commesso l’errore di esportare una crescita sbagliata, basata sui consumi sbagliati. Questa crescita è stata costruita senza le basi fondamentali della tutela ambientale. E’ stata basata soltanto sulla produttività. Bisogna chiedersi quanti Paesi sarebbero contenti di accollarsi uno stabilimento come quello dell’Ilva nelle condizioni attuali e quanti casi ancora peggiori esistono nel mondo senza che nessuno osi protestare. La produttività industriale è la protezione ambientale non sono ben integrate. Può ben dirlo il sottoscritto, che per un ventennio si è occupato d’impianti di produzione industriale e per un altro ventennio d’impianti di protezione dell’ambiente. I Paesi emergenti hanno fretta di crescere, non hanno il tempo di studiare nuove soluzioni. Copiano tutto ciò che abbiamo inventato nella produzione e nell’ambiente e ci superano per competitività e creatività. Purtroppo, copiano anche gli impianti di protezione ambientali ed energetici che non sono mai stati adatti a proteggere l’ambiente e a recuperare risorse e lo saranno sempre meno con la crescita imponente delle popolazioni. La maggiore creatività dei popoli emergenti è tutta orientata verso una maggiore produttività. Le carenze dei sistemi di protezione dell’ambiente, già inadeguate, sono accelerate dalla caotica crescita del consumo delle risorse, senza che nessuno sappia dove mettere le mani. I padroni per paura di rimetterci economicamente o di ridurre i margini di guadagno, ostacolano le innovazioni ambientali che non li riguardano. Spero che le cose cambino quando politici, padroni e progettisti comprenderanno che la coperta si può ampliare senza tirarla da una parte e dall’altra. La produzione energetica può essere depurativa e protettiva dell’ambiente, ma può essere anche economicamente e socialmente conveniente, considerando che per realizzarla sono necessarie grandi opere che impegnino uomini e capitali, contribuendo a una migliore distribuzione del benessere sociale. Le leggi ambientali e le soluzioni devono essere universalizzate e concepite per combattere l’inquinamento globale, non quello locale, come avviene adesso, a scapito del primo. Gli impianti che non rispettano i parametri necessari per essere considerati “globali” devono essere messi al bando. Vale a dire tutti gli impianti attuali che non consentono modifiche di adattamento. La situazione è disperata ma non irrimediabile. Il maggior ostacolo è l’ipocrisia degli addetti ai lavori, che fingono di non comprendere concetti elementari, continuando a parlare soltanto delle loro inutili soluzioni locali. La parola “globale” si preferisce abbinarla soltanto all’economia, al massimo al riscaldamento dovuto al CO2, mai all’inquinamento, tantomeno alle soluzioni depurative inadeguate.
L’inquinamento globale è causato dalla dispersione di carbonio e calore nell’ambiente da parte della natura (per cause naturali e accidentali) e dalle attività dell’uomo, in quantità superiore a quelle assorbibili. Ma anche quelle assorbibili non sono indolori, nel lungo periodo, se l’assorbimento produce sedimenti e fossilizzazioni. Alcuni scienziati sostengono che il riscaldamento globale non esiste. Per loro la vera causa dei cambiamenti climatici, è l’incremento dell’attività solare, attraverso le famose “macchie solari”, e di altri fenomeni naturali. Le opposte fazioni litigano, come medici al capezzale di un paziente che, nel frattempo, sta morendo. Non so dire chi abbia ragione, ma sono certo che gli uomini stanno facendo di tutto per aggravare la situazione, se chi governa l’ambiente, continua a credere di tutelarlo depurando (male) soltanto le acque che usiamo per uso urbano e industriale, dimenticando l’aria e soprattutto, l’inquinamento globale, che richiede un grandissimo coinvolgimento delle acque dolci nei processi depurativi ed energetici, non soltanto delle acque urbane e industriali. Non possiamo fare nulla contro i fenomeni naturali estranei al Pianeta ma possiamo fare moltissimo per rinforzare le difese naturali globali del Pianeta Terra. La soluzione contro il riscaldamento o l’inquinamento globale è la stessa: “Depurazione globale”, di cui parlo inutilmente da qualche anno. Che cosa è il CO2, se non un nutriente indesiderato, al pari del fosforo, azoto e il carbonio organico? La fotosintesi trasforma il CO2 in carbonio organico aumentando la produzione di vegetali non desiderati, soprattutto nelle acque, producendo fanghi che non potendo essere estratti, consumano ossigeno nei fondali e portano all’acidificazione l’intero bacino o addirittura i mari dopo migliaia o milioni di anni. Man mano che l’inquinamento delle acque e della terra aumenta, crescono anche le emissioni di gas e vapore verso l’atmosfera, in quantità non interamente assorbibili. Pertanto, dobbiamo parlare di un inquinamento globale dell’ambiente che deve essere combattuto anche nelle soluzioni depurative locali. Se gli uomini avessero ragionato sul funzionamento dei cicli naturali dell’acqua e del carbonio, avrebbero usato la tecnologia per rinforzarli, non per creare depuratori, discariche, inceneritori, C.C.S. e alberi artificiali che, insieme, possono definirsi dei costosi palliativi ambientali. Si sarebbero accorti che la prevenzione è migliore di qualsiasi cura e che nessuno di questi sistemi di protezione ambientale, nemmeno quelli di ultimissima generazione, chiude il ciclo del carbonio e fornisce carbonati alle acque che ritornano verso il mare. Il rafforzamento del sistema di protezione naturale, che potremmo chiamare, appunto, “depurazione globale”, aiuterebbe a neutralizzare alla fonte le dispersioni di carbonio organico e inorganico e altre sostanze nutrienti e inquinanti create dall’uomo. Non dobbiamo dimenticare che il riscaldamento globale e le glaciazioni sono fenomeni naturali, già avvenuti, e altri ne avverranno, ma gli uomini con l’inquinamento li possono accelerare e con il disinquinamento ritardare. Quest’ultimo tipo di attività, che coinvolgerebbe almeno un miliardo di persone, non rientra tra le attività predilette dagli uomini, che pure sono in crisi nell’intero Pianeta per la scarsità di lavoro, dovuta alla mancanza d’idee da mettere in produzione. Cosa c’è di meglio della produzione energetica e ambientale? Non credo che volutamente abbiano trascurato questo settore. Semplicemente, credono che più di quanto facciano, non possano. Fanno meno della centesima parte di quello che potrebbero fare e sprecano più risorse di quante se ne possano immaginare. Se non vogliamo che il CO2 produca eutrofizzazione dobbiamo depurare e trasportare maggiori carbonati alle acque e lo possiamo fare soltanto attraverso le acque che circolano nei fiumi, nelle fogne, nei depuratori e, soprattutto quelle che passano attraverso le centrali termoelettriche, che sono trenta quaranta volte superiori a quelle che passano nei depuratori. Ne dovranno passare ancora di più per rinforzare le difese naturali dell’ambiente. Il mezzo di trasporto è rimasto lo stesso, anche se il Mondo non è più lo stesso, almeno dall’avvento dell’epoca industriale. L’acqua non può trasportare contemporaneamente carbonati e inquinamento. Le sostanze organiche e inorganiche, in eccesso, devono essere neutralizzate alla fonte se non vogliamo continuare a sobbarcarci maggiori costi, come facciamo attualmente, con i sistemi fognari e depurativi, non adeguati alla protezione dell’ambiente. I carbonati necessari a equilibrare le attività acidificanti antropiche devono essere preparati e dosati artificialmente in impianti che ancora non esistono. Ma gli addetti ai lavori continuano a studiare e a realizzare costosi palliativi, che se non peggiorano la situazione, sottraggono enormi risorse economiche e ritardano il vero risanamento. I depuratori sono addirittura produttori di CO2 e le leggi permettono che scarichino acque acide con ph 5,5. Restituiscono l’ossigeno all’acqua, ma oltre il 60-70% di quell’ossigeno è stato perso nel sistema fognario. Possiamo permetterci uno spreco del genere? Il 50% del CO2 che produciamo con l’ossidazione a cielo aperto nelle vasche di ossidazione viene riassorbito, di nuovo dalle acque superficiali, in altri luoghi, per generare di nuovo inquinamento (eutrofizzazione). Il resto viene assorbito in un centinaio di anni (anche su questi tempi ci sono opinioni diverse), ma producendo sempre lo stesso effetto. Possiamo permetterci quest’altra incongruenza? Con la D.C.P.T.C.G. potremmo finalmente smetterla di tessere la tela di Penelope ambientale. I responsabili ambientali dovrebbero, almeno, accettare di discutere di nuove idee di protezione ambientale. Invece di continuare a consultare soltanto i loro consulenti, gli stessi che li hanno consigliati negli errori precedenti. Qualche anno fa avremmo potuto confrontare le normali depurazioni con quelle globali. Sembrerà strano, ma non lo abbiamo fatto per mancanza d’interlocutori che difendessero gli attuali depuratori. Non c’è stato nessun bisogno di difenderli. I depuratori globali non sono stati nemmeno presi in considerazione dalla classe dirigente. Potevo insistere scrivendo altri articoli e adducendo altre motivazioni. Ho preferito continuare a lavorare, dedicando alla comunicazione soltanto i tempi in cui non avevo idee da sviluppare. Oggi possiamo confrontare, oltre alla depurazione anche le “le nuove energie” con una “produzione energetica protettiva dell’ambiente”. Anche questo sembrerà strano: l’energia protettiva dell’ambiente si potrà realizzare attraverso le attuali contestate centrali termiche e il recupero del bistrattato CO2. Non sono stati gli autorevoli silenzi ricevuti a rallentare gli aggiornamenti, ma il tempo necessario per la preparazione di nuovi progetti. Non affronto argomenti così delicati senza un progetto sul quale ci si possa confrontare. Ma si possono ritenere autorevoli gli esperti mondiali sul clima, sull’ambiente, l’energia e l’alimentazione che continuano a pubblicare tabelle e dati allarmanti sullo stato dell’ambiente e dell’economia, mentre tacciono sui concetti e progetti sostenibili e sono pronti a sostenere qualsiasi soluzione proposta dalle multinazionali?
Occorrerebbe un governo mondiale per la gestione delle risorse ambientali ed energetiche. Nessuno ha l’autorevolezza per candidarsi a questa gestione. L’I.P.C.C. (Intergovernmental Panel on Climate Change, gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, messo insieme dall’O.N.U.), insignito del premio Nobel nel 2007, con Al Gore, per l’impegno nel diffondere la conoscenza sui cambiamenti climatici, dopo il premio ricevuto, ha subito molte critiche internazionali sul piano politico e scientifico non del tutto ingiustificate, a giudicare dalle proposte concrete. E’ veramente il caso di dire che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Di questo passo i demagoghi e le associazioni ambientali che non sono riusciti a difendere gli alberi naturali si troveranno costretti a invocare gli alberi artificiali prodotti dalla multinazionale “Tal dei Tali”, i quali, saranno affiancati dai pannelli solari e dalle pale eoliche di altre multinazionali; mentre l’acqua da bere sarà gestita da ancora altre multinazionali, le depurazioni saranno affidate ad altre ancora. Le eutrofizzazioni lacustri e costiere continueranno ad avanzare, le fognature continueranno a essere figlie di nessuno perché le degenerazioni fognarie devono foraggiare i depuratori che continueranno ad assorbire risorse che possono essere evitate e a emettere CO2 nell’atmosfera, come se i “depuratori coperti, fognari, urbani lacustri e costieri” che consumerebbero il CO2 e i nutrientinon fossero mai stati prospettati. Certamente sono stati prospettati nel Paese sbagliato. Dove la classe politica e dirigenziale è in lotta perenne per ottenere i massimi guadagni con il minimo sforzo, mentre il Paese va alla deriva da almeno trenta anni. I depuratori coperti hanno il grave difetto di non utilizzare le macchine ambientali prodotte dalle multinazionali e da un fiorente mercato di palliativi che non incidono sul vero risanamento ambientale. Stranamente, sono convinto che la protezione dell’ambiente non si faccia con le macchine ma con la prevenzione dei fenomeni degenerativi, la fotosintesi e l’alcalinizzazione in ambienti coperti, soprattutto, coinvolgendo grandi portate e superfici di acqua. Tutto deve avvenire in una chiave moderna, che sfrutti i progressi nel settore delle costruzioni e le innovazioni tecnologiche, per aumentare i rendimenti. Non sono contrario per principio alle multinazionali e non mi troverei, da semplice tecnico esecutivo, abituato alla concretezza, a parlare di questi importanti argomenti, se non avessi notato, da anni, che questo sistema non può funzionare. E’ evidente che ai responsabili ambientali mondiali non sfuggono i problemi principali ambientali, ma per motivi oscuri sfuggono le soluzioni che sono più semplici di quanto si possa pensare. Probabilmente, sono mal consigliati dai progettisti degli impianti attuali, che hanno snobbato ma non commentato i depuratori coperti. Tra questi progettisti, nessuno ha voglia di chiudere il ciclo del carbonio, utilizzare la fotosintesi, depurare e alcalinizzare almeno una piccola parte delle immense quantità di acque che vanno verso gli oceani. Queste sono, in sintesi, le soluzioni a tutti i problemi ambientali. Se dico delle sciocchezze vuol dire che quaranta anni di esperienze impiantistiche industriali e ambientali non sono bastati farmi comprendere perché un impianto termo climatico, sia pure grandissimo e con alcune varianti, non funziona. A questo tipo d’impianto potrebbe assimilarsi l’impianto mondiale che, di per sé, già non chiude completamente il ciclo del carbonio per fenomeni naturali e al quale le attività antropiche, accelerate con l’epoca industriale, hanno aggiunto altre produzioni di carbonio, non assorbibili, naturalmente, dal sistema. Ma non è detto che non siano assorbibili dallo stesso sistema se, come propongo, rinforziamo le potenzialità delle pompe termoaline e biologiche naturali con impianti artificiali che consentano di aumentare le occasioni di contatto tra carbonio, acqua, rocce calcaree, luce, ossigeno e azoto. Aumentando la depurazione e l’alcalinità delle acque che inviamo verso il mare, non solo assorbiamo tutto il CO2 prodotto, compreso quello energetico, ma rinforziamo anche le correnti oceaniche, le difese naturali e l’economia mondiale per le attività di lavoro e l’imponenza delle opere necessarie. Queste cose non possono farle gli impianti attuali e nemmeno i palliativi artificiali che stanno studiando le multinazionali con il patrocinio dell’I.P.C.C. e di conseguenza, dell’ONU. Non possono farlo nemmeno le nuove energia che non partecipano alla chiusura del ciclo del carbonio. Le Autorità Ambientali Mondiali, le multinazionali, i progettisti pubblici e privati, pur avendo compreso l’origine dei problemi, procedono in ordine sparso ad affrontare i problemi del riscaldamento globale, che richiederebbero una politica ambientale comune. Per loro, il CO2, dovrà essere necessariamente catturato, pressurizzato e interrato. Poco importa se in seguito a un sisma o un altro fenomeno del sottosuolo potrà uscire in altissime concentrazioni soffocando le popolazioni. Si tratterà di un rischio collaterale in nome della scienza. Quale scienza? La scienza non centra niente, è solo una questione d’impianti di protezione ambientali che non hanno saputo progettare. Il Living planet report, nell’ultimo rapporto del World wide fund for nature, denuncia che il comportamento umano nei confronti del pianeta e’ diventato insostenibile. Ormai utilizziamo ogni anno più del 50% delle risorse a nostra disposizione, intaccando quelle dell’anno successivo: a detta di Jim Leape, direttore generale del WWF, se le tendenze non cambieranno, nel 2030 due pianeti potrebbero non bastare. Stiamo continuando a mungere una mucca che diventa sempre più magra e produce meno latte. Paghiamo immensamente dei veterinari che non si accorgono che la mucca deve semplicemente mangiare. Si potrebbe fermare questo dimagrimento del Pianeta producendo alimentazione ed energia dal recupero di risorse insospettabili e perdute: principalmente il CO2 e l’immensa quantità di calore disperso nelle acque e nell’aria dalle centrali termiche, proteggendo contemporaneamente l’ambiente e realizzando diversamente gli impianti energetici. Benché abbia trascorso l’intera vita a installare impianti industriali e ambientali ero il primo a ritenere inutile il mio modesto contributo di fronte all’immensità dei problemi. Tuttavia, da pensionato, ho voluto rivisitare “con il senno di poi” gli impianti che ho incontrato nella mia lunga e modesta attività professionale. Sono anni, ormai, che invito al confronto gli addetti ai lavori: progettisti, ricercatori, professori, politici, associazioni ambientali, gestori degli impianti, su piccoli e grossi progetti, alternativi ai sistemi attuali. Ricevo soltanto silenzi e alzate di spalle di persone super specializzate, che non vogliono o non possono discutere di problemi di protezione globale dell’ambiente, senza un copione concordato con chi li paga. Tutti hanno un padrone da rispettare. Io stesso se non fossi un pensionato non avrei potuto criticare liberamente gli impianti che, per vivere, installavo. Non ero un ipocrita. Solo da pensionato ho avuto il tempo e le idee per migliorarli, pur non essendo stato invitato a farlo. Tutt’altro, sembra che abbia toccato dei santuari intoccabili che non hanno bisogno di difensori. Solo un’autentica rivoluzione ambientale potrebbe scalzarli. Oggi, soprattutto, in Italia si parla molto di ridurre i costi della politica, del pubblico impiego, delle opere sociali, ma nessuno parla di individuare gli errori tecnici, che succhiano milioni di dollari al secondo, ventiquattro ore al giorno, per 365 giorni l’anno. E’ implicito che gli aggiornamenti dovrebbero essere automatici con l’adeguamento dello stato dell’arte in tutti in settori interessati. Nessuno si è accorto che ci sono dei settori nei quali non abbiamo mai messo le mani e altri che si ritengono dei santuari intoccabili dal punto di vista tecnico, che, invece, dovrebbero essere urgentemente ridimensionati. Se siamo arrivati alla crisi economica mondiale, all’acidificazione oceanica, allo scioglimento dei ghiacciai bisogna toccare dalle fondamenta anche i santuari che si ritengono intoccabili. Prima di tutto, bisogna cambiare i sistemi di protezione ambientale che svolgono soltanto una piccolissima parte del lavoro che dovrebbero svolgere. Nei depuratori deve circolare molta più acqua di quella attuale, insieme all’aria e ai fumi di scarico urbani e industriali affinché la depurazione sia globale. Il bod e il Cod, saranno abbattuti automaticamente consumando i vari nutrienti insieme al CO2 in impianti coperti funzionanti come serre. L’acqua non va scaricata, ma riciclata negli stagni biologici verticali (sbfscv), impoverita di nutrienti e arricchita di carbonati fino a quando non è integrata con altra acqua ricca di nutrienti e povera di carbonati raccolta dal sistema fognario, o circolante superficialmente. Nelle città, l’aria inquinata, con i fumi, deve essere aspirata da un parallelo sistema fognario, filtrata, compressa e diffusa nell’ambiente di fabbricati sinergici verticali F.S.V. per consumare il CO2, producendo biomasse. Di conseguenza, l’aria inquinata non uscirà dai camini, ma dalle serre e sarà impoverita di questo gas, ma anche di altri gas, presenti in percentuali minori e di polveri, più o meno sottili, mentre l’acqua sarà riciclata e usata per l’irrigazione delle colture, sarà depurata negli stessi stagni biologici verticali. In questi nuovi impianti globali, saranno coinvolte anche le acque di raffreddamento e i fumi delle centrali termiche fossili o alimentate con biocarburanti. Non ci vuole molto a comprendere che il sistema attuale non funziona e non può funzionare, nemmeno integrato con le nuove energie, con gli alberi artificiali, e l’interramento del CO2. Se nessuno comprende l’importanza di queste semplici proposte, vuol dire che anche il mondo scientifico soffre di oscuri mali. Soprattutto perché ha taciuto su questi argomenti pur avendo l’autorevolezza per intervenire. Proprio per cercare di comprendere le ragioni di tanto silenzio, sono arrivato ai D.C.P.T.C.G che potrebbero essere la fonte della vera produzione energetica sostenibile. Per la stessa ragione sono arrivato anche ai “fabbricati serra verticali” ( F.S.V.), che potrebbero aprire nuove strade anche a quella alimentare, in vista dell’incremento della popolazione mondiale. “Tutti sono convinti che una cosa sia impossibile, finché arriva uno sprovveduto che non lo sa e la realizza”. Ho citato, indegnamente questo famoso aforisma di Albert Einstein, per dire che mi piacerebbe essere uno dei tanti “sprovveduti” che credono nella “depurazione globale” perché per realizzarla, occorrono molti altri sprovveduti, più potenti del sottoscritto. Le pubblicazioni del sottoscritto, che precedono la presente, attestano che non volevo arrivare da solo a proporre “la depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale”. Sarebbe bastato che qualche scienziato o qualche autore di testi sui trattamenti ambientali mi dissuadesse dal proseguire su questa strada, utilizzando argomenti scientifici, che personalmente, non sono riuscito a trovare. Nessuno mi ha dissuaso e nessuno mi ha incoraggiato. Sono stato semplicemente snobbato. Da solo ho cercato di auto criticare le mie intuizioni, ma ho trovato soltanto conferme, come le leggi Dalton ed Henry sulla pressione parziale e solubilità dei gas in acqua, la fotosintesi inventata dalla natura, fenomeni altrettanto naturali, come il carsismo per produrre carbonati consumando CO2. Quello che propongo è un sistema depurativo, produttivo energetico e alimentare, integrativo, parallelo a quello naturale, nel quale si potranno concentrare le produzioni più intensive e inquinanti, riciclando tutto, compreso il calore e il CO2, senza intaccare le risorse naturali, se non per integrare ciò che è stato irreversibilmente trasformato, giacché nulla si crea e tutto si trasforma. Si attingerebbero dalla natura soltanto le acque consumate dal sistema. I fanghi prodotti e le biomasse vegetali, per vie diverse andranno ai “depurcogeproduttori coperti globali” ( D.C.P.T.C.G), che ancora nessuno conosce, per produrre energia; mentre l’acqua che sarà scaricata non potrà produrre eutrofizzazione ma servirà a rinforzare l’alcalinità oceanica. Certamente, questo programma può sembrare molto presuntuoso. Chi è più presuntuoso? Chi critica un sistema che non funziona, studia e propone delle soluzioni, senza incarichi e retribuzioni, pubblicandole alla luce del sole? Oppure chi tace, ma è stato ben pagato per le proprie consulenze e forse anche per i silenzi. Questi signori non vogliono il confronto. Il futuro che prospettano con i fondi di investimento che richiedono i responsabili ambientali è quello di installare molti più impianti fotocopiati da quelli attuali, incuranti delle grandissime carenze e dei grandi consumi, integrati da nuove energie, C.C.S. e alberi artificiali. A chi toccherà combattere l’acidificazione oceanica? E l’eutrofizzazione dei corpi idrici? Pulire l’energia fossile? E recuperare le risorse ambientali disperse? Quello che è strano è che molti sanno che non possono essere queste le soluzioni, ma tacciono ugualmente sulla “depurazione globale”. Quelli, che troppo bonariamente, definisco palliativi, non sono innocui. Come minimo danneggiano l’economia, spesso danneggiano l’ambiente. Comunque sia, se qualcuno voleva fermare le proposte di “depurazione globale” avrebbe dovuto farlo prima che questa avesse partorito la produzione termoelettrica pulita, abbinata alla depurazione e alcalinizzazione dell’acqua e dell’aria, con produzione delle biomasse energetiche e alimentari. Adesso, anche questa è una realtà cartacea, messa nera su bianco, ma pur sempre una realtà. Non si può continuare a smentirla, senza nemmeno parlarne. Se chi detiene le leve del potere, non vuole curarsi dei problemi ambientali non può trascurare anche le soluzioni che attraverso la depurazione dell’ambiente prospettano, nel mondo, il recupero d’ingentissime risorse economiche, stimabili in migliaia di dollari al secondo. Il minimo dubbio che possa aver ragione dovrebbe far saltare di gioia intere popolazioni, invece, non è stato speso nemmeno un euro in questa direzione. Chi, come il sottoscritto, conosce, sebbene parzialmente (quaranta anni non sono bastati), gli impianti di produzione industriali, ambientali ed energetici, sa che non esistono impianti che non funzionano e non esistono nemmeno impianti perfetti. Tutto si basa sul rendimento. Il concetto di rendimento che si basa sul rapporto tra l’energia spesa e quella utilizzata ai fini del lavoro utile prodotto sta a indicare i limiti degli impianti e della tecnologia inventata dall’uomo. Anche i processi inventati dalla natura hanno un basso rendimento. Il segreto per aumentare i rendimenti è LA SINERGIA IMPIANTISTICA che non è mai stata utilizzata. Solo in questo modo si possono evitare gli sprechi e recuperare tutto ciò che può produrre di nuovo energia. Nel settore ambientale, nessuno si è accorto che coprendo gli impianti e collegando tra loro impianti ambientali diversi, gli scarti dell’uno possono diventare una risorsa per gli altri e i rendimenti iniziali possono essere sommati, producendo più energia e più depurazione rispetto alle risorse impiegate. Prima di inventare gli impianti globali, tutti gli impianti ambientali trovavano una scappatoia per essere accettabili, non essendoci nulla di meglio. Nessuno pretendeva di sottrarre il CO2 all’ambiente depurando le acque, oppure di produrre energia pulita dal carbone, oppure di alcalinizzare le acque carbonando a freddo le rocce o inerti calcarei, oppure producendo biomasse, biogas e compostato nello stesso impianto. Nessuno era tanto pazzo da pensare di fare tutte queste cose insieme. Queste cose, invece, non si possono ancora fare perché a proporle è stato un semplice pensionato, cui nessuno crede, nonostante si appelli a Dalton, Henry, Lavoisier, e a processi naturali vecchi come il Mondo. Insistendo su questi progetti con nuove soluzioni, crescono anche le speranze di essere creduto. Non da chi ha enormi scheletri negli armadi, ma dalla gente comune. Per il sottoscritto è impossibile continuare ad accettare gli impianti attuali, che hanno raggiunto il massimo dell’efficienza, senza avvicinarsi alle speranze offerte dai sistemi globali. E’ sempre meglio una speranza di successo che la certezza del fallimento. Prima di questa esperienza non avrei pensato che sarei stato costretto dall’indifferenza degli addetti ai lavori ad arrivare così lontano senza un minimo di sperimentazione. Mi sarebbe piaciuto, come fanno tutti, lavorare in silenzio, nascondendo i progetti e soprattutto, gli inevitabili errori. Ho dovuto far crescere alla luce del sole questi progetti con tutte le contraddizioni dovute alle successive elaborazioni partendo dall’ultima fila e con molte penalità. La depurazione globale non può fallire, anche se qualche dettaglio dovrà essere cambiato. Non si basa su un singolo progetto, ma su una serie di progetti collegati in una logica sequenziale di protezione globale dell’ambiente. Una soluzione ha chiamato l’altra. Sono entrato in molti dettagli, per non lasciare spazio a chi, uscendo dal lungo silenzio, potrebbe dire: “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. Sviluppare soluzioni e dettagli impiantistici è il mio mestiere, ma i dettagli si possono anche cambiare. Quelle che contano sono le idee globali, che possono nascere soltanto se si è in grado di mettere insieme progetti diversi, sviluppando nuovi dettagli, e soprattutto, intervenendo dove mai si è pensato di intervenire: direttamente nelle abitazioni, nelle fogne, nei laghi, nei fiumi, nei porti, lungo le coste, recuperando i fumi e le acque calde delle centrali termiche, acciaierie, inceneritori, verticalizzando stagni e coltivazioni di biomasse fuori terra e in serra. Tutto può servire a proteggere l’ambiente e a produrre nuova energia e posti di lavoro.
Nei sistemi di depurazione globale non si promettono miracoli, utilizzando una tecnologia superiore a quella attuale. Si usa la tecnologia di ieri e quella di oggi. Semplicemente, chiudono il ciclo del carbonio sul territorio: anticipando gli eventi, mettendo insieme più impianti, coprendoli per evitare le dispersioni, affinché gli scarti di un impianto possano essere utilizzati dagli altri e viceversa, per produrre biomasse, carbonati o energia. Questi aspetti, semplici e lineari, che nessuno ha mai sviluppato, non sono riportati nemmeno nei testi universitari più illuminati. Non ha senso degenerare i liquami nelle fogne, producendo idrogeno solforato, per rigenerarli nei depuratori, con sprechi insostenibili ed emissioni di CO2 nell’atmosfera, o affidando alle macchine il recupero (ai vari tipi di aerazione, ossidazione, pre e post nitrificazioni, pre e post denitrificazioni, pre e post precipitazioni chimiche). Non ha senso sprecare l’enorme quantità di calore prodotto dalle centrali termiche, inceneritori, e l’enorme quantità di CO2 che la natura usa con successo, insieme alle acque piovane, per trasportare carbonati agli oceani. Prima dell’avvento dell’epoca industriale il sistema, apparentemente, funzionava, anche se dopo milioni di anni era, comunque inevitabile l’acidificazione. L’accelerazione del degrado ambientale non è colpa dell’industrializzazione, ma della progettazione impiantistica degli ultimi cinquanta anni che non ha saputo stare al passo con i tempi. Queste incongruenze, che non notavo, quando installavo impianti, mi appaiono evidenti riflettendo da pensionato.
In questo libro scritto da chi l’ambiente l’ha vissuto attraverso gli impianti che ha incontrato in una vita di lavoro, si riporta il dimensionamento di massima di un impianto di “depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale” (D.C.P.T.C.G) abbinato a una centrale termoelettrica da 320 MWh. Da quanto esposto, ci si può rendere conto di ciò che, effettivamente, serve per proteggere l’ambiente, ma anche degli spazi e dei volumi necessari per pulire l’energia dal CO2 e recuperare il calore. L’impianto prospettato è modulare. Sullo stesso schema si possono ipotizzare, in proporzione lineare, impianti decine di volte inferiori. Difficilmente saranno realizzati impianti più grandi di quello ipotizzato, perché, come ho anticipato, la strategia della depurazione globale è quella di realizzare gli impianti verificando se esistono sul posto le caratteristiche ambientali per neutralizzare completamente l’inquinamento prodotto. Non contano i criteri adottati adesso per la realizzazione delle aree industriali, perché gli impianti attuali non chiudono il ciclo del carbonio. La depurazione dell’acqua dell’aria e il raffreddamento delle stesse, che non sono state considerate nelle progettazioni delle attuali centrali termiche e degli impianti termici, in genere, devono rispettare delle leggi fisiche e dei tempi di contatto tra i componenti, che richiedono lo spazio e i volumi necessari. E’ necessario sviluppare in altezza gli impianti, per trattenere le acque finché possano assorbire CO2, calcio e magnesio, ma se necessario, anche realizzare i processi inversi. Bisogna riconoscere che sono state troppo semplicistiche le progettazioni degli impianti termici, che si sono dimenticati di due aspetti fondamentali, come il recupero del calore disperso nelle acque e del CO2. Intorno alle C.T.E. e impianti termici vari, si possono costruire i D.C.P.T.C.G, a patto che ci siano gli spazi, i volumi e le acque necessari. Nulla da fare, invece, per i depuratori, che non potranno mai far parte della “depurazione globale”. Non mi offendo se qualcuno mi dimostra che sbaglio. Purché lo faccia alla luce del sole, confrontandosi, soprattutto, sui problemi ignorati e mai affrontati, che solo con i sistemi globali potrebbero trovare una soluzione. Per comprendere i D.C.P.T.C.G, i progettisti d’impianti termici, inceneritori, cogeneratori, depuratori dovrebbero uscire dai confini del proprio lavoro e riconoscere che l’impianto che hanno progettato non è completo fino a quando disperde nell’ambiente risorse importanti e non si completa il ciclo del carbonio. Quantomeno, dovrebbero mettersi nei panni di chi dovrebbe collegare l’impianto che hanno progettato ad altri impianti per continuare il processo di neutralizzazione dei nutrienti e il recupero delle risorse sprecate. In futuro, se ci teniamo a difendere l’ambiente e la nostra reputazione di tecnici, tutti gli impianti, dovranno essere collegati affinché possano depurare le acque utilizzate, recuperare il calore sprecato, chiudere il ciclo del carbonio senza emettere il CO2 nell’atmosfera, ricavare dagli scarti biomasse e biogas per produrre nuova energia. In pratica, non dovranno esistere gli impianti attuali, ma soltanto impianti allargati. Sembra strano che le autorità ambientali nazionali e internazionali, le multinazionali, gli studi di progettazione, ecc. non avvertano l’esigenza di questi collegamenti. Sembra quasi che il sottoscritto, dopo quaranta anni di esperienza sia un visionario dell’ambiente. Non credo di esagerare se asserisco che gli “impianti di depurazione globale” semplicissimi concettualmente, ma mai realizzati, oltre a essere un grande strumento di protezione dell’ambiente e delle economie saranno anche un grande strumento di democrazia. Il saccheggio delle risorse e le selvagge estrazioni per il beneficio delle generazioni attuali e soprattutto, delle multinazionali, a scapito delle generazioni future, non hanno consentito la nascita e lo sviluppo razionale di molte attività indotte, che avrebbero salvato le economie distribuendo meglio lavoro e ricchezza. E’ stata scelta la strada più facile e non ci si è preoccupati né di recuperare le risorse sprecate, né di prevenire il riscaldamento globale. Se avessimo seguito i criteri della depurazione globale (che coinvolge l’intero territorio, l’aria atmosferica, le acque urbane, termiche, fluviali, lacustri costiere) nella progettazione degli impianti ambientali, energetici, alimentari e industriali, ci saremmo accorti che si può produrre energia proteggendo l’ambiente, che è molto di più della semplice energia pulita rinnovabile, che per quanto utile, non partecipa al riciclo delle risorse e alla prevenzione dell’acidificazione oceanica, principale causa dello scioglimento dei ghiacciai, dell’eutrofizzazione e della riduzione delle correnti marine. Ho cercato di anticipare i concetti per non essere da solo a sviluppare le idee della depurazione globale, non sentendomi all’altezza di un compito così arduo. Dai segnali ricevuti, ho dovuto ricredermi e rimboccarmi le maniche. Rischiavo di passare per un falso profeta, un sognatore. Con la mia uscita di scena, sarebbe scomparsa anche la depurazione globale. Sarebbe stato molto più semplice, se qualcuno in grado di manovrare, una squadra di progettisti, ingegneri, biologi, chimici, mi avesse ascoltato. Non si offendano questi professionisti, ma le idee non nascono da sole, vanno seminate, concimate e coltivate e, non sempre germogliano. Solo dopo il germoglio possono intervenire gli specialisti. Nel caso della depurazione globale erano evidenti, non solo i germogli ma diverse piantine, nonostante ciò, nessuno è voluto intervenire. Dopo questa nuova e più importante pubblicazione, nella quale ripeto fino alla noia gli stessi concetti, sarà ancora più impellente domandarsi: dove ci vogliono portare? A che servono le loro denunce se non cambiano il modo di progettare il modo di costruire le città, gli impianti industriali, ambientali e di produzione energetica.
Quando inizierà la depurazione globale, spero non troppo tardi, cominceremo veramente a proteggere l’ambiente, partendo da alcune cose già assodate, come la raccolta differenziata, ma riducendo quasi a zero discariche, inceneritori, depuratori, secondo la concezione attuale. Tutto dovrà essere riciclato o digerito, chiudendo il ciclo del carbonio e consumando il CO2 negli stessi processi antropici. Così dovrebbe essere intesa la società dei consumi. Certamente, non come gli impianti attuali, termici e depurativi che disperdono da tutte le parti calore e carbonio organico e inorganico. I cicli del carbonio antropico dovrebbero svolgersi in parallelo al ciclo naturale e chiudersi su se stessi senza emettere CO2 all’esterno degli impianti. C’è una grande preoccupazione per la crescita della popolazione mondiale, ma seguendo i principi della “depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale” persino buona parte dell’agricoltura (soprattutto quella più inquinante) potrà svolgersi fuori terra, con maggiori rendimenti, senza inquinare le falde acquifere e preservando intatte le riserve naturali. Il compostato prodotto dagli impianti di depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale ( D.C.P.T.C.G) sarà il naturale terreno di coltura degli impianti produttivi “fuori terra” che si svilupperanno in verticale per consumare il CO2, producendo energia e biomasse energetiche, che saranno consumate direttamente, senza uscire dai D.C.P.T.C.G.. Il compostato in eccesso, potrà essere utilizzato per la fertilizzazione dei terreni agricoli con tutte le garanzie igieniche. Non ci sarà bisogno di intensificare le “colture in terra” che inquinano le falde. Probabilmente, non converrà nemmeno intensificarle, perché non potranno competere economicamente con quelle fuori terra, in serre verticali, che potranno essere realizzate ovunque, si producono calore e CO2, come fabbriche agricole, più sostenibili di quelle che coltivano in campo, costrette da sempre a inquinare le falde.
Troppe cose sono state accettate con rassegnazione nelle depurazioni, e nella produzione energetica, che con semplici sinergie impiantistiche, possono essere trasformate in eccellenze ambientali. La depurcogeproduzione a livello mondiale produrrà qualche miliardo di occupati. Non è un’esagerazione, perché non interessa un solo settore o un singolo Paese. Tutti saranno impegnati nel riciclo quotidiano della materia che produrrà automaticamente energia, protezione ambientale e alimentazione. La realizzazione di queste opere e la relativa gestione richiederanno un’occupazione paragonabile soltanto a quella del settore industriale e la stessa tecnologia industriale incrementerà il proprio fatturato per aumentare la capacità produttiva della protezione dell’ambiente e dell’energia. Il costo di questi impianti sarebbe compensato in buona parte dal recupero delle risorse attualmente sprecate, dagli spazi recuperati, anche se non dovremmo parlare di costi di fronte a opere con funzioni, soprattutto, sociali. Soprattutto il CO2 è una risorsa sprecata insostituibile che non va interrata. Sono risorse sprecate anche gli oltre trenta miliardi di dollari spesi per realizzare progetti di cattura e interramento del CO2 nel mondo, cui hanno partecipato Enel, Enea e il nostro Ministero dell’ambiente, che non ha mai accettato di parlare di depurazione globale. Non è democratica la disoccupazione che dilaga a livello mondiale mentre c’e tanto da fare nelle opere di protezione ambientale, energetiche e alimentari e nell’indotto delle infrastrutture e della meccanizzazione dei processi per rendere possibili queste trasformazioni. Queste non possono nemmeno iniziare se le multinazionali non intravedono un affare nella “depurcogeproduzione globale” in sostituzione dei tantissimi palliativi attuali e in fase sperimentale. Tutto il Mondo è paese. Le autorità ambientali mondiali non hanno saputo organizzare delle progettazioni ambientali nel vero interesse pubblico. Siamo nelle mani di studi privati, agganciati al potere politico ed economico locale e multinazionali dell’ambiente interessate alle gestioni e a vendere macchine che non servono nei sistemi globali. Ho letto centinaia di disciplinari di gara degli appalti pubblici riguardanti i depuratori, non sono altro che adattamenti di opere già realizzate che ripropongono gli stessi impianti, nonostante le carenze del sistema di fronte all’aumento delle portate, alla riduzione del fosforo e alle emissioni di CO2. La progettazione seria, come la ricerca, ha un costo notevole e risultati incerti. Posso ben dirlo, che come don Chisciotte lavoro da anni senza mezzi, risorse e retribuzioni. Le idee non arrivano a comando, è molto più semplice copiare e ricopiare, con piccole varianti. E’ quello che si fa nel settore depurativo che, al di la di una serie di palliativi, si è bloccato per quasi mezzo secolo. Non è sboccato nella depurazione coperta che avrebbe portato anche alla pulizia dell’energia fossile e da biocarburanti. Checché se ne dica, se vogliamo ridurre il riscaldamento globale dobbiamo riciclare anche il CO2 dei futuri carburanti biologici. Questo riciclo, non solo servirà a produrre carbonati e nuova energia, ma servirà anche a compensare quel CO2, di qualsiasi natura, più difficile da catturare. Checché se ne dica, affinché il CO2 contenuto nei fumi possa essere, raffreddato, catturato e neutralizzato occorre una diversa gestione delle acque superficiali e grandi opere che non serviranno soltanto a questo scopo. Il CO2 avrà anche il merito di costringerci realizzare delle opere altrettanto fondamentali per la sopravvivenza dell’uomo, che l’uomo non avrebbe mai fatto, impegnato a produrre soprattutto oggetti di consumo. Ne beneficerà la protezione dell’ambiente, la conservazione delle risorse, la produzione energetica e alimentare, il settore delle costruzioni, le industrie elettromeccaniche, occupazione mondiale. Il pensiero che i responsabili ambientali del pianeta vogliano interrare il CO2 mi fa rabbrividire. Sarebbe stato meglio che avessi fatto un altro mestiere. A quest’ora sarei stato felicemente e inconsciamente in pensione.
3) Le Specializzazioni, nemiche della depurazione globale
Sono certo che se mi avessero pagato e ordinato di lavorare sulla depurazione globale non avrei ottenuto nessun risultato. Anche se continueranno i silenzi su quello che scrivo, ho già dato più di quanto avessi sperato. Come molti ricercatori e progettisti, avrei sofferto di “ansia da prestazione”.
Ormai è chiaro, gli imprenditori del settore depurativo, ignorano la depurazione globale per non rinunciare alla quota di un mercato sbagliato, nel quale si sono specializzati. Gli amministratori locali lo fanno per non ammettere gli errori commessi. I gestori, che fanno affari d’oro e comandano tutto, di fronte ai grandi problemi riguardanti le progettazioni, tacciono. Loro devono soltanto gestire. Non essendoci né idee, né soldi da investire, è più facile fare finta di niente e continuare a rattoppare un sistema che non ha mai funzionato, anzi, danneggia l’ambiente. Queste soluzioni avrebbero dovuto concepirle gli scienziati che lavorano per l’I.P.C.C. ma questi ancora non si sa in che direzione vogliono andare e non sono dei progettisti, o meglio, degli impiantisti. Hanno ignorato la “depurazione globale” e preferito il C.C.S. e gli alberi artificiali. Sono capaci di avere grandi intuizioni su singoli problemi ma non di mettere insieme impianti e processi che già esistono. Nessuno ha una visione globale della protezione ambientale. Ho dovuto costruirla, passo dopo passo, conoscendo soltanto parzialmente, tutti gli impianti e i processi; Approfondendo, modificando, adattando, mettendo insieme impianti diversi e inventando tutto quello che manca. Sono molti i vicoli ciechi imboccati, che non mi hanno portato da nessuna parte. Molti sono stati ingannevoli, come i depuratori attuali che non avrei voluto cambiare. Sono stati necessari quarantaquattro anni per completare l’intero percorso. Avrei fatto prima, se gran parte di questo tempo, non fosse servito a risolvere problemi di sopravvivenza della famiglia. Alla fine di questo lungo percorso mi sembra tutto semplice e logico. Perché questa logica, così semplice, è sfuggita a intere generazioni di tecnici e stenta a essere accettata? Il problema è che la tecnologia ambientale è stata sviluppata in settori separati. Per arrivare alla “depurcogeproduzione globale” è stato necessario accorpare in una sola progettazione tutti i settori interessati. Nessuno, fino ad ora, ci ha mai provato, altrimenti si sarebbe accorto che gli impianti per essere collegati in una logica comune devono essere modificati. Nulla di quanto propongo esiste nei testi ambientali e negli impianti esistenti. Nessuno ha mai pensato che si potesse arrivate a questo traguardo. Era troppo grande il salto che dovevano fare gli scienziati dal laboratorio all’ambiente globale. Nemmeno i progettisti e i professori potevano saltare tanto. Per com’è parcellizzato e specializzato il lavoro nel mondo, avere una visione impiantistica globale della protezione ambientale, significa essere scambiato per un visionario o filosofo che non sa di cosa parla in termini tecnici e scientifici. Invece, queste proposte sono un mosaico di dettagli. Vengono da un vecchio impiantista che ha partecipato, sia pure da gregario a grandi stabilimenti industriali e di produzione; come a grandi depuratori, grandi sollevamenti e opere idrauliche, che seguono tecniche e logiche di progettazioni molto diverse tra loro. Certamente non sono un visionario, né un filosofo, non è la praticità delle soluzioni che mi manca. Se ho qualche carenza, è da ricercare negli aspetti scientifici, troppo vasti, per essere approfonditi in tutte le discipline interessate. Nelle proposte di depurazione globale è stato necessario sintetizzare, non approfondire, altrimenti non sarei mai arrivato alla conclusione. Si può dire che più che progettare gli impianti è stato necessario progettare gli ambienti nei quali possano avvenire i processi naturali con maggiore efficienza.
Fino ad ora, non è cambiato nulla dal protocollo di Kioto, tranne la nascita delle nuove energie, che sul piano concreto del riscaldamento, della produzione alimentare e della protezione ambientale, non incidono significativamente, mentre incidono poco anche sulla produzione energetica: hanno bisogno di enormi sovvenzioni governative per competere con l’energia fossile. Invece, con la D.C.P.T.C.G., possiamo continuare a produrre energia fossile ma pulita dal CO2, possiamo integrarla o sostituirla con bioenergie ancora più pulite, addirittura, sottrarre CO2 alla produzione energetica biologica, chiudendo in negativo il bilancio delle emissioni di CO2. Possiamo alcalinizzare in modo sostenibile le immense quantità di acque che passano nelle centrali termoelettriche e vanno verso il mare, e recuperare l’energia termica dispersa per produrre nuova energia. Di fronte a queste immense possibilità, da sempre, trascurate, anche le nuove energie, certamente utili, vanno ridimensionate. Se della “depurazione globale” non si doveva parlare perché si deve continuare a nascondere i colossali errori commessi, della “depurgogeproduzione globale”, a maggior ragione, non si dovrà parlare perché addirittura scontenta le “energie emergenti” nelle quali si sono buttati interi Paesi, Italia compresa, soprattutto la Cina. Probabilmente, scontenta anche le multinazionali del petrolio che preferiscono pulire l’energia con il C.C.S., che comporta un aumento di consumo di combustibili fossili (abbassando il rendimento della combustione) e nuove perforazioni della crosta terrestre che solo i petrolieri possono effettuare (e noi pagare). Con le mie soluzioni non ho rispettato le regole. Cosa c’entra la depurazione e l’alcalinizzazione delle acque fluviali, lacustri e marine con l’energia? Come si può mettere insieme la fotosintesi con le resine di scambio ionico? E cosa centra l’aumento del rendimento termico per vie traverse: uscendo dalla centrale con acqua e fumi caldi e ritornandovi con biogas di alta qualità? Certe regole, diventate consuetudini internazionali, si dovrebbe continuare a rispettarle. Dove vogliamo arrivare se anche i periti industriali, per giunta, pensionati, si mettono a progettare impianti energetici e di protezione ambientale. Sembra una versione moderna della famosa poesia di Totò: “La livella”. Dopo i silenzi ricevuti dal mondo scientifico e imprenditoriale con la depurazione domestica, fognaria e globale, in occasione della “depurcogepruduzione coperta globale”, ho pensato che era inutile insistere per avere delle collaborazioni. Ho voluto scrivere una “livella” ambientale, rivangando il passato, non solo delle vicende personali ma, addirittura, risalendo all’era “primordiale” per sapere come ha fatto la natura a difendersi dal riscaldamento globale. Ho voluto illustrare un progetto concreto per cercare di dimostrare che l’energia fossile si può pulire e il prodotto di questa pulizia può portare alla protezione dall’acidificazione delle acque, alla produzione di biomasse e di biocarburanti e ad altre forme di protezioni ambientali che non sono immaginabili con i sistemi attuali. Sono troppo squilibrati e non collegati gli impianti attuali: trattiamo pochissima acqua e produciamo nelle singole centrali termiche troppa energia elettrica, che non può essere ripulita dal CO2 per mancanza di spazi e di acqua. Con impianti così squilibrati, non possiamo nemmeno recuperare le immense quantità di calore prodotto. Non si offendano i progettisti, ma le progettazioni attuali, si sono sprecate nei dettagli interni agli impianti, sono state carenti in quelli esterni, che riguardano, le emissioni di CO2 e le dispersioni termiche e di liquami nell’ambiente. Pur arrivando ad altissimi rendimenti termici, quello che traduciamo in energia è appena il 40%. E’ stato troppo superficiale, fino ad ora, uscire nell’atmosfera con dei semplici camini o ciminiere e scaricare acqua calda, acida e inquinata nei mari e nei fiumi, per poi domandarsi le cause dell’eutrofizzazione e del riscaldamento globale. Con la D.C.P.T.C.G. i camini e le ciminiere non saranno l’elemento finale per l’espulsione dei fumi, ma l’elemento iniziale del processo di recupero del CO2; e le acque non saranno scaricate fino a quando, oltre a essere depurate, non saranno arricchite di carbonati, recuperati in gran parte proprio dai camini e ciminiere. Per completare questi impianti occorrono altre opere che si possono ancora fare, risolvendo gli attuali problemi ambientali e occupazionali. Infatti, la parte non completata è quella che comporterebbe il recupero delle risorse e una più equa distribuzione della ricchezza a livello globale. Come può un organismo internazionale, con tanti scienziati, premiato con il Nobel, partorire o avallare il C.C.S.? E come possono tantissimi organismi nazionali accodarsi, spendendo in opere contro natura le già scarse risorse? Se non si crea occupazione per tutelare le risorse naturali, in quali settori le autorità la vorrebbero creare? Nei futuri impianti, che produrranno energia, dovremo sottrarre ai fumi il CO2 e donare alcalinità all’acqua. Se non ci riusciremo, sarà perché produciamo troppa energia in quel posto, non compatibile con la disponibilità di acqua e di spazi. Dobbiamo trovare il giusto compromesso, riducendo la produzione energetica, per produrla altrove. Nell’esempio di dimensionamento di un impianto di “D.C.P.T.C.G.”, si vede chiaramente che per pulire l’energia, recuperare il calore, depurare le acque, l’ingombro originale di una C.T.E. può triplicare. Le acque avranno compiti immensi: raffreddamento delle turbine e condensatori, raffreddamento dei fumi; riscaldamento dei digestori anaerobici. Servirà spazio vicino alle centrali termoelettriche anche per la produzione, stoccaggio e consumo di biogas, depurazione e alcalinizzazione delle acque del processo, di raffreddamento, di riscaldamento, d’irrigazione, di produzione, del digestato liquido e solido, disidratazione e compostaggio dei fanghi. Tutto ciò porterà alla produzione di nuova energia ripulita dal CO2 in un ciclo infinito gestito dall’uomo ma parallelo e integrativo a quello naturale.
Gli impiantisti, come il sottoscritto, troppo rispettosi delle categorie superiori: scienziati, progettisti e ricercatori, hanno sottovalutato il loro ruolo. Viaggiando più leggeri, senza sprofondare in dettagli interni alle centrali, e interni ai processi biologici, che non siamo tenuti a conoscere dettagliatamente, dovevamo essere noi a trovare le soluzioni impiantistiche globali. Purtroppo, da pensionato, mi sono accorto, che come impiantista, sono stato un caso molto anomalo. Anche gli impiantisti, come tutti, preferiscono la specializzazione. E’ più redditizia sul piano economico e professionale. Sono uno dei pochissimi che ha amato conoscere gli impianti più della carriera. Dopo quasi un ventennio tra gli impianti di produzione industriali, ho lasciato volontariamente l’industria per conoscere gli impianti ambientali, ripartendo da zero. Ma anche in questo settore, mi sono accorto, che sono preferite le super specializzazioni. Il settore è più vasto di quanto si pensi. Oltre ai depuratori, c’è il sistema fognario (abbastanza complesso e trascurato), le reti di distribuzione idrica con telecontrollo e i vari sollevamenti, le opere di presa dai corpi idrici, i campi pozzo, gli impianti irrigui, le idrovore, le centrali di sollevamento. Gli stessi sistemi depurativi utilizzano tecnologie diverse nelle quali singole aziende sono specializzate. Poi ci sono le cogenerazioni, le centrali termoelettriche, idroelettriche, solari eoliche ecc. Solo da semplice tecnico installatore, ho potuto conoscere tutti questi impianti, che sommati a quelli conosciuti nel ventennio precedente, mi hanno trasformato in un’enciclopedia vivente dell’impiantistica. Gli specialisti, vincolati dalla specializzazione, raramente ragionano su problemi dei quali non sono competenti. Devono rivolgersi ad altri specialisti di altri settori. Mettere insieme strutture tecniche molto diversificate è estremamente costoso e non sempre la somma algebrica delle esperienze, porta al risultato giusto, altrimenti non esisterebbero i calcoli matematici più complessi. E’ questa la ragione per la quale esistono soluzioni depurative prevalentemente biologiche, altre prevalentemente chimiche, altre prevalentemente meccaniche. Gli addetti ai lavori hanno pensato che bastava la somma algebrica senza pensare che dovevano progettare anche il contenitore tridimensionale per tenerle insieme. La tridimensione avrebbe reso evidente che molte cose sfuggivano al trattamento. Le loro soluzioni avrebbero dovuto essere cambiate. Non lo hanno fatto e la vera protezione dell’ambiente non è mai iniziata. E mai inizierà se non si realizzano le modifiche agli impianti e le sinergie impiantistiche necessarie per il recupero delle risorse sprecate.
Personalmente, non mi meraviglio se un ricercatore non conosce nulla di quello che avviene nel sistema fognario. Le sue ricerche iniziano e finiscono nell’ambito di un singolo processo. E non mi meraviglio che un progettista specializzato in scambiatori di calore, non conosca la chimica e la biologia. E’ grave, invece, che chi progetti gli impianti del territorio, sottovaluti la prevenzione dell’idrogeno solforato che potrebbe essere fatta attraverso la depurazione domestica e fognaria (http://nuovopianeta.blogattivo.com/Gaia-b1/La-prevenzione-dell-idrogeno-solforato-nella-rete-fognaria-b1-p54535.htm) che ridurrebbero il lavoro dei depuratori di almeno il 50%. Ma si potrebbe andare molto oltre con la “depurazione globale nelle città”. Abbassando i carichi, coprendo e verticalizzando gli impianti, aumentando le portate. Tutte le esperienze sui fanghi attivi vanno a farsi benedire e si può già incominciare a parlare d’impianti globali. E’ grave che non si sia ragionato abbastanza sulla dimensione delle centrali termiche e sulle possibilità di recupero del calore sprecato e del CO2. Se i progettisti fossero stati meno specialisti e avessero ragionato in termini di depurazione globale, avremmo risparmiato molti investimenti e soprattutto, non dovremmo smantellare gli impianti inadatti alla protezione ambientale. Il calore stesso, disperso nell’ambiente, è una forma d’inquinamento che favorisce il riscaldamento globale. Abbassando, tramite gli scambiatori di calore, la temperatura dei fumi, modificando le ciminiere come descritto al cap. ventitré, si può rendere più accessibile la cattura e il consumo del CO2 ai fini ambientali, senza ricorrere all’interramento. Purtroppo, se i progettisti si sentono già appagati dal corretto dimensionamento della ciminiera dal punto di vista del tiraggio, nascono i casi ILVA. Le ciminiere così come sono state costruite dall’avvento dell’epoca industriale devono essere modificate per riportare i fumi verso il basso, facendoli passare attraverso i fabbricati serra. Queste cose può proporle soltanto chi sa mettere insieme gli impianti. E chi sa mettere insieme gli impianti se tutti si fermano alla base della ciminiera o allo scarico delle acque calde e acide, ritenendo di aver esaurito il proprio compito? Poi ci domandiamo perché aumenta la concentrazione di CO2 nell’atmosferae l’acidificazione dei laghi e del mare. A nessuno è venuto il sospetto che gli impianti realizzati non siano completi.
Nel mondo industriale difficilmente un singolo impianto produce un prodotto finito. Occorre saper mettere insieme gli impianti in un sistema di produzione competitivo sul mercato, senza sprecare nessuna risorsa (materiale energia mano d’opera). Considerando i flussi produttivi, ogni impianto è contenuto in un’altro ancora più grande e tutti sono collegati per ottenere la massima produzione e qualità nell’unità di tempo. Perché nella protezione ambientale, avanziamo alla carlona? Gli impianti non sono collegati. Tutti gli scarichi e le emissioni, depurati e no, sono versati nel grande impianto della natura, che ha capacità di difesa, molto limitate, se si pensa che ricorra alla fossilizzazione dei rifiuti organici e inorganici che richiede milioni di anni. Volendo ottimizzare, oltre alla produzione, anche la protezione ambientale, occorrerebbero altri investimenti. Nel mondo industriale, con le energie e le professionalità esistenti, se avessero voluto i problemi, li avrebbero risolti. Ma si sono fermati ai camini e agli scarichi, attenendosi alle leggi, senza aumentare i costi di produzione. La patata bollente è nelle mani del legislatore e della magistratura, che non possono superare lo stato dell’arte, e lo stato dell’arte è nelle mani dei privati, che preferiscono avanzare nei sistemi di produzione di beni di consumo anziché in quelli di protezione dell’ambiente. La progettazione pubblica è inesistente e quella privata, avendo sbagliato strada finge di non accorgersi che il sistema dei fanghi attivi e delle macchine depurative a cielo aperto non funziona, trattando poca acqua e non essendo in grado di chiudere il ciclo del carbonio. Anzi Produce CO2. Occorrerebbe una progettazione pubblica, che non può nascere perché le università non si discostano dalle soluzioni prospettate dall’industria. I professori universitari sono i principali consulenti delle regioni, consorzi e comuni. Vendono quello che hanno: la stessa merce globalizzata in tutto il mondo. Il settore pubblico, dopo aver selezionato, per concorso, i giovani più preparati, ha delegato la protezione ambientale agli studi privati. Questo, probabilmente, sotto forme diverse, è avvenuto in tutto il mondo. Solo in questo modo si spiegano gli scarsi progressi della protezione ambientale e la diffusione e commercializzazione nel Mondo degli stessi sistemi depurativi e di produzione energetica. Impianti e componenti sono contenuti in migliaia di cataloghi ben illustrati da rappresentanti e siti internet. I depuratori sono saturi di perfezionismi, ma trattano sempre meno acqua, ne sversano tantissima non trattata, aggravano i problemi dell’acidificazione del Pianeta. Ci vuole altro per cambiare la protezione ambientale. In un mondo super specializzato, manca la specializzazione più importante: quella di saper proteggere l’ambiente, che non è fatto di acqua, aria e terra come elementi separati. Questi tre elementi sono delle miscele di diversi componenti che interagiscono tra loro continuamente e non possono interagire nelle macchine, per giunta a cielo aperto. Occorrono impianti globali coperti da realizzare sul posto, nei quali acqua e aria e rocce calcaree possano interagire prima di uscire nell’atmosfera libera, dove pur trovandoci alla pressione atmosferica, cambiano completamente le pressioni specifiche e la solubilità dei gas. Forse qualcuno ha compreso il messaggio. Perciò tace. Ma i funzionari pubblici messi a guardia dell’ambiente nelle varie istituzioni che cosa fanno? I più brillanti scrivono interessanti pubblicazioni. Bisogna chiedersi a quale scopo? Se non arrivano a proposte concrete e soprattutto, perché hanno taciuto sulla “depurazione globale” Nessuno nella protezione ambientale ha mai impiegato queste parole e quindi nessuno si propone di proteggere globalmente l’ambiente. Al massimo gli urbanisti stabiliscono un piano regolatore, separando le aree urbane da quelle industriali e l’area del depuratore delle acque, che di solito è comune alle acque industriali e urbane. Dove sono gli altri impianti? Quelli che depurano l’aria nelle città? Quelli che proteggono i corpi idrici, le foci dei fiumi, le zone costiere dall’eutrofizzazione? Quelli che recuperano il calore e il CO2 dalle centrali termoelettriche? Risposta: queste protezioni non esistono, perché non abbiamo saputo progettare gli impianti. Soprattutto non abbiamo saputo sviluppare soluzioni semplici che favoriscano il contatto tra grandi masse di acqua aria e carbonio negli ambienti adatti per contrastare le emissioni che incidono sull’inquinamento globale.
Quello che mi preme sottolineare è che nel settore ambientale, mancano gli specialisti impiantisti del territorio e tutte quelle professionalità che portano a un aumento della produttività, senza penalizzare la qualità. Gli impianti li mettono insieme gli specialisti del settore acqua, aria, terra, rifiuti, energia, che si tramandano il mestiere di generazione in generazione, secondo lo stato dell’arte e gli aggiornamenti delle aziende produttrici di macchine per l’ambiente, specializzate in nicchie di mercato. Manca un livello di supervisione impiantistica che metta insieme questi impianti sul territorio, soprattutto collegandoli tra di loro, possibilmente, senza trasporti su strada. Se ci fosse stato, almeno un ristretto gruppo di supervisori, almeno questi si sarebbero accorti che gli impianti, non potendo essere collegati per completare la chiusura del ciclo del carbonio, sono sbagliati.
Da vecchio impiantista, anomalo, sono convinto che se non insisto con la depurazione globale, fino a che le forze mi sostengono, difficilmente qualcun altro metabolizzerà le mie esperienze e le mie riflessioni. I silenzi ricevuti hanno rafforzato queste convinzioni. Scienziati e ricercatori, sempre più specializzati, giustamente, si esaltano per piccole e importanti scoperte scientifiche in ogni settore, ma non vedono le travi di collegamento che mancano in una struttura superiore, come quella della natura, che sta crollando molto velocemente, geologicamente parlando. Chi produce energia non si preoccupa dell’acqua e dell’aria e viceversa. Siamo poco oltre il concetto che il CO2, essendo il prodotto della combustione perfetta, sia inattaccabile e indistruttibile. E’ questa la ragione per la quale lo vogliono interrare. Per vedere questi legami bisogna andare oltre le esperienze dei singoli settori, entrare in alcuni dettagli delle singole progettazioni e apportare le modifiche, affinché gli impianti possano essere collegati. Nessun impianto può essere un’isola, a se stante, perché da solo non può chiudere il ciclo del carbonio. Almeno il ciclo del carbonio antropico, deve essere chiuso dall’uomo. La natura, da sola, non riesce a chiudere nemmeno il ciclo del carbonio naturale, come può assorbire anche quello antropico? E’ stata costretta ad alternare, dopo molti milioni di anni, ere di riscaldamento e glaciazioni per ristabilire gli equilibri. L’uomo sta accelerando la velocità di questi cambiamenti perché ha prodotto sistemi di protezione ambientali inconsistenti, mentre produce grandi quantità d’inquinamento. Nella protezione ambientale, non ci sono stati progressi efficaci, anzi perdiamo terreno, perché non sono state realizzate quelle sinergie, professionali necessarie a superare i limiti dei progettisti locali che si occupano separatamente di aria, acqua, energia, industria e agricoltura. Le innovazioni più importanti, in ogni settore, avvengono quando s’importano esperienze sperimentate in altri settori, oppure quando si combinano insieme più processi o impianti. Non so cosa avverrebbe se s’inserissero in un computer le varie esperienze mondiali sull’ambiente per sintetizzarle in una sola soluzione universale. I computer, a volte fanno miracoli, a volte deludono. Personalmente, preferisco la sintesi fatta a mano, a naso e a intuito professionale, che mi ha portato alla D.C.P.T.C.G.
Alcuni impianti, dal punto di vista della tutela contro l’inquinamento globale, devono essere cambiati completamente. E’ il caso dei depuratori. Senza la copertura delle vasche non si va da nessuna parte nella futura protezione dell’ambiente e nella produzione energetica sostenibile. Sono le vasche coperte l’elemento di collegamento tra i vari settori per trasformare gli impianti locali in impianti globali. Ma questo non vogliono accettarlo i progettisti, i professori e le autorità ambientali. Oggi si coprono le vasche solo per mascherare i cattivi odori prodotti da cattive progettazioni e gestioni, sprecando altre risorse, con impianti di deodorizzazione che mascherano gli odori, senza ridurre l’inquinamento. Che non propongo banalità e ci sia bisogno di coraggio e praticità da parte delle autorità ambientali lo dimostrano i risultati dei vertici mondiali. Le 194 delegazioni degli stati sovrani, con scienziati, giornalisti e curiosi, fino a superare mediamente le 100.000 presenze, che si riuniscono ogni anno per discutere del riscaldamento globale e dell’energia, tornano, puntualmente, a mani vuote perché non esiste ancora la cultura degli impianti globali, dove si possa chiudere il ciclo del carbonio antropico, senza sprecare risorse e senza danneggiare l’ambiente. Non conosco proposte concrete degli organismi pubblici, a parte il C.C.S. e alberi artificiali che mi fanno credere ancora di più alla “D.C.P.T.C.G.” che si aggiunge, non si sostituisce alla “depurazione globale”.
Solo per incominciare e far vedere come potrebbe essere concepito e come potrebbe funzionare un ipotetico impianto di “depurgogeproduzione termoelettrica coperta globale” (D.C.P.T.C.G) ho provato a dimensionarne uno con una potenza energetica di 320 MWh in questo documento. Ne vedremo delle belle. Ma vedremo anche delle sezioni staccate di questi impianti che potranno essere dislocate nelle città, come dei comuni fabbricati, che nella realtà, saranno delle serre verticali (F.S.V.) nelle quali depureremo l’acqua e l’aria catturate attraverso il sistema fognario (v. la depurazione globale nelle città).
Queste opere, oggi non esistono né in versione completa né parziale, nemmeno nell’immaginario collettivo degli addetti ai lavori. In concreto, oggi, con i sistemi depurativi ed energetici esistenti non proteggiamo per niente l’ambiente nel quale viviamo e non recuperiamo quasi nulla delle risorse energetiche: i nutrienti organici sono degenerati nel sistema fognario prima di arrivare ai depuratori (triplicando i costi degli impianti e delle depurazioni); i nutrienti inorganici sono dispersi nell’atmosfera creando malattie polmonari e riscaldamento globale; l’energia termica contenuta nei fumi e nelle acque ugualmente è dispersa nell’ambiente. Con la depurazione globale non servono alberi artificiali e nuove energie ritenute speciali, solo perché non emettono CO2, pur avendo costi di produzione dieci volte superiori all’energia pulita della “depurcogeproduzione” e problemi di smaltimento dei materiali ancora irrisolti e difficilmente risolvibili. Negli impianti globali il CO2 è una risorsae tutto è recuperato con costi di produzione dimezzati, rispetto a quelli attuali. Se oggi sul piano economico l’eolico e il solare non possono competere, nel prossimo futuro, se sarà compresa la “depurcogeproduzione”, non potranno competere nemmeno sul piano ambientale. Infatti, al massimo potranno essere neutrali nei confronti dell’ambiente, non saranno mai in grado di proteggerlo. Occorrono grandi opere che gli addetti ai lavori ancora non hanno iniziato nemmeno a immaginare. I demagoghi, le definiranno di grande impatto ambientale, ma lo faranno soltanto per difendere le soluzioni attuali, che non proteggono l’ambiente. Esistono sprechi immensi e potenzialità impiantistiche enormi, mai sfruttate per ostacoli ritenuti insormontabili, da progettisti, ricercatori e impiantisti che non hanno mai provato a uscire dagli impianti tradizionali. Altri sprechi sono stati causati indirettamente consentendo investimenti e incentivi in settori di cui non si sarebbe sentito il bisogno, se fossero stati sviluppati per tempo i D.C.P.T.C.G.. Basti pensare alle centrali nucleari e anche alle nuove energie non competitive con un’energia fossile o biologica pulita. Si sarebbero evitati anche la gran parte degli inceneritori e discariche e compostaggi. Hanno gravi responsabilità progettisti e autorità ambientali. Basti pensare anche al CO2, che è lo spauracchio e l’emblema del riscaldamento globale, il quale fa di tutto per farsi catturare e utilizzare per rendersi utile. Essendo un gas, non velenoso, se non in alte concentrazioni, più pesante dell’aria e del vapore; in più, moderatamente acido per produrre carbonati. Nessuno apprezza queste qualità. Una giuria potente ha condannato unanimemente il CO2 all’interramento, mentre da interrare, sarebbe chi ha organizzato l’intero processo.
Nessuno, nemmeno l’ONU, ha mai pensato di commissionare uno studio su un sistema di depurazione globale da condividere con tutti i 195 stati sovrani. Non lo ha fatto nemmeno un mecenate, come BILL GATES con la sua fondazione. Nessuno ha mai pensato che questo fosse possibile, tranne il sottoscritto. Nessuno ci vuole credere perché, come ho spiegato, la protezione globale dell’ambiente non è compatibile con i sistemi oggi commercializzati. Tuttavia, nel mondo c’è qualche grandissima multinazionale che ricoprono tutti i settori tecnologici per chiudere il ciclo del carbonio, ma queste aziende non si sono accorte di poterlo fare. In queste grandissime aziende il settore depurativo è separato da quello energetico e quello delle automazioni industriali è ancora più lontano. Spero, almeno, di aprire gli occhi alla gente comune, essendo irraggiungibili, politici e imprenditori. Paradossalmente, come stanno le cose, dovremmo sperare che almeno le grandissime multinazionali, con attività diversificate, si accorgano che già sono strutturate per lavorare in favore della depurazione globale e, non contro, come fanno ora. Potrebbero compensare le piccole perdite che deriverebbero dai cambiamenti nel settore depurativo, con i grandi guadagni realizzabili nel settore energetico (grazie al recupero del calore) e l’immenso mercato che si aprirebbe nel settore dell’automazione industriale, necessaria allo sviluppo in verticale dei fabbricati serra verticali (F.S,V.). Spero che non si offendano i grandi manager alla guida di queste aziende planetarie, se un modesto pensionato da 1.700 euro al mese (da dividere in tre), propone loro di chiudere, almeno nei loro impianti il ciclo del carbonio antropico. Naturalmente, traendone il giusto profitto. Non si sono accorti di poterlo fare? non sanno come fare? E’ questa un’altra ragione per la quale ho scritto questo libro e cerco di diffonderlo con i potenti mezzi di chi non ha niente.
4) Le prospettive degli impianti globali
Se sono arrivato a ottimistiche speranze di protezione dell’ambiente, partendo da pessimistiche constatazioni dei sistemi di protezione dall’inquinamento di origine agricola, industriale, urbana, degli sprechi dei sistemi di depurazione e produzione energetica, dalle scarse speranze che le nuove energie, semplicemente pulite, possano incidere in modo significativo sul risanamento ambientale, devo ringraziare chi ha snobbato le mie proposte. Per comprendere le ragioni (che ho compreso, ma non accettate) per le quali sono state snobbate queste proposte che vorrebbero portare la depurazione dove non è mai arrivata e dove imperversa l’eutrofizzazione, sottraendo CO2 attraverso l’alcalinizzazione e la fotosintesi nelle acque, sono arrivato a queste nuove proposte che coinvolgono ancora di più il territorio, l’atmosfera, le attività agricole, urbane, industriali; i rifiuti organici e la produzione energetica, come in un unico impianto allargato. Le citazioni allarmistiche, elencate nei primi capitoli, sono state estratte da vari articoli pubblicati da autorità e organizzazioni ambientali, ma non esistendo ancora i sistemi di protezione ambientale globale, sembra che siano pubblicati ad arte, per spendere altre risorse nei palliativi ambientali attuali. Sembra che di concreto le pubbliche autorità abbiano inventato soltanto il mercato delle quote di CO2 per consentire le speculazioni anche in questo settore e al capitale di investire dove più facilmente si può inquinare, senza ridurre di un grammo le emissioni. Molto di più ha potuto la crisi economica globale, ma non possiamo invocarla, per ragioni sociali. I politici italiani, sempre pronti a soccorrere le vincenti multinazionali, altrettanto sono stati unanimi a tacere sulla “depurazione globale” che non rientra nei piani attuali di chi gestisce e governa realmente l’ambiente e l’energia. Nessuno ha compreso lo spirito della “depurazione globale” e nessuno ha voluto approfondire l’argomento. Quelli anticipati non sono altro che la punta di un iceberg che potrebbe cambiare il modo di proteggere l’ambiente, produrre energia e la stessa economia. Quando e se queste autorità si renderanno veramente conto che, a parte i progressi tecnologici (sempre utili), le strategie impiantistiche adottate, anche nei paesi più evoluti, sono sbagliate, si potrà iniziare il vero risanamento ambientale. Hanno tutta l’autorità per imporre come dovranno essere realizzati gli impianti, perché i sistemi depurativi (industriali e urbani) e di produzione energetica in tutti i paesi del Mondo sono sotto il controllo pubblico. Bisognerà porre sotto il controllo pubblico anche la produzione di biomasse energetiche che assumeranno un ruolo sempre più importante nella gestione delle risorse disponibili per gli uomini. Se gli impianti di depurazione e produzione energetica fossero stati progettati con una visione impiantistica globale, si sarebbe già compreso che il CO2 prodotto dalle centrali termoelettriche può essere gestito come una preziosa risorsa, insieme al calore disperso, ai rifiuti organici e ai fanghi prodotti, ovviamente, digestati stabilizzati e compostati. Si sarebbe compreso che il programma di riduzione del CO2 messo a punto dalle Nazioni Unite è un ulteriore freno, non solo alla crescita dell’economia, ma anche della protezione ambientale. Il CO2, se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. Sono stati gli uomini a creare il problema del CO2 non avendo saputo progettare, fino ad ora, gli impianti globali. Il nostro bel Paese non si è mai distinto per le proprie idee nella tutela dell’ambiente, nonostante abbia un patrimonio enorme da difendere. Se non fossimo stati rimorchiati dall’Europa, che spesso ci sanziona anche in questo campo, saremmo in condizioni assai peggiori. Anche in questo settore la nostra classe dirigente ha confermato di volare troppo in alto per misurarsi con i problemi reali. Ma, almeno in questo caso, è in buona compagnia. Basta vedere l’inconcludenza dei vertici mondiali. Come potevo aspettarmi di trovare degli interlocutori senza essere passato per Harvard, o almeno dalla Bocconi e il politecnico di Milano? Le cose che propongo non sono rivoluzionarie nel senso tecnologico, ma lo sono nella strategia impiantistica. Essendo un tecnico impiantista non entro nel merito dei processi, che certamente sono validi, soprattutto, quelli inventati dalla natura. Chi fa questo lavoro deve avere fiducia nel lavoro degli altri, non può cercare di comprendere il funzionamento di un televisore quando deve soltanto installarlo, tuttavia, più degli altri, si accorge che quel televisore di ultima generazione, non può funzionare senza le apparecchiature di collegamento con il sistema trasmittente. Purtroppo, non mi occupo di televisori, ma di ambiente, e pur avendo fiducia nel lavoro degli altri, non sono riuscito a collegare gli impianti ai fini del risparmio energetico e della lotta al riscaldamento globale, senza modificarli. Vorrei sbagliarmi. Se mi sbaglio, non abbiamo speranze, perché senza i collegamenti tra la protezione ambientale e le produzioni energetiche e alimentari non si va da nessuna parte. Oggi tutti i sistemi di depurazione, trattamento rifiuti, produzione energetica termica, pur impiegando tecnologie di avanguardia, hanno scarsi rendimenti e non proteggono l’ambiente perché sono stati progettati con obiettivi limitati e locali, senza i necessari collegamenti ambientali. Sono dannosi a livello globale, non solo per le emissioni di CO2, ma anche perilcontributo che forniscono all’inquinamento delle falde acquifere, all’acidificazione oceanica e a tutto quello che concorre al riscaldamento globale. I progettisti pubblici e privati non hanno ancora una visione globale dei problemi, quindi non possono progettare degli impianti globali. Quando ho compreso che nessuno mi avrebbe ascoltato mi sono fermato per vedere dove sarei arrivato con le mie sole forze. Da oltre un anno, ho smesso di pubblicare articoli sulla depurazione domestica, fognaria, fluviale, lacustre, portuale, evidentemente, globale, considerate opere di fantasia e preludio di decadimento senile di chi è stato messo da parte dal sistema produttivo. L’isberg che ho trovato dietro a quelle farneticazioni, che ho chiamato “depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale” merita una pubblicazione particolare. Quasi una progettazione, con riferimenti, tecnici, dimensionali, economici, perfino storici, per quanto è possibile, con le modeste capacità di un semplice impiantista. Qualcuno potrebbe dire che ho inventato soltanto una parola più lunga delle altre e arrivo con molto ritardo alla cogenerazione, ma si sbaglierebbe, perché la D.C.P.T.C.G. e l’evoluzione insperata, non solo delle attuali cogenerazioni, ma anche della depurazione, produzione energetica, e alimentare. Per giunta senza un centesimo di euro di finanziamento pubblico e privato. Oltre non posso andare. Questi impianti non possono nascere nell’indifferenza delle Autorità e degli addetti ai lavori privati. Questi ultimi temono la semplicità impiantistica della depurazione globale, dovendo commercializzare gli inutili impianti attuali. Ma anche le cose semplici hanno bisogno di investimenti, sperimentazioni e successivi aggiornamenti. Basti pensare che i sistemi depurativi ed energetici attuali, che hanno il grave difetto di non proteggere l’ambiente e di sprecare immense risorse, siano in aggiornamento da almeno cento anni, vi hanno partecipato e vi partecipano molte migliaia, se non milioni, di addetti ai lavori, da varie generazioni, compresi scienziati di fama mondiale. Io stesso ho partecipato alla diffusione installando impianti in Italia e all’estero. Ho il massimo rispetto per tutte queste persone, che hanno consentito lo sviluppo tecnologico senza il quale non potrei fare le mie proposte, ma nessuno si deve offendere se dico che non si è guardato oltre l’aspetto locale. Bisogna anticipare i trattamenti (che separando i sedimenti organici impedirebbero la formazione d’idrogeno solforato) per conservare la freschezza dei liquami, rimettere insieme gli impianti seguendo un criterio di protezione globale dell’ambiente. La maggior parte dei sistemi che usiamo per la depurazione e la produzione energetica sono stati concepiti quando non si parlava ancora di riscaldamento globale. Ma, se ragioniamo, sono sbagliati anche per non aver rispettato i principi della conservazione della materia e dell’energia. Probabilmente, per abitudine, si continua sulla stessa strada, migliorando la tecnologia, ma senza vedere alternative, soprattutto, senza sfruttare le sinergie tra la protezione dell’ambiente e la produzione di energia, che potrebbero migliorarsi a vicenda. So bene che le centrali sono molto diverse dal passato, e hanno raggiunto livelli eccellenti di combustione, ma il rendimento generale non supera il 40% e solo con i moderni cicli combinati si supera il 50%. Ma lo spreco maggiore lo facciamo nel settore delle acque. Occorrono opere per trattenere le acque superficiali (senza attingere selvaggiamente dalle falde) per produrre biomasse energetiche e alimentari, consumando CO2 e producendo carbonati da affidare alle stesse acque superficiali, che sono le sole che possono trasportarli agli oceani che si stanno acidificando. Queste opere, pur semplici, logiche e realizzabili, come dimostro con l’esempio di dimensionamento, sono lontane dalle attuali concezioni impiantistiche ambientali ed energetiche. Queste opere dovrebbero essere abbinate alle centrali termoelettriche, o meglio, poiché queste già ci sono, conviene realizzarle dove si trovano le C.T.E. Solo in questo modo, potremo aumentare il rendimento di sfruttamento delle risorse e pulire l’energia prodotta. La D.C.P.T.C.G. nasce dall’affinamento delle precedenti proposte, di depurazione globale, ma anche da esperienze nell’industria, nel settore energetico e nella produzione agricola. Con la simbiosi impiantistica tra questi settori la nuova produzione energetica diventerebbe multifunzione: depurativa e protettiva dell’ambiente. Concorrendo diversi recuperi di risorse e sommando le prestazioni delle varie sezioni supereremo ampiamente il rendimento generale del 100% in produzione energetica rispetto alla fonte energetica di base. Ma a questo aumentato rendimento bisogna aggiungere gli aspetti della protezione ambientale, ben superiori a quelli dei sistemi attuali. Nella D.C.P.T.C.G. queste fonti sono inserite nel processo tramite un ciclo chiuso parallelo, espellendone una minima percentuale nell’atmosfera, contro il 100% attuale. Tutto ciò che oggi è scarto potrebbe servire a proteggere l’ambiente producendo energia con costi inferiori a quelli attuali, benché l’attuale produzione energetica, sia tutt’altro che protettiva nei confronti dell’ambiente. In altre parole, i più grandi problemi con i quali l’uomo si sia mai confrontato, quelli del riscaldamento globale e delle emissioni di CO2,potrebbero essere risolti gratuitamente in grandi e medi impianti con più funzioni, che non potranno che migliorare le prestazioni negli anni successivi alle prime realizzazioni, man mano che la tecnica dei molti settori coinvolti sarà affinata. Nelle ultime pubblicazioni avevo prospettato la possibilità di depurare i fumi dal CO2 insieme alle “acque dimenticate”. Le eutrofizzazioni e il riscaldamento globale sono due fenomeni collegati. Nessuno mi ha contestato e nessuno ha voluto dimostrazioni, anche se quello che ho scritto, in larga parte, non ha bisogno di dimostrazioni, ma di constatazioni. Per i responsabili ambientali del Paese e del Mondo la protezione ambientale è insufficiente per mancanza di fondi destinati all’ambiente. Per il sottoscritto, invece, la mancanza di fondi è stata un bene. Ci saranno meno impianti da rifare. Non era mio il compito e non mi sentivo nemmeno preparato a intervenire in un campo così vasto e importante. Ma non ho potuto tirarmi indietro quando mi sono accorto di vedere più lontano dei responsabili ambientali e dei progettisti autorizzati a mettere le mani sull’ambiente. Lavorando, senza vincoli e padroni, si possono superare limiti e confini che la società impone. Non sono passato attraverso i depuratori attuali. Se ci fossi passato mi sarei impantanato. I depuratori sono saturi di soluzioni alternative, che vanno oltre la protezione, tecnologicamente parlando, ma non proteggono l’ambiente. Nei depuratori è stata concentrata tutta la tecnologia facendoli diventare quasi dei potabilizzatori, ma trattano pochissima acqua e sversano in condizioni assai peggiori nei corpi idrici quella che non riescono a trattare, che è molta di più di quella trattata. Soprattutto, i depuratori si sono dimenticati di depurare l’aria che emettono nell’atmosfera: producono CO2, H2S, SOx, NOX, CH4. Una proposta in più fatta nell’ambito dei depuratori non avrebbe inciso sul sistema complessivo. I problemi ambientali veri non sono nei depuratori, ma a monte, a valle, sopra e lateralmente. E’ sul territorio che bisogna intervenire se non si vuole continuare a fingere di proteggere l’ambiente e a sprecare risorse energetiche. Intervenendo sul territorio il ruolo dei depuratori attuali sarebbe ridimensionato, addirittura, potrebbero essere eliminati. Dalle prime uscite capii subito che nessuno mi avrebbe ascoltato. Politici, tecnici ed economisti che ci governano, da sempre, auspicano per l’Italia più brevetti. Addirittura stanno incoraggiando al ritorno i cervelli che sono scappati all’estero (“Con la circolare 14/E diffusa il 4/05/2012, l’Agenzia delle entrate illustra le linee guida sugli incentivi riservati ai cittadini dell’Unione europea che hanno maturato esperienze culturali e professionali all’estero e che scelgono di tornare nel nostro Paese”). Al momento, però, chi, come il sottoscritto, deposita un brevetto di pubblica utilità e lo pubblica non trova interlocutori nemmeno per discuterne. Nel 2009, con il mio progetto del mini impianto invisibile per il risparmio idrico (nascosto nelle pareti e nel pavimento dei singoli appartamenti) suscitai l’interesse dell’allora Presidente dell’ENEA, Luigi Paganetto, che mi invitò, con lettera protocollata del 2 luglio a un incontro con i tecnici dell’Ente. L’incontro avvenne verso la fine di settembre. Volevo parlare del risparmio idrico, della depurazione domestica e fognaria che erano i progetti pronti. Non parlai di niente. Trovai ad attendermi un ricercatore che mi disse che il prof. Luigi Paganetto non era più il presidente dell’ENEA, che loro erano stati commissariati e che erano in difficoltà a portare avanti i loro progetti. Figuriamoci se si potevano far carico anche dei miei. Gli dissi che quelle cose potevano comunicarmele telefonicamente senza farmi arrivare fino a Bologna. Per un pensionato monoreddito, che a stento arriva alla fine del mese, anche cento euro, spesi inutilmente in treno, sono importanti. Capii che a parte il prof. Luigi Paganetto nessuno aveva letto nulla della documentazione inviata, nemmeno il ricercatore che mi aveva ricevuto. Peggio ancora è successo con le regioni. In tre occasioni un Presidente, per pura cortesia o sincero interessamento, mi ha fatto comunicare che le mie proposte sarebbero state passate alla direzione del “Dipartimento Ambiente”. Mai ricevuto un invito da queste entità sconosciute, preposte alla tutela dell’ambiente. Ma dove sono i loro progetti? A parte quelli di ordinaria amministrazione che non migliorano l’ambiente e non fanno prevenzione sul territorio. Poi invocano fondi per disastri dovuti a calamità naturali prevedibili, che avvengono tutti gli anni. Ho proseguito nella strada iniziata con la depurazione fognaria che ha portatoo alle autobotti disidratatrici, la depurazione globale nelle città, i depuratori coperti urbani, fluviali, costieri, senza più trovare interlocutori. L’E.N.E.A e il C.N.R. hanno confermato il loro disinteresse per queste cose. I nostri ricercatori, saranno pure laureati con 110 e lode, saranno pure bravi nella ricerca, ma, almeno nel settore ambientale, le loro sperimentazioni mancano di praticità e fantasia. Basta pensare ai progetti dell’Enea “Acqua save”, poco pratico (occupando con i serbatoi tutto il piano terra del fabbricato) e troppo costoso per essere utile sul risparmio idrico strutturale nelle abitazioni. Questo progetto finanziato con fondi europei, non hanno voluto confrontarlo con il sistema di risparmio idrico domestico che aveva suscitato l’interesse del loro ex presidente. Sono troppo complessi i progetti Ananox e dephanox, per la depurazione delle acque e la rimozione del fosforo, in concorrenza con altri sistemi nell’ambito dei depuratori, saturi anche di tantissime altre macchine e processi, che dovrebbero essere abbandonati, in una prospettiva più ampia di depurazione dell’ambiente, che porterebbe alla produzione di biomasse energetiche in un ambiente controllato. Non parliamo, poi delle risorse spese in Italia per il sistema C.C.S., che riduce i rendimenti dei combustibili e aumenterà il costo dell’energia almeno del 25 – 30%, mentre il sottoscritto propone semplicemente di continuare il processo depurativo dei fumi, partendo dalla modifica delle ciminiere di recuperare il calore delle acque di raffreddamento aumentando il rendimento della produzione energetica, almeno, del 30%, abbinando alle centrali termiche, a costo zero per i consumi, anche la depurazione e l’alcalinizzazione delle acque. In questo modo, non solo si sfrutterebbe il calore contenuto nei fumi e nelle acque di raffreddamento delle centrali termiche, ma queste, ma grazie al CO2 e a semplici rocce calcaree frantumate, si farebbero portatrici di carbonati verso il mare. Sommeremo il rendimento delle migliorie impiantistiche energetiche e depurative, mentre oggi il calore è sprecato e il CO2 è un nemico da abbattere senza badare a spese. Di queste cose avrei voluto parlare, in una fase successiva, all’Enea e a chiunque altro, se nel nostro Paese ci fosse stato qualcuno disposto ad ascoltare.
Vedremo se continuerà questo disinteresse delle nostre Autorità Ambientali e dei nostri ricercatori, anche di fronte a queste nuove proposte: gli stagni biologici facoltativi successivi coperti verticali (S.B.F.S.C.V.), le serre di produzione meccanizzate coperte verticali (S.M.P.C.V.), gli stagni di carbonatazione meccanizzati coperti verticali (S.C.M.C.V.), I digestori anaerobici compostatori lineari ( D.D.C.L.). Queste nuove proposte s’integrano perfettamente con la depurazione fognaria e quella globale nelle città, completando la chiusura del ciclo del carbonio antropico sulla Terra. I pochi che arriveranno alla fine di questo libro comprenderanno quanto sia assurda la pretesa dei ricercatori e dei progettisti che vorrebbero risolvere i problemi ambientali ed energetici con la sola biologia o la semplice integrazione tecnologia specializzata riservata a pochi settori. Occorrono maggiori sinergie impiantistiche, con settori vecchi e nuovi, che non sono mai entrati nel mondo delle depurazioni e dell’energia. Questo particolare fermento, creativo ambientale, del sottoscritto, non è dovuto a una particolare genialità o follia ma frutto di riflessioni posteriori a esperienze di lavoro attraversate senza aver avuto il tempo di pensare. Ma tutto questo lavoro di rimuginazione e di elaborazione, compresi i depositi di brevetto, valgono meno di niente, per la crescita del Paese, se nessuno di quelli che contano non si assume la responsabilità di discutere queste soluzioni, invece di tacere. Per mancanza di interlocutori ho già lasciato decadere dei brevetti. A livello globale, dovrebbe essere l’ONU a parlare di depurazione globale, che, invece, attraverso l’I.P.C.C., ha appoggiato il C.C.S. e probabilmente, anche gli alberi artificiali, che, certamente, non aiutano i sistemi naturali in difficoltà. Ho preferito tacere sulle ultime novità per pubblicarle tutto insieme in questo libro, che parla di depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale, di energia, biomasse energetiche e alimentari, di recupero di risorse, di depurazione e alcalinizzazione delle acque, in grandissime quantità, come mai è stato ipotizzato di fare. Invece è possibile e non è nemmeno complicato. Sono curioso di vedere chi si assume la responsabilità di continuare a cestinare tutto, continuando a parlare, a vuoto, di ambiente, di crescita e di occupazione.
Non è meglio creare attività produttive e lavorative stabili in settori legati al ricircolo della materia per produrre, energia, protezione ambientale e alimentazione, che in altri settori legati a consumi voluttuari? La società dei consumi non dovrebbe assicurare prima e in modo sostenibile i bisogni primari? Quali attività possono assicurare maggiore rendimento e stabilità della protezione globale dell’ambiente attraverso la quasi completa chiusura del ciclo del carbonio? Sfido chiunque a farlo senza la D.C.P.T.C.G.
5) Il racket ambientale
E’ davvero strano che concetti semplici come la “depurazione globale”, possano nascondersi per mezzo secolo, mentre concetti matematici complessi vengono alla luce quasi quotidianamente (merito dei calcolatori?). E’ ancora più strano, che nonostante la semplicità, ugualmente non siano compresi. Viene il dubbio che molti non vogliano comprenderli e molti non possano comprenderli per ordini superiori. Dubbi avvalorati dall’inspiegabile comportamento di tecnici pubblici che, a livello privato, stabiliscono un contatto per avere dei chiarimenti e poi si eclissano senza spiegazioni. Probabilmente, per suscitare maggiore interesse avrei dovuto sviluppare prima l’aspetto energetico che comporta maggiori affari economici, ma al cuore non si comanda. D’altra parte questa sequenza non programmata dimostra che sbagliano coloro che per risparmiare costi danneggiano l’ambiente. Il recupero delle risorse, nel modo in cui è stato concepito negli impianti di depurcogeproduzione è un affare per l’ambiente e per l’economia. Ma se non avessi trovato questa soluzione e mi fossi fermato soltanto alla depurazione globale che, comunque sarebbe stato un affare per l’ambiente, bisogna chiedersi cosa centrano i tecnici pubblici con i giochi dell’economia? E’ a loro che mi sono rivolto, non ad altri. Con un poco di ritardo sono arrivato a toccare l’energia. Forse è stato un caso, ma dimostra che il percorso seguito è corretto. Noi tecnici (progettisti, impiantisti, ricercatori, gestori) dovremmo chiedere scusa al mondo intero per gli sprechi di risorse che abbiamo consentito. Almeno con il senno di poi, dovremmo fare autocritica per i danni procurati, sia pure in buona fede.
Purtroppo, in base al principio che nessun impianto è completamente sbagliato, chi non accetta sconfitte trova sempre qualcosa di buono negli scarsi risultati. Sbagliare è umano, perseverare è diabolico. Nell’ultimo trentennio, quando si è incominciato a parlare di riscaldamento globale, soprattutto, costatando che il sistema attuale non consente di ridurre le emissioni di CO2, di proteggere i corpi idrici e non consente di aumentare la quantità di carbonati ai mari, avremmo dovuto fare autocritica e rivedere tutti i criteri della progettazione ambientale. Sebbene non abbia mai avuto l’onore di essere chiamato a progettazioni importanti, ho voluto considerare i miei quaranta anni di attività nei cantieri e al tecnigrafo come un lungo periodo di apprendistato per dire la mia, almeno da pensionato. Se chi ha maggiori mezzi e titoli per risolvere i problemi non si decide a proporre soluzioni accettabili, non è detto che debba continuare a tacere. Se, per loro, le idee sono arrivate al posto sbagliato è perché le ho cercate con maggiore forza e motivazioni di chi si ritiene designato e titolato. Prima di queste esperienze, avrei trovato esagerato il libro del professor Paolo Sequi “Il racket ambientale” (che comprai, stimolato dal titolo) che parla di scelte incomprensibili delle autorità ambientali mondiali dal punto di vista scientifico. Il libro non è tenero nemmeno con le associazioni ambientali. Meno autorevolmente, sono arrivato a conclusioni diverse: siamo oltre il regime e le dittature, condizionati dai primi della classe, che passarono un compito sbagliato, che tutti hanno copiato, senza comprenderne il significato. Il titolo era: come combattere l’inquinamento e produrre energia. La soluzione era una sola: “Depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale” invece hanno creduto di risolvere due problemi distinti, proponendo i depuratori e le centrali termoelettriche, che, separati, non hanno funzionato. Nessuno ha mai corretto quel compito perché nemmeno i professori conoscono la soluzione e oggi ci troviamo a combattere l’inquinamento globale con armi spuntate. Non sono bastate le innovazioni tecnologiche, pur apportate in grandi quantità, a migliorare i sistemi che non andavano concepiti separatamente, avendo molte cose in comune. Oggi, possiamo parlare di “omertà universale” in difesa di scelte e investimenti sbagliati. E’ molto peggio del Racket, perché coinvolgono chi ci guadagna economicamente, ma anche chi, per un finto orgoglio professionale, non accetta di non aver visto questi gravissimi difetti. Chi insegna nelle università, chi legifera, politici, funzionari, liberi professionisti, come non hanno creduto alla “depurazione globale”, non crederanno nemmeno alla produzione energetica in grado di proteggere l’ambiente. Continueranno a fare finta di niente, se a dirlo sarà soltanto un pensionato, sono abituati a salire soltanto sul carro vincente delle multinazionali dell’ambiente.
Nonostante i tantissimi convegni sull’ambiente, sembra che i congressisti non sappiano dove mettere le mani. Solo così si spiegano gli accordi rinviati di anno in anno. Aspettano le soluzioni dagli scienziati e dalle multinazionali. Gli scienziati dovrebbero uscire dai laboratori e osservare dal vivo le degenerazioni fognarie, l’eutrofizzazione delle acque, le ciminiere delle centrali, dei termovalorizzatori, delle acciaierie e delle città, mentre le multinazionali pensano soltanto a commercializzare e vendere macchine specializzate e palliativi ambientali, che non possono affrontare l’inquinamento globale. Sulle proposte del sottoscritto, basate sulla prevenzione strutturale dell’inquinamento dell’acqua e dell’aria, nessuno ha voluto investire un euro, mentre sono stati spesi oltre 30 miliardi di dollari in prototipi per catturare e interrare pericolosamente il CO2. Anche senza spendere un solo euro in sperimentazioni è evidente che utilizzando il CO2 nei fabbricati serra sinergici verticali, prima di emetterlo nell’atmosfera, questo gas può essere molto utile all’ambiente. Il cane si morde inutilmente la coda, a livello mondiale, per un problema che non doveva nemmeno nascere, se tutti non avessero copiato una progettazione sbagliata (V. Art. in rete “Come avrebbero potuto essere i depuratori”). Già oggi, il CO2 sarebbe una preziosa risorsa energetica e per la tutela dell’ambiente, invece della calamità globale che hanno creato. Non le scriverei queste cose, se non le avessi toccate con mano. Nel settore ambientale, dove ho trascorso il mio secondo ventennio lavorativo, non esiste la visione globale dell’azienda per la quale si lavora e nemmeno l’industrializzazione del prodotto finale. Esistono settori diversi (aria, acqua, energia) non collegati nella grande azienda dell’ambiente, come dovrebbe essere, per migliorarne i rendimenti. In questo settore, sono sfuggite le travi per cercare degli aghi nel pagliaio. Prima di globalizzare l’economia avremmo dovuto attuare una politica comune di protezione ambientale, quale espressione di civiltà, democrazia e di rispetto tra gli uomini. L’inquinamento prodotto in un paese, attraverso l’atmosfera e gli oceani coinvolge anche gli altri. Per esempio, le nazioni più colpite dalle piogge acide sono quelle sulle quali, per effetto dei venti dominanti, si scaricano le nubi acide prodotte in altri paesi. Il problema è particolarmente grave per il Canada che riceve le piogge acide statunitensi, mentre in Europa le nazioni più colpite sono quelle scandinave. In queste aree l’abbassamento del pH in migliaia di laghi ha provocato la scomparsa di numerose specie animali e vegetali. In Germania più dell’8% dell’intero patrimonio boschivo è stato gravemente danneggiato. Le particelle di fuliggine, oltre che corrodere polmoni dei cittadini e le opere d’arte, trasportate del vento, scuriscono la superficie dei ghiacciai, favorendo l’assorbimento di calore dovuto alla radiazione solare. Questo fenomeno è stato accertato da una ricerca condotta dal Paul Scherrer Institut (PSI), Villigen, Switzerland. Polvere, batteri, pollini e semi sono trasportati dai venti e poi depositati a migliaia di chilometri di distanza con le precipitazioni. Grosse quantità di pesticidi sono state osservate persino nei ghiacci polari, negli esquimesi e nei pinguini. Questo indica che la circolazione atmosferica e acquatica gioca un grosso ruolo nell’evoluzione e nella distribuzione degli organismi. L’inquinamento deve essere combattuto alla fonte con sistemi di depurazione globali, che coinvolgendo grandi portate di acqua per consumate il CO2, devono necessariamente depurare meglio anche i fumi e l’acqua di quando non avvenga adesso. Questa è un’altra importante ragione della necessità del collegamento tra gli impianti di depurazione ed energetici.
Tutti gli impianti di protezione ambientale ed energetici termici attuali, nessuno escluso, risolvono un problema locale ma danneggiano l’ambiente a livello globale. Le conoscenze impiantistiche, tecnologiche, geologiche, agronome che abbiamo sono sufficienti per risolvere gran parte dei problemi ambientali ed energetici di origine antropica. Possiamo persino migliorare i sistemi naturali. Saremo costretti a qualche opera che procura qualche impatto estetico ambientale, ma con ampi ritorni economici, ambientali ed occupazionali. D’altra parte, non procurano impatto ambientale le pale eoliche, i pannelli solari, i grattacieli, i parcheggi sopraelevati, i capannoni industriali? Oltre tutto, i depuratori che si sviluppano in senso orizzontale occupano spazi enormi, per trattare pochissima acqua, mentre potrebbero essere tridimensionali, riducendo lo spazio in pianta di decine di volte, a parità di volumi di acqua trattata, ma depurando contemporaneamente anche l’aria. Perché i responsabili ambientali del Pianeta tacciono sulle soluzioni di depurazione globali che possono pulire l’energia fossile, depurare e alcalinizzare grandissime quantità di acqua e con questa nuova soluzione, recuperare gli investimenti necessari dal recupero delle risorse termiche disperse nelle acque dalle C.T.E? Gli impatti ambientali sarebbero molto minori se i responsabile della produzione energetica avessero distribuito più uniformemente le centrali di produzione sul territorio.
Avrei potuto continuare a lavorare ancora per qualche anno. Non si possono servire contemporaneamente due padroni. Ho rinunciato a contributi e retribuzioni per riprendere a studiare, cercando riscontri scientifici a ciò che intuivo, nella convinzione che sarei stato più utile alla società da pensionato che da lavoratore. Non mi sbagliavo. L’esperienza non è acqua, sapevo dove erano le carenze dei sistemi depurativi e come intervenire, ma dovevo sviluppare dei progetti credibili. Non mi aspettavo che attraverso questi progetti avrei trovato, contemporaneamente, la quadratura del cerchio della depurazione dell’ambiente e della produzione energetica. E’ stato naturale vedere in queste soluzioni, oltre agli aspetti ambientali ed energetici, anche gli aspetti sociali. Non è bello vedere tanta disoccupazione mentre quasi tutto quello che abbiamo creato nel settore ambientale dovrebbe essere riprogettato per una migliore gestione delle risorse e, soprattutto per una migliore protezione dell’ambiente. Prevarrà il non fare niente, per difendere gli interessi attuali? Comunque, è importante essere arrivato alla “depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale”. Come tutti potrei sbagliarmi, ma è difficile sbagliare lavorando sugli errori degli altri. Spero che un domani qualcuno lavori sui miei errori, per ovvie ragioni. Fino ad ora, nessuno mi ha smentito e nessuno ha voluto discutere le mie soluzioni. Più efficace di un Racket è l’ipocrisia disinteressata, l’indifferenza dei potenti, e la mancanza di coraggio dei progettisti che hanno sbagliato. Un racket, checché se ne dica, è gestito da persone, furbe e intelligenti, farebbe di tutto per mettere le mani sui futuri investimenti e sulle future gestioni. Non rinuncerebbero agli affari della ricostruzione per non riconoscere gli errori commessi.
6) L’ambiente e l’economia visti attraverso la D.C.P.T.C.G
Chi parla di crescita dovrebbe specificare anche in quale direzione bisogna crescere. Non dobbiamo elemosinare per qualsiasi attività imprenditoriale che procura un minimo di occupazione, a volte procurando impagabili danni ambientali. Gli impianti D.C.P.T.C.G., che non esistono, da soli, riciclando la materia per creare energia, tutelando l’ambiente, creerebbero nel Mondo qualche miliardo di posti di lavoro stabili, senza dover inventare, ogni giorno, nuove attività lavorative in balia delle speculazioni di borsa. Se non si procede urgentemente a realizzare impianti di protezione ambientale globali, il Mondo rischia di trovarsi impreparato ad affrontare la crescita della popolazione mondiale e di non poter più recuperare il degrado ambientale iniziato con l’avvento dell’epoca industriale, che avanza con leggi esponenziali rispetto all’inquinamento naturale e, soprattutto, antropico. Sono le stesse tecnologie a offrirci le possibilità di difesa, ma bisogna saperle mettere insieme. Senza sinergie impiantistiche non si può chiudere il ciclo del carbonio antropico. L’alternativa è quella attuale: aspettare il ciclo millenario (accelerato dall’inquinamento dell’uomo) della natura per recuperare importanti risorse dopo la fossilizzazione. Ma questa alternativa, passa attraverso il riscaldamento globale e l’era glaciale, alla quale poche forme di vita sopravvivono. Stanno crescendo nel Mondo le biotecnologie per produrre, fuori terra, risorse alimentari e biomasse energetiche dalle alghe e dai cereali. Bisogna guardare con interesse a queste innovazioni che sono già oltre la sperimentazione: la produttività foto sintetica in natura ha un rendimento di circa 1,5% rispetto all’energia fotovoltaica assorbita, mentre in condizioni climatiche e di illuminazione controllate questo rendimento può arrivare allo stato attuale a circa 35%. Queste tecnologie, che non hanno nulla a che vedere con le coltivazioni transgeniche, sia pure in ambienti coperti e industrializzati possono colmare gran parte di questo divario di rendimento, e a parità di superficie occupata, la produttività potrà aumentare almeno una decina di volte. Già si possono ipotizzare grattacieli produttori di biomasse energetiche e generi alimentari. Anche la depurazione globale, che si basa principalmente sulla “depurazione in ambiente coperto” non può che giovarsi di queste innovazioni, aumentandone le prestazioni.
Grazie a un’elaborazione dei vari tipi di depuratori coperti, già anticipati, si potrà mettere insieme, in un sistema chiuso antropico: Ambiente, Energia, Produzione Alimentare, citati secondo l’ordine nel quale vi sono entrati, denominato “Depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale” (D.C.P.T.C.G). Possiamo immaginare questo sistema come un grande impianto, dove nulla si sprechi e tutto si trasformi, secondo la legge di Lavoisier sulla “conservazione delle masse”. Ma Lavoisier ha riscontrato i fenomeni, enunciato la legge, e lasciato le cose come stanno, con tempi biblici per le trasformazioni naturali. Mentre noi, con gli impianti D.C.P.T.C.G., possiamo abbreviare i tempi di trasformazione, migliorare rendimenti, indirizzare le trasformazioni come meglio ci fa comodo, recuperando gran parte del calore sprecato per produrre nuova energia o nuove biomasse. Una volta chiuso il triangolo A.E.PA., almeno negli impianti D.C.P.T.C.G., non ci sarà un’origine e una fine tra Ambiente, Energia, Produzione Alimentare. Tutto, nulla escluso, sarà riutilizzato negli impianti globali del futuro, prima che subentrino le trasformazioni che comportano dispersioni. Il Calore sarà usato nei digestori e nelle serre di carbonatazione, il CO2 come nutriente delle biomasse e nella carbonatazione; Le acque di irrigazione verranno utilizzate in ciclo chiuso senza inquinare le falde e le acque superficiali, i fanghi non saranno bruciati né fossilizzati, ma digeriti, stabilizzati e compostati. Praticamente, in futuro, realizzando in parallelo alla natura la produzione energetica e alimentare e prelevando dalla natura solo le risorse necessarie all’integrazione (quelle non recuperabili con il ricircolo) potremmo conservare quasi intatte le riserve naturali, senza depredarle. Se sapremo progettare gli impianti del futuro, i nostri discendenti avranno lavoro e benessere in abbondanza senza sfruttare eccessivamente le risorse naturali. Saranno come formiche laboriose intende a perpetuare il ciclo del carbonio antropico, dal quale preleveranno quanto necessario per vivere, energia compresa, tutelando la terra gli oceani e l’atmosfera, attraverso gli impianti globali. L’attività principale dell’uomo sarebbe concentrata nella produzione alimentare e dell’energia e relative infrastrutture per fronteggiare l’incremento della popolazione. Chiudendo tutte le falle che le attività antropiche hanno, fino ad ora, lasciato aperte nel ciclo del carbonio, restituiremo alla natura le antiche funzioni dei cicli naturali, termo alino e biologico per mantenere l’ambiente nelle condizioni termo climatiche e biologiche ottimali. Tutto ciò, naturalmente, è un auspicio, che dipenderà in gran parte dalla capacità degli uomini che saranno chiamati a governare. Se non comprendono i progetti hanno il diritto e il dovere di chiedere spiegazioni. Non possono continuare a cestinare tutto, fidandosi dei consulenti e burocrati, super pagati, che hanno portato l’ambiente allo stato attuale. Nella capacità di progettare, programmare e saturare le attività degli uomini, delle strutture e degli impianti si misura la capacità della classe dirigente. Lo vediamo quotidianamente paragonando, tra loro, l’efficienza dei servizi e della qualità della vita, nei comuni, regioni e nazioni. I sistemi di protezione globale, di cui parlo, sui quali tutti i tecnici che progettano impianti, in ogni settore, dovrebbero lavorare sinergicamente, sono completamente sconosciuti perché fino a una ventina di anni fa nessuno si preoccupava dell’inquinamento globale, ma soltanto di quello locale. Ma, come è successo con i depuratori, una volta intrapresa una strada, fatti gli investimenti, consolidata la tecnologia, insegnato il sistema ai posteri, è difficile riconoscere gli errori e ritornare sui propri passi. Se è vero che cento anni di industrializzazione di fronte alle ere e agli eoni, geologicamente parlando, sono meno di nulla, è anche vero che 100 anni di errori nella industrializzazione e nella gestione ambientale, da parte dell’uomo, nell’epoca della globalizzazione, con una popolazione superiore ai nove miliardi di persone, potranno invecchiare il Pianeta di milioni di anni. Erroneamente, si pensa che riducendo o catturando il CO2 e producendo una piccola percentuale di energia pulita, tutto vada a posto, invece è il sistema che è sbagliato. Per fortuna il problema è molto più complesso e articolato. Dico, per fortuna, perché se bastassero soltanto le invenzioni delle multinazionali per risolvere i problemi, sarebbero bastati soltanto gli alberi artificiali e il C.C.S. Avremmo potuto continuare anche con il sistema attuale, sia pure, con molti squilibri sociali (divario tra ricchi e poveri). Non sarebbe necessaria la collaborazione di tutti. Lavorare insieme per costruire queste grandi opere di protezione ambientale rappresenta la più grande forma di democrazia. E’ semplicemente assurdo vedere tanta disoccupazione in giro mentre siamo all’anno zero nella protezione dell’ambiente e nell’organizzazione dei sistemi di produzione energetica e alimentari sostenibili, mentre si continuano a proporre palliativi ambientali ed energetici, nonché sistemi di speculazione economica come le quote delle emissioni di CO2. Con la “depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale” gran parte della popolazione e delle risorse tecnologiche saranno impegnate a produrre quotidianamente energia e alimentazione in competizione con le facili estrazioni e coltivazioni latifondiste, rendendo più equa la distribuzione della ricchezza o quantomeno, creando molte opportunità di lavoro, che oggi non esistono. Come possiamo creare lavoro e proteggere l’ambiente se le acque coinvolte nei processi depurativi attuali sono appena un centesimo di quelle necessarie a combattere l’inquinamento antropico? Gli impianti globali non vanno dimensionati soltanto in base al BOD e al COD, ma alla quantità di CO2 emessa nell’atmosfera, che deve essere neutralizzato. Neutralizzare il CO2 non significa nasconderlo nelle cavità terrestri, ma legarlo stabilmente all’ambiente attraverso processi chimici, fotochimici e foto sintetici naturali. Le acque dolci non devono essere soltanto pulite (e non lo sono), ma devono svolgere, soprattutto, il ruolo che la natura le ha assegnato: trasportare carbonati agli oceani. A maggior ragione, se i ghiacciai si stanno sciogliendo, gli oceani addolcendo. Abbiamo realizzato tantissime opere inutili e inventato enti inutili, con finti posti di lavoro, che oggi siamo costretti a chiudere perché la società non si può permettere di mantenerli. Mancano, invece, le opere civili, idrauliche e elettromeccaniche necessarie per la trasformazione e lo sfruttamento delle risorse sprecate. Oggi, alcune categorie privilegiate dai governi poco illuminati, sfruttano le risorse naturali senza eccessivi costi di trasformazioni e senza creare opportunità di lavoro, per una più equa distribuzione della ricchezza. Questo sistema, basato sullo sfruttamento delle risorse naturali e umane sta portando all’esaurimento delle risorse e alla rivolta sociale le nuove generazioni. Si continuano a produrre, oltre il necessario, beni voluttuari con lavori precari, in balia del mercato, trascurando immense opportunità di lavoro stabili nelle infrastrutture di protezione dell’ambiente e energetiche e alimentari, che comporterebbero opportunità di lavoro centinaia di volte superiori considerando anche le attività indotte in altri settori. Si pensi ai divari di reddito esistente tra i petrolieri che sfruttano una risorsa comune e i pochi, fortunati, lavoratori che trovano occupazione. Una gestione saggia, creerebbe l’energia attraverso il riciclo della materia organica e inorganica, facendo lavorare tutti e attingendo dalle risorse naturali soltanto in emergenza. Si pensi alle immense opere che mancano per riciclare la materia organica e il CO2: opere idrauliche, grandi digestori, le serre produttive, gli stagni biologici verticali; nell’indotto dell’industria elettromeccanica; la meccanizzazione della produzione delle serre; i condizionamenti climatici delle serre; le illuminazioni artificiali; i sollevamenti idraulici delle acque; la disidratazione e il compostaggio dei fanghi. Oggi, mancano all’appello questi posti di lavoro che avrebbero dovuto essere i primi ad essere realizzati per creare ricchezza e benessere duraturi. Noi italiani, non possiamo continuare a vivere alle spalle dell’industria e dell’agricoltura, sempre meno competitive sul piano internazionale, tranne settori di nicchia ch non sappiamo per quanto resisteranno. Con la D.C.P.T.C.G. creeremmo un modello di sviluppo italiano nel mondo. I servizi assumeranno il ruolo principale nella vita dell’uomo e della società, non solo svolgendo le funzioni sociali, ma contribuendo attivamente alla produzione della ricchezza, senza ingrossare i debiti nazionali per importare energia, che non produce lavoro e protezione ambientale. Non c’è niente di più stabile della ricchezza creata attraverso il riciclo del carbonio. Tutto il resto può cambiare da un momento all’altro. Lo vediamo quotidianamente con la mortalità delle aziende manifatturiere, con l’informatizzazione degli uffici, con il rapido invecchiamento della produzione tecnologica, che creano e disfano posti di lavoro. Per i politici la vita diventerà sempre più difficile con la crescita della popolazione mondiale, se non creano le infrastrutture per accogliere queste nuove popolazioni assicurando loro, prima di tutto, cibo e lavoro. Devono assumersi le loro responsabilità, insieme ai tecnici pubblici, che dovrebbero essere i migliori, accedendo per concorso alla loro nobile funzione. E’ semplicemente assurdo che migliaia di laureati, in gamba, vincitori di concorsi nelle varie Arpa e A.A.T.O. e nelle università, debbano fungere da burocrati, mentre le soluzioni ambientali sono affidate in modo poco trasparente, a studi privati, basati su poche figure professionali, che non possono far altro che copiare e riproporre gli errori del passato. Questi, propongono i soliti impianti, con le solite soluzioni locali, che danneggiano l’ambiente a livello globale (atmosfera e corpi idrici). Non conoscono, non sono attrezzati, non hanno il tempo e la convenienza di studiare nuove soluzioni. Se, almeno avessero delle curiosità professionali, qualcuno, mi avrebbe chiesto dei chiarimenti. Si contano sulle dita di una mano coloro che lo hanno fatto e nessuno ha fatto delle osservazioni, rientrando nel silenzio, come avessi proposto l’invenzione dell’acqua calda. C’è molto da fare in questo settore, ma è tutto da rifare, a partire dalla formazione professionale dei tecnici. Personalmente, non sono mai stato un tecnico pubblico ma nulla mi ha stimolato di più dei progetti ambientali di pubblica utilità. Anche se non ho partecipato o vinto nessun concorso, e non mi è stato concesso l’onore di lavorare per il Ministero dell’Ambiente, ritengo di essermi guadagnato sul campo almeno il diritto di essere ascoltato. Che dico? Ogni cittadino che ha qualche idea, dovrebbe essere ascoltato.
E’ molto diversa la situazione nel settore degli impianti di produzione industriale, dove concorrono molte professionalità. Nulla è lasciato al caso, se non l’aspetto depurativo, che, come ho detto, dipende dal legislatore, il quale non può legiferare norme che superano lo “stato dell’arte”. L’ambiente non ha meritato le stesse professionalità impiegate per aumentare la produttività industriale. Se l’aspetto depurativo fosse stato curato come l’aspetto produttivo (con il concorso di professionalità interessate a fare, oltre alla qualità, anche la quantità e a ridurre gli sprechi) da molto tempo saremmo arrivati alla depurazione globale. Non è un caso che a proporla sia uno dei rarissimi tecnici che ha trascorso metà della vita negli impianti di produzione e metà in quelli di protezione ambientale, sia pure in ruoli modesti. Non è un caso che queste proposte le faccia da pensionato, non solo per il lungo apprendistato necessario, ma anche per la grande quantità di tempo necessario ad affrontare tutti gli argomenti e tutte le situazioni. Chi altri poteva buttarsi in questa assurda impresa? Visto che le autorità ambientali tacciono e che le depurazioni locali rendono così bene a chi le progetta e a chi le gestisce. E ne occorrono sempre di più perché non risolvono i problemi fondamentali. Chi poteva essere interessato a finanziare lo studio di soluzioni depurative globali? NESSUNO. Lo dimostrano i silenzi, fino ad ora ricevuti, che nessuno ci tiene a giustificare dal punto di vista tecnico e morale. Bisognerebbe chiedersi: a quale livello di ipocrisia vogliamo arrivare? Le soluzioni di depurazioni globali abbracciano la protezione ambientale di tutti i casi possibili e immaginabili: dalla singola abitazione, alla grande città, al grande bacino, alla grande centrale termica, occupandosi dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua. Si basano sulla prevenzione e il recupero degli sprechi. Senza questi sprechi, non ci sarebbe il riscaldamento globale. L’assenza di progettisti pubblici con una visione globale dell’ambiente e la delega concessa agli studi privati e alle multinazionali che dura dall’avvento dell’epoca industriale ha portato agli attuali sistemi di protezione ambientali che mi permetto di criticare dopo averli installati, in buona fede, in Italia e all’estero. Non c’e tempo per le riflessioni profonde per chi lavora in sub appalti. Solo da pensionato ho avuto il tempo di riflettere sulla possibilità di modificare gli impianti di protezione ambientale esistenti affinché potessero proteggere meglio l’ambiente.
Nel frattempo, il mondo della protezione ambientale continua a procedere in ordine sparso. Gli alberi artificiali e il C.C.S., ammesso che riescano a ridurre il CO2, saranno in contrasto con la produzione alimentare e di biomasse energetiche che hanno bisogno proprio di CO2 per aumentare i rendimenti produttivi. Ben vengano le biotecnologie. Bisogna smetterla di cercare le soluzioni più facili (petrolio) e di sfruttare le risorse naturali con vantaggi per pochi e danni per tutti, creando pochissime opportunità di lavoro. La “Depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale” rappresenta l’opportunità di dividere un poco più equamente la ricchezza e il benessere perché non è la manna che piove dal cielo o il petrolio che bisogna semplicemente estrarre, bisogna costruirla giorno per giorno, dando lavoro a tutti. Il CO2, non è la causa del riscaldamento globale, ma una delle vittime di coloroche hanno industrializzato il pianeta senza approfondire gli aspetti ambientali globali. Ancora oggi questi aspetti sono ignorati. IlCO2 è il risultato di un’ossidazione perfetta, non è una sostanza tossica, se non a livelli molto più elevati. Possiamo respirarne, senza problemi, concentrazioni dieci volte superiori, ma l’aumento dell’attuale concentrazione atmosferica dall’attuale 0,039% a 0,045% comporterebbe l’aumento della temperatura media della Terra di circa due gradi e in una decina di anni l’innalzamento del livello del mare medio di circa un metro a causa dell’effetto serra. Per questo dobbiamo chiudere il ciclo del carbonio antropico. Abbiamo bisogno del CO2 negli impianti D.C.P.T.C.G., per proteggere l’ambiente e produrre energia, ma non dobbiamo emetterlo nell’atmosfera, come facciamo adesso. Non c’è bisogno di scienziati e convegni internazionali ma soltanto di impianti in grado di utilizzare il CO2 come una risorsa. Probabilmente, occorrerà produrre artificialmente altro CO2 per incrementarne il fabbisogno se decideremo di adottare universalmente la D.C.P.T.C.G Altro che sequestro e interramento. Delle bio tecnologie future, sulle quali hanno investito milioni di dollari le multinazionali, esistono pubblicazioni autorevoli che ognuno può consultare, mi interessa, mettere in evidenza gli aspetti impiantistici relativi alla tutela dell’ambiente e del risparmio delle risorse che non sono ancora stati sviluppati in nessuna parte del mondo e non possono essere insegnati nemmeno ai giovani non essendo conosciuti nemmeno dagli autori dei testi che trattano di ambiente, energia, industria, agricoltura. Questi settori non comunicano tra loro nemmeno virtualmente. Questa è la ragione per la quale è toccato a un modesto “perito industriale” parlare per primo di “depurazione globale” e “depurcogeproduzione globale” avendo lavorato in trincea in tutti i settori. Ho partecipato, in Tunisia, a realizzare opere di presa, sollevamenti idrici e reti irrigue (finanziati dalla banca mondiale) derivate da un piccolo fiume per alimentare terreni aridi, dove quel poco di acqua non risolve alcun problema, mentre quella stessa acqua poteva essere impiegata per produzioni fuori terra, senza dispersioni, recuperando l’acqua di scolo, con rendimenti decine di volte superiori. Questo sarebbe consentito dal recupero delle acque utilizzate per l’irrigazione e dalle nuove tecniche di coltivazione. Ma, addirittura l’eccesso di compostato prodotto dagli impianti D.C.P.T.C.G potrà contribuire a fertilizzare i terreni aridi. Il recupero energetico ottenibile nei D.C.P.T.C.G. ridurrà notevolmente il consumo delle risorse fossili, non per una scelta politica di sostegno pubblico, ma economica. Se vogliamo aumentare il rendimento energetico delle Centrali termoelettriche (C.T.E.) dobbiamo recuperare per prima cosa il calore sprecato nelle acque e nei fumi, ben superiore all’energia prodotta, ai fini di nuova produzione energetica e lo possiamo fare pulendo, contemporaneamente i fumi dal CO2, progettando diversamente gli impianti. Dobbiamo abbinare a ogni C.T.E. un depuratore coperto appositamente progettato (D.C.P.T.C.G). L’esaurimento dei giacimenti petroliferi più accessibili sta spingendo i petrolieri a perforare sempre di più i fondali marini provocando disastri molto superiori alle emissioni di CO2. In un prossimo futuro potrebbe diventare meno dannoso per l’ambiente utilizzare il carbone in una C.T.E. abbinata a un D.C.P.T.C.G che rischiare altri disastri, come quello avvenuto nel golfo del Messico o quello di Fukuscima, dovuto al nucleare. Non si poteva parlare di depurazione globale a Kioto e nemmeno ai vertici successivi, ma almeno a Cancun, Durban, Doha, si poteva incominciare. Non hanno voluto farlo nemmeno le associazioni ambientali. Che la strada della “ depurazione globale” sia migliore di quella percorsa, lo dimostra il fatto che i sistemi attuali, nemmeno con le proiezioni virtuali potranno superare i limiti del recinto dell’impianto depurativo locale, mentre le centrali termoelettriche per ripulirsi dal CO2 con il sistema C.C.S., come già citato, devono abbassare, notevolmente, il già basso rendimento. La D.C.P.T.C.G si potrebbe utilizzare autonomamente o in abbinamento con centrali termoelettriche esistenti, con qualsiasi tipo di combustibile. Sotto l’aspetto economico e ambientale è superiore anche alle nuove energie, come vedremo. Ho avuto la fortuna di occuparmi di impianti per tutta la vita, non attraverso congressi, testi universitari e laboratori di ricerca, ma dal vivo, e sono convinto che solo gli impianti possano salvare l’ambiente e l’economia del futuro, senza sprecare nulla. Ma chi progetta gli impianti industriali, ambientali o energetici deve attingere esperienze anche da altri settori per chiudere il ciclo del carbonio nell’ambito dell’impianto. Poiché gli impianti non possono chiudere questo ciclo da soli dobbiamo allargare il concetto impiantistico, all’intera zona interessata all’insediamento industriale, agricolo, ambientale o energetico. Nessuna zona dovrà essere solo industriale, agricola, ambientale, energetica, ma prevalentemente industriale, agricola, ambientale energetica. Un D.C.P.T.C.G è costituito da diversi elementi:
L’elemento centrale, che consente il collegamento tra il settore industriale, agricolo, ambientale ed energetico è il fabbricato sinergico verticale (F.S.V) diviso in tre settori, di cui quello centrale è la “ serra calcarea meccanizzata coperta verticale” (S.C.M.C.V.), realizzata al di sopra del bacino di raccolta e ricircolo delle acque alcaline (braa). Questa è il primo elemento in presenza di una centrale o impianto termico, perché deve procedere immediatamente al raffreddamento delle acque e dei fumi alcalinizzando le acque a spese del CO2 e del calcio contenuto in rocce calcare sospese meccanicamente in serra. Sono giunto a questa soluzione auto criticando la mia precedente soluzione che impiegava direttamente l’ossido di calcio, il cui impiego presupponeva precedenti emissioni di CO2 per produrlo. Una parte della miscela di aria e CO2 dagli S.C.M.C.V viene trasferita negli stagni biologici facoltativi successivi coperti verticali (S.B.F.S.C.V.) e nelle “serre meccanizzate di produzione coperte verticali” (S.M.P.C.V.) che saranno contenuti nello stesso ambiente senza pareti di separazioni, utilizzando entrambi la fotosintesi per assorbire CO2, producendo biomasse e ossigeno.
In un fabbricato separato seguono i “digestori disidratatori compostatori lineari” ( D.D.C.L.) che in successione, svolgono tutte queste funzioni, come specificato in seguito.
Questi impianti di nuova concezione che mettono insieme vecchi processi insieme a uno o più gasometri e a una centrale termoelettrica (C.T.E.) costituiscano il nucleo centrale di un “Depurcogeproduttore coperto globale” ( D.C.P.T.C.G). Ma la C.T.E. potrà essere saturata anche con altri combustibili leggeri e i D.D.C.L. da altre biomasse provenienti dal territorio, compresi altri F.S.V. (S.C.M.C.V. + S.M.C.M.C.V. + S.B.F.S.C.V.) che potranno essere realizzati a diversi chilometri di distanza. Nella descrizione impiantistica che segue parliamo soltanto del nucleo centrale del D.C.P.T.C.G.
Sono molto importanti queste innovazioni. Basti pensare che allo stato dell’arte esistono stagni biologici aerati a cielo aperto che consumano molta energia, emettono CO2, H2S, cattivi odori nell’atmosfera, non producono biomasse energetiche, ma fanghi che assorbono altra energia per essere consumati dal processo di ossidazione. Invece, uno stagno facoltativo naturale ha una piccolissima produttività annua equivalente di circa 0,5 T/ha di carbonio che non può essere sfruttata ai fini energetici e i sedimenti incrementano l’eutrofizzazione nel lungo periodo. Mentre gli S.B.F.S.C.V. con i carichi diluiti su grandi superfici non emettono cattivi odori, non assorbono energia rispetto agli stagni aerati. La produttività può superare le 10 T/ha di carbonio, solo per effetto del maggior assorbimento di CO2 dovuto alla maggiore pressione specifica del gas e alle tecniche di illuminazione artificiali. Inoltre rappresenteranno importanti riserve idriche di acque depurate o in fase di depurazioni utilizzabili per qualsiasi impiego. Inoltre, con i sistemi depurativi attuali siamo costretti a sversare acque inquinate nei corpi idrici per l’incapacità di trattarle e di stoccarle. Se, come descritto, nello stesso ambiente dello S.B.F.S.C.V. aggiungiamo uno S.C.M.C.V. che ha una capacità produttiva ancora superiore, siamo veramente nel futuro della protezione ambientale, della produzione energetica e della pulizia dell’energia sostenibile. Riusciremo a depurare l’aria dal CO2 aumentando i rendimenti produttivi ed energetici, depurando le acque inquinate dalle città e dall’agricoltura (riciclate nello stesso impianto di produzione di biomasse) fornendo alcalinità alle acque sia attraverso la carbonatazione, sia con la fotosintesi. Basti pensare alla situazione attuale, fatta da realtà separate: ciminiere delle centrali termiche che svettano nei cieli, incuranti dei fumi che emettono nell’atmosfera, e depuratori appiattiti sulla superficie terrestre, a notevole distanza. Gli impianti attuali separatamente ma attivamente, concorrono tutti al riscaldamento globale con le emissioni di CO2 in atmosfera. I depuratori consumano molta energia, essendo costretti a rigenerare liquami settici, degenerati dal sistema fognario, altre emissioni di CO2 le producono con le vasche di ossidazione a cielo aperto. Dovremmo accettare queste incongruenze come effetti collaterali? Chi lo ha detto? Con i sistemi globali le fogne sarebbero artefici delle prime fasi dei processi depurativi dell’aria e dell’acqua e contribuirebbero a recuperare e a gestire immense quantità di acqua stoccate nei F.S.V. ai fini produttivi ed energetici. Bisogna chiedersi cosa sia meglio per l’ambiente, l’energia, l’alimentazione, l’occupazione? Continuare ad avere i sistemi attuali che sprecano risorse senza proteggere l’ambiente e creando pochissima occupazione, oppure, avere dei grandi Pirelloni affiancati alle C.T.E. e dei piccoli Pirelloni distribuiti nelle città che sarebbero delle autentiche fabbriche di produzione e protezione dell’ambiente, con attività indotte nel settore delle costruzioni civili, elettromeccaniche, industriali, agricole, alimentari, turistiche. Raddoppiando nel Mondo il numero degli attuali occupati perché la protezione ambientale globale non è mai iniziata.
Le città e le C.T.E. da sole non possono liberarsi in modo sostenibile del CO2, lo dimostrano i processi pubblicati, da Enea, Enel, Cnr sui sistemi C.C.S., che sono molto complessi. Ma anche gli alberi artificiali che lo cattureranno dall’aria mentre noi abbiamo bisogno di catturarlo dagli strati bassi degli agglomerati urbani, insieme a polveri sottili, inox e particelle tossiche varie. Non c’era bisogno di studiare tanto per partorire qualcosa che non serve e va contro l’ambiente e l’economia. Non c’era bisogno nemmeno di cento anni di sperimentazioni nei depuratori attuali, le cui prestazioni sono lontanissime dai semplicissimi F.S.V. che già da soli potrebbero sostituirli e nessuno ne sentirebbe la mancanza, depurando anche l’aria. Ma come anticipato e come vedremo più nel dettaglio i D.C.P.T.C.G. (che conterranno S.C.M.C.V., S.B.F.C.S.V., D.D.C.L., S.M.P.C.V.), ancora più completi, sono il futuro, non solo dell’energia, delle depurazioni, ma dell’intero ecosistema: trattando, oltre all’aria, portate di acqua centinaia di volte superiori a quelle attuali i carichi organici urbani, già depurati nelle città, attraverso i moduli depurativi verticali e i sedimentatori fognari, saranno talmente diluiti che l’acqua si depurerà e alcalinizzerà soltanto attraversando gli F.S.V., mentre l’acqua calda prodotta dalle centrali termoelettriche si raffredda cedendo il calore assorbito ai digestori per produrre di nuovo energia. In futuro la gestione delle acque potabili sarà legata soltanto agli impianti di potabilizzazione e alle reti di distribuzione degli acquedotti. Mentre la produzione energetica, la depurazione e la protezione ambientale saranno una sola cosa. Non come adesso, che essendo separate, sono fonte di spreco e di bassi rendimenti. Anche le nuove energie non potranno mai essere competitive con un sistema globale che crea energia proteggendo l’ambiente. Di quanto si ridurranno i costi, con la razionalizzazione globale dei sistemi, migliorando l’efficienza, evitando inutili doppioni, sia nella protezione dell’ambiente che in quello dell’energia?
7) La risorsa CO2 nell’ambito della D.C.P.T.C.G.
Il problema CO2 è risolvibile a costo zero nell’intero pacchetto della protezione globale dell’ambiente, dove, addirittura, è un’importantissima risorsa. Se non ci fosse, il CO2 nella protezione globale dell’ambiente dovremmo inventarlo. Per realizzare impianti globali bisogna mettere insieme alcuni sistemi applicati nell’industria, altri negli impianti di sollevamento, altri nei depuratori, altri nella cogenerazione, ma bisogna rifarsi anche a esperienze preistoriche che hanno visto la natura combattere e vincere contro i gas serra quando esisteva soltanto l’atmosfera primordiale. Dalla natura dobbiamo prendere soltanto i sistemi con i quali ha catturato e cattura CO2. La natura, non avendo avuto a disposizione la tecnologia, non ha potuto estrarre i fanghi e digerirli separatamente (come possiamo fare noi); ha dovuto fossilizzarli e ricorrere al riscaldamento globale e alle ere glaciali, ripartendo più volte nella ricostruzione dell’ambiente per arrivare allo stato ottimale attuale, che i “tecnici super specializzati” del passato e del presente, senza volerli offendere, stanno distruggendo perché non hanno progettato gli impianti con una visione globale dell’ambiente. Sono gli impianti che sono stati realizzati in tutti i Paesi, nessuno escluso, a testimoniare questa triste realtà. Non è colpa dei tecnici che non vengono formati all’ecletticità, né dalle scuole, né dalle aziende. Né tantomeno dalle sezioni dei ministeri dei Paesi e delle regioni, anche esse parzializzate nei compiti. Tutti lavorano con obiettivi limitati e specialistici. L’impiantista globale, si può dire che sia una professione interdisciplinare che non esiste e della quale, probabilmente, un domani non ci sarà bisogno, se, in alto, qualcuno impara a mettere insieme tecnici di diversa estrazione per realizzare i futuri impianti. Anche se, come ho già scritto, la somma non sempre da il risultato giusto. L’ecletticità, creata con il cuore e l’amore per il proprio lavoro, da sempre il risultato migliore, anche se va contro gli interessi dell’azienda. Per il momento, pur con molti difetti, sono uno dei pochi, forse il solo, a rappresentare questa categoria, come ho detto, anche gli impiantisti hanno preferito le specializzazioni. Per imparare il mestiere come si deve e nonostante ciò, con molte lacune, ho impiegato oltre quaranta anni. Non penso che i giovani che hanno fretta di fare carriera vogliano penare tanto passando da un settore all’altro, viaggiando in orizzontale, lasciando un lavoro sicuro per un precario. Ho amato questo mestiere che con il senno di poi non converrebbe imparare, perché chi lo apprende spreca una vita per essere snobbato da professori, ricercatori, progettisti, imprenditori, politici, che nel loro settore ne sanno molto di più e si sentono appagati. Beati loro. Con loro non si può competere sul piano scientifico. Ma chi vuole competere? Chi vuole modificare i processi chimici e biologici, di cui si ritengono gelosi custodi? Se sono diventato un impiantista globale è stato un caso e lo sono diventato solo da pensionato, rovistando, come un barbone, tra i rifiuti dei professori e dei progettisti che hanno giocato a fare gli impiantisti, sprecando spazi, e risorse. Poco è importato ai professori, agli specialisti e alle multinazionali migliorare tecnologicamente il sistema fognario, dal quale sono partito, trovandolo completamente inesplorato (a parte l’inutile dilemma tra singola e doppia rete) e dal quale è iniziata la nascita della “depurazione globale”. Poco sono importati gli sprechi di calore e CO2 nelle acque e nell’aria che hanno inquinato l’ambiente e abbassato i rendimenti. C’era poca gloria per ricercatori e progettisti a trasformare le fogne nel primo depuratore del percorso globale e c’erano pochi affari nelle fogne per le aziende produttrici di macchine per la depurazione. Hanno preferito tutti investire nei depuratori. Anzi, la degenerazione fognaria sarebbe servita a incrementare il volume degli affari. Anche le ciminiere, che propongo di modificare, foraggiano il mercato del C.C.S., degli alberi artificiali, del nucleare, delle nuove energie, che non sono sostenibili. Dalla modifica delle ciminiere e dall’abbinamento con la depurazione globale potrebbe nascere la depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale (D.C.P.T.C.G.) che non ammetterebbe confronti sul piano dei rendimenti ambientali ed economici. Questa è molto di più della somma di un sistema di depurazione e di produzione energetica. Se ho ragione, quante risorse non si sarebbero sprecate per realizzare, non la ricerca, che è sacrosanta, ma le centrali di produzione dell’energia nucleare. Non ne avremmo sentito il bisogno. Ma non voglio parlare di questi aspetti, che riguardano il passato, che certamente all’inizio sono stati casuali, ma altrettanto certamente qualcuno ci ha marciato nelle fasi successive. Parliamo del presente: oggi la “depurazione globale” e tutto quello che comporta, nessuno lo dice, ma è frenata dal sistema che gli specialisti hanno creato. Che fare delle macchine che hanno inventato e prodotto che non servono a ridurre le emissioni di CO2? Perché non sono riusciti a ridurre le potenze assorbite? A trattare le acque agricole? E nel settore energetico, a pulire l’energia, recuperare le risorse sprecate e aumentare i rendimenti? Lo sanno che potremmo pulire anche l’energia prodotta con il carbone senza ricorrere al C.C.S.? E ridurre l’inquinamento delle falde e delle acque artificiali spostando fuori terra le produzioni più inquinanti depurando e riciclando le acque? Nessuno pretende delle risposte sul passato, ma su ciò che vorranno fare nel prossimo futuro le autorità, che quando si riuniscono, non affondano mai i coltelli nelle piaghe. Le Nazioni Unite non possono continuare a fare denunce generiche di sprechi e tacere su proposte di “depurazione e protezione globale dell’ambiente” e soprattutto di “Cogeproduzione coperta globale” della quale ho voluto parlare, non in un articolo, ma in un intero volume, diverso da tutte le pubblicazioni esistenti sulle depurazioni e la produzione energetica, per evitare l’oblio toccato alla depurazione globale. Vedremo se gli specialisti che non vedono oltre il recinto nel quale operano, riterranno questa proposta una provocazione o un progetto concreto di crescita, che potrebbe consentire a ogni Stato sovrano di essere autonomo energeticamente, pur non possedendo materie prime, tutelando in modo sostenibile il proprio habitat e creando opportunità di lavoro per buona parte della popolazione. Chi vuole opporsi non può continuare a nascondersi dietro al silenzio. Ogni minuto che passa peggiora lo stato dell’ambiente, si sprecano milioni di risorse in investimenti sbagliati, altri continuano a sprecarsi non recuperando le risorse sprecate.
L’uomo sta accelerando l’invecchiamento del Pianeta ma potrebbe anche ritardarlo sopperendo, addirittura, ai sistemi difettosi della natura. Non si può perdere altro tempo nei palliativi ambientali attuali. Se si aggrava la malattia degli oceani la situazione non sarà più recuperabile. Depuratori coperti fluviali, lacustri, costieri, D.C.P.T.C.G, F.S.V., S.B.F.S.C.V., S.C.M.C.V., D.D.C.L, che non esistono distribuiti nel mondo, abbinati a gasometri, e C.T.E., rinforzerebbero le difese della natura riducendo il difetto congenito della stessa, costretta a fossilizzare gran parte del carbonio. Non sarebbe un male se si abbreviasse il ciclo di una piccola parte di carbonio per produrre energia di pronto consumo, senza aspettare centinaia di milioni di anni e il passaggio attraverso ere di riscaldamento e glaciazioni, che non lasceranno indenne la specie umana.
Con i D.C.P.T.C.G. possiamo persino pulire l’energia fossile. Se la C.T.E. è a carbone o a olio combustibile, pertanto non adatta al consumo del biogas che produrremmo nei D.D.C.L, dovremmo mettere in rete il bio gas per utilizzarlo altrove, oppure affiancarle un’altra C.T.E. alimentata a biogas e potenziare il D.C.P.T.C.G.. In ogni caso, nulla andrebbe sprecato. Anche i D.D.C.L. sono diversi dai digestori che conosciamo: sono realizzati su più piani per disidratare e compostare in un unico processo i fanghi prodotti nel digestore, inoltre, avranno uno sviluppo lineare, dovendo affiancare linearmente i F.S.V., con i quali scambieranno acque calde, biomasse, digesti liquidi. Lo sviluppo lineare consente di avere decine di postazioni autonome di carico delle matrici e di estrazione del digestato disidratato e compostato, con un procedimento descritto in seguito. Come potrebbe funzionare un D.C.P.T.C.G tutto sommato, è semplice:
La C.T.E. producendo energia cede tutto quello che non serve e che oggi inquina l’ambiente al D.C.P.T.C.G, in particolare, il CO2, il calore dei fumi e l’acqua calda (riscaldata per raffreddare turbine e condensatori), il quale trasforma questi scarti in risorse, per produrre di nuovo energia ma, questa volta, pulita, coinvolgendo, soprattutto, matrici energetiche provenienti dal territorio.
Il CO2 e il calore dei fumi, previo il passaggio attraverso la ciminiera C.A.D., descritta a parte, arriva alla sezione S.C.M.C.V. del fabbricato F.S.V., che si comporta come un gigantesco scrubber o torre evaporativa nella quale le acque di raffreddamento dell’aria si arricchiscono anche di carbonati corrodendo le rocce immagazzinate nella serra calcarea (scmcv) (che si sviluppa in verticale e si trova al centro di due corpi di F.S.V. di pari altezze) I fumi e l’aria di raffreddamento potranno uscire dall’alto della serra S.C.M.C.V., non da S.M.P.C.V.+ S.B.F.S.C.V.
Negli S.C.M.C.V. (non accessibili all’uomo) sono immesse anche le acque di raffreddamento (dopo averle riutilizzate per riscaldare digestori e serre di produzione). Acque e fumi vengono raffreddati miscelandoli con altre acque e altra aria. Una parte dell’aria della serra, raffreddata e diluita della percentuale di CO2 è aspirata dagli S.M.P.C.V.+ S.B.F.S.C.V. (accessibile all’uomo) che hanno la funzione di produrre biomasse terrestri e acquatiche consumando il CO2 non consumato dall’ambiente S.C.M.C.V. confinante. Inoltre, gli S.B.F.S.C.V. depurano le acque inquinate dallo stesso processo D.C.P.T.C.G., che vengono raccolte da una vasca di equalizzazione e ossidazione aerobica (brad) sottostante agli stagni biologici (come il surnatante, il digestato liquido, le acque di scolo dell’irrigazione) e acque di scarico varie, facendole permanere per molto più tempo in stagni perenni (facoltativi) che traggono dalle acque inquinate i nutrienti per la produzione di biomasse. Sensori di livello determinano il passaggio dell’acqua allo stagno del livello superiore, fino alla completa depurazione, che avverrà all’ultimo piano. Il numero dei piani,e i tempi di permanenza, la superficie esposta alla luce, dipendono dai carichi idraulici e organici. Molti piani successivi, partendo da acqua inquinata ed eutrofica, estraendo i fanghi, piano per piano, possono portare a scaricare dal piano superiore acqua oligominerale. Se necessario possiamo potenziare questa capacità depurativa facendo circolare sotto la superficie dell’acqua dei cestelli contenenti resine di scambio ionico (cap.30). Dall’ultimo piano degli stagni (sbffcv) possiamo scaricare le acque depurate o alimentare le vaschette (vas) che producono dei veli d’acqua nella serra calcarea, dove scorrono su binari, cestelli sospesi che contengono rocce calcaree. Senza sprecare le acque negli spazi privi di cestelli, come si vedono dal disegno di sezione anche le acque piovane raccolte dai tetti vengono convogliate nelle (vas), senza sprecare acque negli spazi privi di cestelli. Il lambimento delle rocce con l’acqua, depurata e addolcita, in un ambiente ricco di CO2, corrode le rocce trasportando carbonati nel bacino (braa). Gli stagni dei piani inferiori non scaricano acqua: regolati da sensori di livello, senza smuovere lo strato superficiale (coperto con un panno di strato vegetale) sollevano le acque in eccesso al piano superiore, mentre i fanghi freschi prodotti sono sollevati al serbatoio (sfa), il cui scarico di troppo pieno ritorna al bacino (brad). I fanghi dal (sfa) addensati dalla pressione idrostatica alimentano direttamente le tramogge (trfa) di carico dei digestori disidratatori compostatori lineari (D.D.C.L.), [oppure li caricano in autobotti per il trasporto ai (D.D.C.L.). se si trovano in F.S.V. separati dal nucleo centrale, magari impiegati per la depurazione delle acque e l’aria urbana]. Gli S.M.P.C.V. e gli S.B.F.C.S.V. sono realizzati nello stesso ambiente dei F.S.V. per razionalizzare gli spazi occupati. Gli S.B.F.S.C.V. occuperanno soltanto gli spazi calpestabili ( coperti con grigliati) con illuminazione integrativa sotto il piano di calpestio.
Essendo il processo foto sintetico molto più complesso e delicato rispetto a quello chimico delle rocce, l’impianto è dimensionato in base alla quantità di energia disponibile per assicurare condizioni termo climatiche accettabili per il processo fotosintetico acquatico e terrestre. Tutto il resto del CO2 viene neutralizzato con il processo calcareo che si traduce con l’alcalinizzazione delle acque in transito nel bacino della serra S.C.M.C.V.
L’ambiente contenente S.M.P.C.V. e S.B.F.C.S.V. viene climatizzato, come descritto a parte, dall’aria ricca di CO2 estratta dalle serre S.C.M.C.V. miscelata con aria prelevata dall’amosfera, tramite apposite unità di trattamento pensili dotate di ventilatori assiali con serrande a gravità, filtri per l’aria, separatori di gocce, eventualmente batterie di post riscaldamento per ridurre la percentuale di umidità. Queste serre con percentuali di CO2 intorno allo 0.1%saranno accessibili all’uomo contrariamente agli S.C.M.C.V. confinanti. L’aria in eccesso presente nelle serre di produzione passa nelle S.C.M.C.V. per mezzo di serrande di sovrappressione.
Le S.M.P.C.V saranno alimentate da impianti di irrigazione dei vari piani (Ma non si esclude che in questa rete possa essere dosato parte del digestato liquido o prodotti antiparassitari)
I veli d’acqua che scorrono sulle rocce sospese nello S.C.M.C.V., oltre alle acque depurate negli S.B.F.S.C.V.. ricircoleranno anche le acque di riscaldamento dei D.D.C.L che vi saliranno percorrendo le serre S.M.P.C.V contribuendo al riscaldamento invernale e ad assorbire l’umidità estiva mentre si raffredderanno. Queste acque, non essendo sufficienti ad assorbire tutto il CO2 contenuto nei fumi, soprattutto nei periodi di basso assorbimento da parte della fotosintesi, altre acque saranno sollevate ai veli d’acqua direttamente dal bacino S.C.M.C.V. per compiere questo importante lavoro tramite l’alcalinizzazione.
Quindi, senza spese energetiche proprie, a parte quelle necessarie per i sollevamenti idraulici, e le circolazioni, possiamo procedere al processo di recupero del CO2 e alla depurazione e alcalinizzazione delle acque. Avremo anche discrete possibilità di condizionamento estive invernali delle serre, secondo la miscelazione dell’aria e dell’acqua che faremo circolare. Anche la percentuale di CO2 presente nell’aria potrà essere regolata prelevando maggiori o minori quantità di aria (ricca di CO2) dall’ambiente caldo umido dei confinanti S.C.M.C.V. Ovviamente, tutto potrà essere gestito da computer centralizzati tramite sonde distribuite nelle acque e nell’ambiente.
8) La produzione di biomasse nell’ambito della D.C.P.T.C.G.
L’abbinamento tra serre calcaree e stagni biologici verticali, con o senza circolazione di resine ioniche (cap. 30) è già sufficiente a risolvere tutti i problemi legati alla pulizia dell’energia e alla protezione dell’ambiente, tuttavia non sono da escludere produzioni agricole in serre verticali. Queste potranno essere quasi completamente automatizzate, come nell’industria, proteggendo le produzioni più strategiche dagli eventi atmosferici, consumando meno acqua, impiegando meno mano d’opera. Saranno i posteri a fare le scelte più convenienti, in funzione del tipo di società che si costruiranno. Il sottoscritto che ha pensato a queste soluzioni non può non citare le “serre meccanizzate di produzione coperte verticali” nei “fabbricati sinergici verticali”.
Nelle S.M.P.C.V. Le coltivazioni avverranno su un consistente substrato di circa 80 – 100 cm, costituito da terreno vegetale e compostato prodotto dai D.D.C.L. Le lavorazioni meccaniche del substrato, la semina, il taglio e la trinciatura saranno tutte automatizzate, tramite carrelli automotore (del tipo usato nell’industria automobilistica, elettrodomestici, ecc) attrezzati con gli accessori che normalmente vengono montati dietro ai trattori agricoli. I carrelli automotore attrezzati passeranno da una corsia all’altra tramite piste di traslazione a piano terra e discensori automatizzati gestiti dai computer, come tutte le operazioni dell’impianto. Anche il raccolto delle colture energetiche potrà essere fatto automaticamente: il trinciato aspirato dai ventilatori centrifughi montati sulle attrezzature di taglio e trinciatura, sarà inviato a canali in depressione dotati di patte in gomma a chiusura automatica, che tramite discese verticali aspiranti, lo invieranno direttamente ai silos posizionati sopra il D.D.C.L, oppure alle tramogge di carico automezzi poste al piano inferiore. Le acque di scolo dell’irrigazione, che attraverso il substrato di coltivazione raggiungeranno i vespai in materiale plastico filtrante, ricoperti di tessuto non tessuto. Questo sistema già sperimentato e commercializzato è validamente impiegato, soprattutto per la realizzazione di giardini pensili ma sarebbe esaltato con queste grandi applicazioni. I vespai drenanti tramite tubi di scarico termineranno nel bacino di ossidazione (brad) di alimentazione degli stagni S.B.F.C.V.
Per una fortunata coincidenza, anche gli stagni biologici facoltativi, ampiamente sperimentati hanno una altezza contenuta, vanno bene gli 80 – 100 cm concessi allo strato di terreno, pertanto, li possiamo affiancare utilmente sfruttando gli spazzi pedonali per realizzare gli stagni che sovrapposti come quelli vegetativi, possono realizzare una graduale depurazione man mano che salgono. Questa opportunità non è mai stata sfruttata. Oltre tutto, la stratificazione è utile per non esercitare eccessive spinte sulle pareti laterali del fabbricato.
I sistemi meccanizzati di cui parlo erano già una realtà nel 1987 quando lasciai l’alfa Romeo per occuparmi di ambiente. Non pensavo che ne avrei proposto l’impiego anche nella protezione ambientale del futuro, e nell’agricoltura coperta fuori terra. Come si dice: impara l’arte e mettila da parte. Gli eccessivi costi dei sistemi automotore non devono escludere a priori il sistema, perché sarebbe l’unico modo per verticalizzare la produzione di biomasse, per alcalinizzare e desalinizzare grandi masse di acqua. Per risparmiare, non è necessario elettrificare tutte le linee ma soltanto i sistemi di traslazione, mentre le bilancelle di lavorazione sarebbero attrezzate con batterie intercambiabili e motori a corrente continua.
La verticalizzazione consentirebbe il risparmio di spazio, di acqua ed energia. Ne trarrebbe vantaggio anche l’industria elettromeccanica in crisi, essendo ormai saturo il mercato dell’automazione industriale, soprattutto quello automobilistico e degli elettrodomestici, dove maggiormente, si usa questo sistema. L’estrema semplicità delle operazioni di lavorazione, semina e raccolto consentono di moltiplicare su moltissimi piani la produzione agricola, non solo energetica. D’altra parte, sorgerà il problema dell’impiego della grande quantità di compost che produrremo, con la chiusura antropica del ciclo del carbonio. Il recupero termico e il risparmio idrico, che solo i F.S.V. consentono, può rendere la coltivazione fuori terra molto competitiva, consentendo a tutti i Paesi, anche i più disagiati climaticamente, di produrre protezione ambientale, energia e alimentazione per soddisfare tutti i fabbisogni della popolazione. Prima di approfondire questi argomenti ero contrario a sottrarre terreni all’agricoltura tradizionale per produrre colture energetiche. Ritenevo che la priorità fosse quella di assicurare cibo per tutti, poi, si poteva pensare anche alla produzione energetica. Ma con le S.M.P.C.V. non sottrarremo terreni all’agricoltura, li aggiungeremo. Non sottrarremo acque alle falde in quanto le ricicliamo negli stessi bacini di cui saranno dotati gli impianti. Sfrutteremo enormi risorse che oggi sono perdute migliorando l’ambiente, creando occupazione e benessere in tutti i settori, compresi quelli che oggi sembrano distanti dai problemi ambientali, come l’industria meccanica e delle costruzioni civili. Bisogna trovare nuovi sbocchi per queste attività che hanno creato opportunità di lavoro, benessere e alleggerito le fatiche dell’uomo. Sono contro la cementificazione stupida che accelera il deflusso delle acque, ma favorevole a quella che le rallenta per creare opportunità di lavoro, protezione ambientale, produzione energetica e alimentare, che senza tali opere, non si possono nemmeno immaginare. Lo provano i vertici mondiali che non sono in grado di parlare di soluzioni tecniche globali, perché per partorirle non bastano i computer né un semplice scambio di idee tra esperti di vari settori. Bisogna studiarle con una visione impiantistica globale ma con la capacità di entrare nei dettagli. Ovviamente, per realizzare queste opere occorre la collaborazione dei tecnici di tutti i settori. Chi, come il sottoscritto, ha avuto l’opportunità di lavorare in quasi tutti i settori, può solo indicare la strada che gli altri non riescono a vedere. Non si offendano politici, professori, scienziati, ricercatori e progettisti, imprenditori, se da un rango inferiore, mi permetto di distribuire suggerimenti e progetti, e incomincino a lavorare per la razionalità impiantistica globale, o almeno, difendano gli impianti che hanno creato, confrontandoli sotto tutti gli aspetti con gli impianti globali, anche se questi sono ancora virtuali. Anche l’agricoltura si sta muovendo verso sistemi più produttivi e più sostenibili, qual è appunto la coltivazione fuori suolo. Ma non si è pensato ancora alle serre sovrapposte e all’impiego degli automotori al posto dei trattori che avrebbero anche diversi vantaggi, oltre al maggior consumo di CO2: automazione delle lavorazioni, con precisioni millimetriche, senza compattare con pesanti automezzi il substrato di coltivazione, aumento di produttività, protezione dalle intemperie. Non dimentichiamo che le serre su suolo (non sovrapposte) ugualmente occupano spazio, inquinano in modo intensivo e irreversibile il terreno sottostante, richiedono calore che disperdono con grande facilità, tanto che i costi del riscaldamento incidono per circa il 30% nella gestione invernale. In estate il rinfrescamento delle serre soleggiate è ancora più problematico del riscaldamento. Richiedono CO2 che prodotto industrialmente ha un alto costo. Non c’è nessuna ragione per non verticalizzare e meccanizzare le serre di produzione energetiche e alimentarle parzialmente con l’aria calda e umida miscelata ai fumi con CO2 depurati, depolverizzati, desolforati filtrati elettrostaticamente e immessi nel processo di recupero costituito da S.C.M.C.V. – S.B.F.C.S.V. – S.M.P.C.V., che avrebbero da quest’abbinamento, gratis CO2, calore, acqua per l’irrigazione, concimi sostenibili. Occorrono soltanto gli investimenti iniziali, in gran parte recuperabili dagli sprechi energetici attuali.
Nei D.C.P.T.C.G. ci sono anche i digestori disidratatori compostatori lineari (D.D.C.L.). Sono ancora virtuali ma sono gli unici impianti che possono fare in maniera compatta tutte queste operazioni, come spiegato a parte: producono biogas per la C.T.E. (con matrici provenienti dagli S.M.P.C.V. e soprattutto, dal territorio); contemporaneamente, la C.T.E. restituisce il calore delle acque di raffreddamento ai fasci tubieri di riscaldamento dei (D.D.C.L.). Essendo le acque all’uscita dei fasci tubieri ancora calde (35 – 40 oC) vengono usate anche per riscaldare le S.M.P.C.V. nel periodo invernale. I D.D.C.L. producono biogas che è convogliato ai gasometri, e fanghi compostati insaccati, pronti per l’impiego agricolo, compreso nelle S.M.P.C.V. Il digestato liquido viene inviato agli S.B.F.C.V (attraverso una vasca coperta di equalizzazione nella quale arriverebbe anche eventuale liquame fognario e l’acqua d’irrigazione delle S.M.C.V). Gli S.B.F.C.V restituiscono i fanghi prodotti ai D.D.C.L. per produrre di nuovo biogas. Per saturare le enormi potenzialità dei D.D.C.L., per altre vie, dal territorio giungeranno trinciati di colture energetiche, scarti vegetali, rifiuti organici urbani, liquami zootecnici, ecc.
Non avrà senso avere altri impianti di produzione energetica termica, digestori compostatori inceneritori, depuratori sul territorio se non si saturano le potenzialità dei D.C.P.T.C.G, che al contrario degli altri impianti, non emetteranno CO2 ed hanno rendimenti superiori, sfruttando il calore di scarto delle stesse C.T.E. Nessuna fattoria agricola trasformata in produttrice di energia, con tutta la tecnologia che potrà impiegare, e con tutti gli accordi che si possono fare tra enti pubblici, pur necessari (E.N.E.A. e C.R.P.A.), avrà mai la disponibilità di acqua e rocce calcaree necessarie per abbattere tutto il CO2 e recuperare tutto il calore prodotto, né potrà assumersi l’onere pubblico di depurare liquami di altra provenienza, né di alcalinizzare le acque da restituire all’ambiente, che nemmeno i depuratori si preoccupano di fare, nonostante il noto problema dell’acidificazione oceanica. Quindi, grazie ai depuratori coperti, e suoi derivati (D.C.P.T.C.G., – S.C.M.C.V.-D.D.C.L.- S.B.F.S.C.V.- S.M.P.C.V. ), la depurazione, l’alcalinizzazione delle acque, la cattura del CO2 dall’aria, e la produzione energetica possono essere collegate recuperando scarti, rifiuti, risorse termiche, attualmente, sprecate. Ma proteggiamo anche gli oceani dall’acidificazione e i terreni dalla desertificazione (con l’apporto dei nutrienti contenuti nella grande quantità di fanghi stabilizzati compostati che avremo disposizione). I D.C.P.T.C.G. pur essendo impianti con più funzioni, in grado di trattare carichi idraulici centinaia di volte superiori agli impianti attuali, sono più semplici dal punto di vista funzionale, ma richiedono una progettazione diversa e una programmazione territoriale delle varie fonti energetiche. Anche grazie alle esperienze precedenti, apparentemente lontane dalla protezione ambientale e dalla produzione energetica sono arrivato a proporre queste soluzioni che potranno, essere affinate, caso per caso. Qualche specialista del proprio settore potrà fare delle osservazioni. Sarebbero gradite, ma lo invito a priori a confrontare ciò che ha fatto il suo settore nei confronti dell’inquinamento globale e del recupero di risorse. Nulla o quasi nulla. IL settore ambientale ha copiato molte macchine e impianti dall’industria ma non è stato in grado di afferrarne i concetti gestionali, che sarebbero serviti molto più delle macchine (che nella depurazione globale non servono). Tutti parlano di gestione dell’ambiente, ma si tratta sempre di gestioni parziali e locali. La corretta gestione dell’ambiente comporta anche modifiche al concetto della proprietà privata, non per motivi ideologici, filosofici, politici, ecc., ma gestionali. La gestione, anche a livello locale, deve essere fatta con impianti di depurazione e di produzione energetica globali, in grado di chiudere il ciclo del carbonio, che non si completa con l’ossidazione perfetta che produce CO2 nell’aria, ma con la produzione di bicarbonati solubili che prevengono l’acidificazione oceanica e biomasse energetiche che producono energia da consumare sul posto, riciclando la materia organica. Difficilmente una fattoria agricola trasformata in produttrice di energia potrà soddisfare tutti questi requisiti, a meno che non si trovi in una posizione geografica particolarmente fortunata. Quindi, la produzione di colture energetiche e ortofrutticola potrà essere fatta in campo e fuori campo. Difficilmente, quella in campo potrà competere con quella fuori campo, sia per la produttività, sia per la protezione che garantiranno all’ambiente. I sistemi di produzione dell’alimentazione, dell’energia e la protezione dell’ambiente saranno così legati, che non potranno continuare a fare i danni che fanno attualmente. Anche la produzione in eccesso, gli scarti vegetali, che oggi non vengono sfruttati, potranno essere raccolti da sistemi automatizzati per essere trasformati in energia. Queste sono le ragioni per le quali parlo di modifica del concetto di proprietà in nome della collettività. Non ci sarà molto spazio per la piccola proprietà, se non di nicchie super specializzate, ma ci saranno immense opportunità di lavoro, oggi inesistenti.
Oggi, nel settore energetico c’è maggiore fermento rispetto a quello depurativo, probabilmente, solo perché si prospettano affari migliori. Erroneamente si ritiene che il settore depurativo sia arrivato a un punto morto e non possa contribuire, più di tanto, a risolvere i grandi problemi ambientali ed economici che caratterizzano la nostra epoca. Per il sottoscritto, le potenzialità ambientali sono ancora tutte da scoprire per il semplice fatto che il sistema dei fanghi attivi, che si è affermato nei cento anni della storia depurativa, non era la strada da seguire. Gli incentivi messi a disposizione dai vari governi hanno determinato la corsa all’oro energetico. A mio parere, anche questa corsa dovrebbe essere fermata, fermo restando che la ricerca debba continuare, e si dovrebbe trovare il coraggio di ripartire con nuovi sistemi di protezione ambientale globale che coinvolgerebbero il modo di costruire le città, le fognature, le zone industriali, il modo di gestire l’ambiente e le risorse energetiche. La protezione globale dell’ambiente che è partita con un articolo del sottoscritto dal titolo “la flocculazione in casa” era un’idea un po’ vaga, che intendeva proteggere l’ambiente lungo il percorso delle acque inquinate, risparmiando l’acqua potabile e alleggerendo il carico organico nelle fogne. Ma, man mano che le acque avanzavano in questo percorso virtuale è nata la depurazione fognaria, i depuratori coperti in varie versioni, arrivando persino a proteggere i corpi idrici con i depuratori immersi direttamente nelle acque e in grado di ossigenare anche le acque già presenti nel corpo idrico stesso. Tuttavia, queste cose le autorità ambientali italiane non le hanno nemmeno prese in considerazione. Oggi assistiamo impotenti all’eutrofizzazione e all’acidificazione dei laghi e delle coste, mentre continuano a fare pubblicità con bandierine blu.
Per sviluppare tutte le idee della depurcogeproduzione c’erano due possibilità: 1) lavorare in gruppo di lavoro per tutto il tempo necessario (e questo possono permetterselo soltanto le grandissime aziende, ammettendo che il capo dell’azienda abbia almeno la fantasia di immaginare o approvare le idee; 2) lavorare da soli, per anni, tessendo e ritessendo la tela, man mano che i vari approfondimenti ti costringono a ripartire da punti precedentemente assodati, modificando e adattando le varie esigenze. Questo secondo sistema è quello che ho dovuto adoperare. Nello studio delle soluzioni ambientali globali è indispensabile affrontare contemporaneamente tutti i problemi, idraulici, fisici, chimici, biologici del liquame e dell’aria anticipando, soprattutto, i fenomeni degenerativi non desiderati. Sono i collegamenti delle soluzioni che consentono di sviluppare le sinergie necessarie al recupero delle risorse e all’aumento dei rendimenti. Questi collegamenti non sono mai stati realizzati nel mondo dell’ambiente e dell’energia. Chi ha realizzato le fogne si è occupato soltanto dell’aspetto idraulico e ha peggiorato le condizioni dei liquami, senza risolvere il problema dei sedimenti e dell’idrogeno solforato; chi depura le acque inquina l’aria con i processi di ossidazione a cielo aperto e non previene l’acidificazione dei corpi idrici; chi produce energia, ugualmente, inquina l’aria e riscalda le acque e l’aria; chi tratta i rifiuti inquina le falde acquifere e l’aria; chi coltiva la terra inquina le acque di falda e superficiali. Tuttavia ogni problema ambientale o di produzione energetica, oltre alle soluzioni locali e specifiche che conosciamo potrebbe avere la propria soluzione globale: a partire dal degrado fognario (depurazione fognaria); alle emissioni di CO2 (depurazione coperta);all’intercettazione dei nutrienti indesiderati che provocano l’eutrofizzazione dei corpi idrici e delle zone costiere (grandi opere idrauliche, depuratori coperti, stagni biologici coperti); al recupero del calore disperso nelle acque (grandi digestori lineari); allo sfruttamento del CO2 come risorsa ambientale(carbonatazione delle rocce, fotosintesi nei biologici e nelle produzioni agricole in serra); recupero delle acque di irrigazione (coltivazioni in serre verticali, stagni biologici verticali); recupero dei fumi prima di emetterli nell’atmosfera (ciminiere C.R.D.); alla produzione energetica sostenibile da rifiuti biomasse e combustibili fossili (D.C.P.T.C.G.); all’evacuazione dei gas esausti dalle città (depurazione globale urbana abbinata alla depurazione fognaria e ai F.S.V.); all’evacuazione in mare di liquami non depurati, ( depuratori e stagni biologici coperti verticali); alla scarsità di terreni per la produzione energetica (serre verticali fuori campo). Mettendo insieme le opere di protezione globale, di produzione agricola fuori campo e di produzione energetica depurativa, che non esistono nemmeno nell’immaginazione dei progettisti, delle autorità ambientali e degli autori di testi sull’ambiente e l’agricoltura (almeno per la verticalizzazione e l’automazione), potremmo chiudere il ciclo del carbonio, nelle città nelle campagne, nei corpi idrici, nelle zone costiere, recuperando le risorse contenute nelle emissioni di CO2, le dispersioni termiche, i rifiuti, le acque inquinate e produrre energia sostenibile. Sono ben poche le opere esistenti che possono essere integrate nella gestione sinergica dell’ambiente, energia e della produzione alimentare (A.E.P.A.). Le opere attuali, non servono, non essendo state progettate per funzionare in abbinamento con le altre. Naturalmente, a parte le C.T.E. della dimensione giusta, che per pura combinazione, sono state realizzate al posto giusto.
9) La chiusura del ciclo del carbonio nella D.C.P.T.C.G.
Che il “Sistema Italia” non funziona è chiaro a tutti, ma a pochissimi è chiaro che anche gli impianti di protezione ambientali del “Sistema mondiale” non funzionano. Se ci può consolare nemmeno quelli della locomotiva Germania. Tutti gli impianti esistenti emettono CO2, compresi i depuratori delle acque, e nessuno pensa di sfruttarne le caratteristiche come fa la natura. Purtroppo, la natura ha dei limiti e molte cose non può farle da sola, ma ci ha indicato la strada. Il ciclo del carbonio deve sempre chiudersi e non si chiude producendo CO2. La natura alcuni processi li completa dopo migliaia di anni (fossilizzazione). Nei processi antropici possiamo fare molto più presto. Se determinate attività industriali non possono farlo autonomamente, devono essere spostate in una zona in cui si potrà realizzare un impianto globale adeguato alla chiusura dei cicli che restano aperti. Chiudendo i cicli, neutralizzando il CO2, recuperando il calore disperso, e producendo energia pulita, si avvantaggerebbero la stesse aziende industriali per i minori costi energetici ottenibili nonostante si debbano aggiungere i costi dovuti alla pulizia energetica. Nel caso di micro attività inquinanti vale il concetto espresso nella depurazione “globale delle città” nelle quali si realizzano dei collettori interrati per catturare, comprimere e trasportare ai “fabbricati sinergici verticali (F.S.V.)”. I fanghi prodotti da questi moderni palazzoni vetrati, ubicati nelle stesse città, potrebbero essere inviati tramite tubazioni interrate ai D.D.C.L. dei D.C.P.T.C.G., oppure, tramite autobotti.
Con il sistema C.C.S. (carbon capture and sequestraction), si aggiungeranno sprechi agli sprechi, danni ambientali ad altri danni ambientali. Vale la pena di inserire in questa pubblicazione uno stralcio di un articolo che ho scritto oltre un anno fa, ripreso e pubblicato sul n. 1. 2012 dei quaderni di “Legislazione Tecnica”: “Il sistema C.C.S. (Carbon Capture and Sequestraction), che si sta portando avanti a livello mondiale, tra cui l’Italia, è criticato autorevolmente in tutto il mondo per i costi che si prevedono: i vari prototipi sono costati una trentina di miliardi di dollari; si prevede un costo di 70-80 dollari per tonnellata catturata, escluse le spese di trasporto e interramento; la soluzione più accreditata, che è la postcombustione, comporta un maggiore consumo di combustibile dell’11% nel caso del metano e addirittura del 30% nel caso del carbone per avere la stessa potenza erogata; un’eventuale fuoriuscita di nuvole velenose di CO2, potrebbe creare il cosiddetto effetto Nyos, ossia la morte di tutti gli esseri viventi per asfissia. In questo breve articolo voglio sottolineare l’inutilità di questo progetto internazionale patrocinato ad altissimi livelli internazionali quali l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change ) e addirittura l’ONU. Si riporta il processo pubblicato dall’Enel, applicato all’impianto prototipo di Brindisi (http://www.progettosienergia.it/post/l’impianto-per-la-cattura-della-co2-a-brindisi):
- Dopo il trattamento nel denitrificatore, desolforatore e nell’elettrofiltro, realizzati nella centrale a carbone, i fumi, puliti da ossidi di azoto e zolfo e con bassissima concentrazione di ceneri, passano nell’unità di cattura di anidride carbonica. L’unità è composta dall’assorbitore, dallo stripper, da un reboiler per la rigenerazione del solvente e dal condensatore.
- Assorbitore. All’interno della colonna di assorbimento, i fumi vengono in contatto controcorrente con la soluzione assorbente di monoetanolammina (MEA) e cedono la CO2. Vanno così alla ciminiera privi di anidride carbonica ed escono in atmosfera.
- Stripper e reboiler. La soluzione ricca di CO2 esce dall’assorbitore ed entra nello stripper dall’alto. Scendendo, sfrutta il calore fornito dal reboiler e si scalda favorendo il rilascio della CO2. Si forma pertanto una fase gassosa di CO2 e vapore che procede verso la testa dello stripper. La soluzione liquida rigenerata, invece, scende verso il basso e può essere inviata nuovamente all’assorbitore.
- Condensatore. Il mix di anidride carbonica e vapore acqueo in uscita dallo stripper passa al condensatore, dove il vapore torna allo stato liquido. La condensa rimossa della CO2 viene rimandata in testa allo stripper, mentre la CO2 pura continua il percorso di trasporto e successivo stoccaggio
Da quanto sopra riportato questo processo sembra troppo complesso per essere applicato al CO2 emesso nelle città dalle caldaie di riscaldamento, dal traffico cittadino e dalle piccole attività industriali, dove bisognerebbe intervenire. Può essere applicato soltanto per le grandissime emissioni delle centrali termiche e successivamente per inceneritori e via di seguito. Ma che senso ha catturare il CO2 per interrarlo? Dopo che i fumi sono stati denitrificati, desolforati, deossidati, filtrati elettrostaticamente, non è meglio proseguire il raffreddamento dei fumi come sopra anticipato attraverso le ciminiere C.R.D. e i fabbricati F.S.V. senza perdere il rendimento del 30% del potere calorifero del carbone e spendere altre risorse per l’interramento e correre pericoli per l’effetto Nyos? Non è meglio recuperare anche il calore delle acque di raffreddamento e iniziare una nuova produzione energetica sul posto? Utilizzare lo stesso CO2 per la concimazione carbonica ed estrarre il calcio dalle rocce e alcalinizzare le acque che inviamo verso il mare? Non si dica che i rendimenti sarebbero bassi, perché nell’ambiente coperto, la solubilità del CO2 nell’acqua aumenta di decine di volte e la superficie di contatto con le rocce frantumate e immagazzinate aumenta di centinaia di volte.
L’ articolo citato, che era già critico nei confronti del C. C. S., è stato scritto prima che inventassi la D.C.P.T.C.G., che dimostra come, non solo, il CO2 emesso dalle centrali termiche, ma anche il calore disperso dalle stesse, possono diventare delle preziosa risorse ambientali ed energetiche. E’ possibile che possano esistere posizioni così contrapposte? Il CO2 è una calamità oppure una risorsa? Per il sottoscritto il CO2 può essere una calamità e una risorsa, dipende soltanto da chi lo gestisce. Dobbiamo solo sperare che a gestire l’ambiente sia chi sappia gestirlo come una risorsa, perché non può esistere una risorsa più efficiente ed economica per trasportare i carbonati negli oceani e aumentare la produttività energetica delle biomasse. Per non essere demagogico ho sviluppato dei dettagli impiantistici che ritengo semplici da comprendere (per chi li vuole comprendere).
Non dobbiamo illuderci di risolvere i problemi globali con il nucleare e il C.C.S. nascondendo le scorie radioattive e il CO2 nel sottosuolo, senza risolvere i problemi oceanici. Queste soluzioni potrebbero avere una giustificazione se non ci fosse la possibilità della depurazione globale, a tutti sconosciuta.
Il nucleare e il C.C.S, non sono soluzioni globali, strutturali, sostenibili, economiche. Non sono globali perché trascurano l’inquinamento delle acque terrestri ed oceaniche. Non sono strutturali perché si dovranno sempre cercare nuovi siti adatti all’interramento delle scorie e del CO2. Non sono sostenibili in quanto nulla può garantire la tenuta dei siti di stoccaggio interrati contro eventi sismici di particolare intensità (effetto NYOS). La vicenda delle scorie nucleari di Asse, in Germania, dove le scorie si devono spostare con alti rischi ambientali per delle banali infiltrazione di acqua serva da monito. Vengono i brividi solo a pensare cosa sarebbe successo se in quella zona fosse stato interrato anche il CO2. Non mi pronuncio sui costi del nucleare, non essendo aggiornato, ma il C.C.S. non è certamente economico, se è vero che il processo di cattura e trattamento e compressione costa 70-80 dollari a tonnellata esclusi i costi di trasporto e interramento. Inoltre nel caso del metano e combustibili leggeri occorre bruciarne circa 11-12% in più e nel caso del carbone addirittura il 30% per produrre la stessa quantità di energia. Non è vero che il C.C.S. chiude il ciclo del carbonio, lo imprigiona pericolosamente. Alla corretta chiusura del ciclo del carbonio partecipa il cielo, il mare e la terra, come ho cercato di fare attraverso gli impianti globali, nei quali è bastato eliminare le dispersioni per aumentare i rendimenti in tutti i settori: energetico, alimentare, depurativo. Non siamo all’ultima spiaggia, il C.C. S. (già costato una trentina di miliardi dollari) e il nucleare e le nuove energie, non competitive, possono ancora aspettare.
Diverso è il caso della depurazione dell’aria nelle città, dove il CO2, e gli altri gas, ristagnano negli strati bassi dell’atmosfera. In tal caso bisogna intervenire a depurare l’ambiente ma non si potrà certamente intervenire con la postcombustione, né si può pensare di continuare a tamponare con le passeggiate in bicicletta e le chiusure al traffico. Di questo ho già parlato nella “depurazione globale nelle città” che ripubblico al cap. trentadue. Il mondo va verso un incremento demografico senza precedenti. Nel 2050 sarete nove miliardi (non ci sarò). Occorrono altre soluzioni ecocompatibili. Nel bene o nel male, del C.C.S. si parla molto e sta procedendo con ingenti finanziamenti. Mentre della depurazione globale che è l’alternativa sostenibile con potenzialità depurative e protettive dell’ambiente, che gli inventori del C.C.S. non immaginano nemmeno, parla solo chi scrive e nessun governante o un privato, fino ad ora, ha investire un euro. Per gli italiani la depurazione globale non si critica e non si discute, semplicemente non esiste. Solo a criticarla significherebbe ammetterne l’esistenza. A chi giova? Cosa pensano i cittadini? Dove sono le associazioni ambientali? Sono domande senza risposte che mi pongo da alcuni anni, arrivando a concludere che nell’ambiente, come nella politica, i singoli Paesi e il Mondo intero hanno sempre quello che si meritano. Tanto il conto lo pagheranno quelli che verranno dopo.
Nel 2012 siamo ancora all’anno zero della protezione ambientale e non si vedono spiragli di miglioramento. Riconosco che sono stati fatti importantissimi progressi tecnologici, ma dico che questi progressi avrebbero dato frutti immensamente superiori se indirizzati in una strategia di protezione ambientale globale, non circoscritta localmente e settorialmente (acqua, aria, energia). Non penso di poter andare oltre la “depurcoproduzione coperta globale” che sintetizza quella che dovrebbe essere l’attività antropica sostenibile. I responsabili ambientali, nazionali e internazionali, queste proposte potranno anche continuare a cestinarle, ma è importante che esistano, come punto di riferimento non demagogico. Giacché, chi ha la presunzione di progettare impianti di protezione ambientale, che funzionano con i limiti attuali, che non possono superare, definiscono demagoghi coloro che protestano senza progetti. Nel frattempo tacciono su progetti alternativi, per non ammetterne l’esistenza. Non è stato realizzato nulla di quanto propongo nel settore ambientale. Di certo, si potrebbero evitare moltissimi sprechi mettendo insieme la protezione ambientale e la produzione energetica. Apparentemente, sono settori troppo diversi per potersi integrare. Io stesso non avrei visto le possibilità di questi collegamenti se non avessi inventato prima la depurazione fognaria, dopo, i depuratori coperti e non avessi trascorso molti anni nell’industria automobilistica che mi ha ispirato la verticalizzazione di alcune sezioni d’impianto e alcune produzioni agricole. Sono questi gli elementi che mancano per collegare la depurazione dell’aria a quella dell’acqua ed entrambe alla produzione energetica, in modo sostenibile. Se non si rimuovono le barriere, soprattutto psicologiche, non è possibile vedere quello che c’è dietro. Anche i depuratori dotati di cogenerazione e la cogenerazione stessa che contiene la depurazione, pur essendo esperienze fondamentali, che vanno nella giusta direzione, sono lontanissimi dai D.C.P.T.C.G. che sono molto più completi e potenti. Questi riusciranno a chiudere il ciclo del carbonio oltre la combustione evitando le emissioni di CO2, recuperando il calore disperso dalle centrali termiche, soprattutto alcalinizzando le acque; lo stesso CO2 non sarà considerato un problema, ma una risorsa. Gli impianti globali possono riciclare i rifiuti continuamente evitando gran parte della produzione antropica di gas serra nell’atmosfera. La natura, come detto, non è altro che un grande impianto termo climatico che ha delegato il ruolo più importante, quello della regolazione della temperatura, alle acque dolci piovane che circolano nei fiumi (e anche nelle fogne). Oggi, con le cementificazioni abbiamo accelerato la corsa di queste acque verso il mare, mentre avremmo dovuto rallentarle affinché abbiano la possibilità di assorbire la maggiore quantità di CO2 che produciamo attraverso processi ecocompatibili. Le acque piovane, con le proprie caratteristiche leggermente acide hanno il compito di arricchirsi di carbonati lungo il percorso che le riporterà agli oceani per tamponare il naturale processo di acidificazione del Pianeta. Gli S.B.F.C.V. nei F.S.V. distribuiti sul territorio possono costituire un incredibile sistema di rallentamento della corsa delle acque e di arricchimento di carbonati insieme agli S.C.M.C.V. contenuti nei D.C.P.T.C.G.. Questi sono gli unici impianti al mondo che si propongono e possono rinforzare il sistema termo climatico globale in crisi. L’acqua dolce piovana, da sempre, è il veicolo attraverso il quale, il CO2, il calcio, il magnesio, il silicio, il carbonio, l’ossigeno, e tantissimi altri elementi in percentuali minori, ritornano verso gli oceani sotto forma di sali carbonati. Le acque saline oceaniche sono il serbatoio di accumulo provvisorio dei carbonati (la soluzione tampone del Mondo). I fondali oceanici, la crosta e il nucleo terrestre sono i serbatoi definitivi dei carbonati e di tutte le sostanze fossilizzate, dai quali l’uomo ne estrae la parte, più accessibile, per il proprio fabbisogno. L’uomo, con le proprie attività industriali, urbane, agricole, in molti casi, non consente la chiusura completa del ciclo del carbonio: grandi quantità di CO2 non hanno la possibilità di combinarsi con i minerali alcalini e alcalino-terrosi per formare sali carbonati da trasportare agli oceani tramite le acque, come la natura cerca di fare, anche se non sempre ci riesce, come nel caso delle eruzioni vulcaniche. A questo squilibrio ambientale, in parte naturale e in parte dovuto all’uomo, partecipano tutti gli impianti, nessuno escluso, che l’uomo ha progettato per proteggere l’ambiente (fogne, depuratori, discariche, inceneritori, compostaggi, digestori) e, soprattutto, quelli che producono energia termica. “La depurazione globale” si propone di coinvolgere una maggiore quantità di acque superficiali, affinché anche il CO2 prodotto dall’uomo possa combinarsi in processi chimici e biologici producendo e trasportando maggiori quantità di carbonati agli oceani; evita che il CO2 arrivi in atmosfera, dove non può essere neutralizzato, assorbendolo prima tramite processi sostenibili. Ovunque avviene un processo di combustione per opera dell’uomo dovrebbe esserci un sistema forzato di convogliamento dei fumi in un sistema di depurazione, raffreddamento e un bacino acquatico coperto, dove possa avvenire il contatto tra i fumi, il calcio e l’acqua, affinché l’acqua si arricchisca di carbonati, a prescindere dagli altri trattamenti depurativi. Oggi lo possiamo fare in molti casi facilmente, perché i fumi escono, o potrebbero uscire dai camini a temperature inferiori agli 80 oC (nelle caldaie a condensazioni di fumi, impiegate con temperature dell’acqua di ritorno sui 30O C. la temperatura dei fumi può essere sui 40O C.). Con impianti studiati, in maniera diversa, per ogni situazione ambientale, si potrebbe proteggere tutto il territorio (v. La depurazione globale nelle città, depuratori fluviali, portuali, lacustri, ecc. di cui solo il sottoascritto ha il coraggio di parlare, in monologhi, che ormai, sono triennali.) L’operazione è agevolata dal maggior peso del CO2 rispetto all’ossigeno e all’azoto (contenuti nei fumi), da processi biologici complessi, come la fotosintesi, chemiosintesi, dalle reazioni chimiche consentite dal calcio. I processi biologici sono da preferire nella maggioranza dei casi perché svolgono anche funzioni depurative delle acque producendo ossigeno. Ma di fronte alle grandissime concentrazioni di calore e CO2 delle centrali termiche, non possiamo affidarci soltanto ai processi biologici, dobbiamo ricorrere anche alla chimica, alla fisica, alle opere di ingegneria civile e meccanica. In questi impianti, il fabbisogno di acqua dovrà essere enorme, essendo necessario soddisfare anche altre importanti funzioni: raffreddamento delle turbine, condensatori e fumi della centrale. I fumi, utilizzerebbero il classico camino solo per la prima fase di raffreddamento, salendo verso l’atmosfera, ma alla sommità dello stesso, sarebbero captati per essere trasferiti in grandi serre calcaree per essere ulteriormente raffreddati e trattati per rilasciare il CO2 e gli altri elementi tossici e inquinanti non abbattuti nei processi precedenti. Studiando, nel dettaglio, questi impianti, mi è capitato di sorprendermi per altri importanti risultati ottenibili: economici, energetici e ambientali, a cui non avevo pensato. Il territorio, il corso d’acqua, la centrale termica, il depuratore, lo smaltimento del rifiuto, il gassificatore e altro possono costituire un unico impianto che chiude il ciclo del carbonio. L’aria che uscirà da questi impianti potrà essere priva di CO2, NOx, SOx, polveri sottili, smog; l’acqua depurata e alcalinizzata a basso costo.In questi tre anni di pubblicazioni, non avevo scritto nulla sul settore energetico, apprezzando il fermento tecnologico che lo agita alla ricerca di energia più pulita. Oggi, pur continuando ad apprezzare, quello che fanno tantissimi tecnici che lavorano nei nuovi settori energetici, sono certo, che la “depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale” è di gran lunga migliore sotto l’aspetto ambientale ed economico. E’ il classico “uovo di Colombo”, o meglio, un paniere di uova, che tutti potrebbero vedere e allo stato attuale, nessuno vuole vedere per continuare a giocare con l’ambiente, come il topo gioca pericolosamente con il gatto: un gioco di profitti che non consente di realizzare passi avanti nella protezione ambientale. Probabilmente, con questo progetto, non volendo, mi farò dei nemici, anche nel settore energetico, come ho fatto nel settore depurativo. Persino le aziende agricole divenute recentemente produttrici di energia mi saranno contro. Qualcuno direbbe molti nemici, molta gloria. Ma, al sottoscritto basterebbe soltanto che inquadrassero i loro impianti in un contesto più ampio, dove non c’è solo l’energia. Gli impianti che prospetto non criticano la tecnologia cercano soltanto di recuperare gli scarti che gli impianti esistenti rilasciano nell’ambiente. La D.C.P.T.C.G. conferma che la strada della depurazione globale è quella giusta. I processi depurativi delle acque, secondo tutti i testi che insegnano la materia, non sono altro che un’accelerazione dei processi naturali attraverso gli impianti, appositamente studiati. Solo che nello studiare, sperimentare, perfezionare, gestire gli impianti di depurazione, intere generazioni di tecnici hanno dimenticato di coprirli. Non si tratta di una dimenticanza di poco conto. La semplice copertura delle vasche di trattamento, avrebbe cambiato il contenuto delle vasche pur senza incrementare la pressione atmosferica, avrebbe accelerato i processi in un modo incredibile, consumando il CO2 ed economizzando i consumi. Se l’avessero fatto, oggi non staremmo ad aspettare e seguire, speranzosi, i tanti e inutili vertici mondiali sull’ambiente. Coprendo gli impianti, verticalizzandoli per aumentare le superfici di contatto, evitando la dispersione dei gas nell’atmosfera e consentendone lo sfiato nei punti alti delle coperture, si consentirebbe la stratificazione dei gas contenuti nell’aria. Il CO2, essendo il più pesante, andrebbe a sostituire l’azoto e l’ossigeno naturalmente nei processi depurativi, con risultati molto migliori, sotto l’aspetto depurativo, delle emissioni, degli ingombri, degli additivi e dell’energia consumati. Avremmo sfruttato meglio processi sostenibili trascurati come la fotosintesi, la carbonatazione, la nitrificazione che consumano CO2 depurando o proteggendo l’ambiente. La legge di Dalton sulla pressione parziale dei gas dice: “La pressione totale di una miscela gassosa è costituita dalla somma delle pressioni parziali di ogni singolo gas componente la miscela stessa e la pressione parziale di ogni singolo componente è direttamente proporzionale alla sua partecipazione percentuale alla costituzione della miscela”. La legge di Henry dice: “ A temperatura costante la quantità di gas poco solubile disciolta in un dato volume di liquido è proporzionale alla pressione del gas sovrastante la soluzione”. Possiamo dedurre che lo 0,039 % di CO2 presente nell’aria atmosferica, sotto la copertura può diventare centinaia di volte superiore: anche nell’acqua può aumentare la sua influenza di centinaia di volte, a scapito di altri gas più leggeri, che cederanno il posto, lasceranno l’acqua e saliranno nell’atmosfera. Nelle serre, i gas saranno sottratti all’azione del vento e potranno stratificarsi in funzione del proprio peso specifico. Conseguentemente, processi di fissazione autotrofa del CO2, come il ciclo di Calvin della fotosintesi, la nitrificazione, la carbonatazione a freddo delle rocce potranno essere intensificati consumando maggiori quantità di CO2. Anche se esistono dei meccanismi regolatori biologici e fisici che non consentono di superare entro certi limiti la produzione fotosintetica, non ci son limiti alla carbonatazione a freddo delle rocce calcaree se riusciamo a stivarle frantumate, aumentando le superfici di contatto di migliaia di volte movimentandole e rinnovandole con sistemi meccanici. Sfruttando sistematicamente queste applicazioni con bassi consumi energetici, già da molto tempo, avremmo potuto parlare di “depurazione globale”. I fanghi e le biomasse prodotti negli stagni biologici facoltativi coperti verticali + serre meccanizzate di produzione (S.B.F.S.C.V.+ S.M.P.C.V.) alimenterebbero ancora freschi i “digestori disidratatori compostato lineari” (D.D.C.L.) posti nei D.C.P.T.C.G. più vicini, senza il bisogno di completare la digestione sul posto con maggiori rendimenti e senza emissioni in atmosfera. Mentre la maggioranza del CO2 sarebbe trasferitaalle acque per mezzo della carbonatazione, salvo casi particolari, dove avremo grandi superfici a disposizione per sfruttare la fotosintesi. Utilizzando le acque e il compostato come terreno di coltura, l’inquinamento e il CO2, come concimi, risparmiando energia per l’ossidazione, potremmo permetterci di realizzare queste grandi opere e consumare un poco di energia per l’illuminazione, tramite lampade Led, che consumano 1/25 delle vecchie lampade a incandescenza, senza entrare nei dettagli, di ogni particolare.
Come i tecnici del passato hanno dimenticato di coprire gli impianti, i tecnici moderni, una volta abbassata sufficientemente la temperatura dei fumi, hanno continuato a emetterli nell’atmosfera. Hanno ben raffreddato i fumi per aumentare il rendimento termico della combustione, ma non hanno pensato di continuare il raffreddamento e di neutralizzarli nei bacini coperti con i processi sopra indicati per pulire la produzione energetica. Stranamente, il solito silenzio ha accolto questa proposta fatta dal sottoscritto, anche se la proposta non era articolata come sto facendo con questa pubblicazione. Chi è del mestiere non ha bisogno di tanti dettagli. Basta uno spunto per iniziare a lavorare su un argomento che si conosce. Almeno così la pensavo prima di essere costretto ad approfondire da solo questi argomenti. Sembra che i produttori di energia termoelettrica, non vogliano competere, sul piano della qualità del prodotto, con le altre energie rinnovabili. Non hanno perso il loro prezioso tempo nemmeno per contraddirmi (se non abbiano scelto di utilizzare i depuratori coperti per pulire l’energia senza rendermi partecipe). Comunque, i D.C.P.T.C.G. vanno molto oltre i depuratori coperti. Possono pulire l’energia fossile, compresa quella a carbone, ma possono essere alimentati dai metanodotti oppure dai rigassificatori. In quest’ultimo caso si potrebbe sfruttare il freddo prodotto dalla rigassificazione del metano per il raffreddamento delle acque di raffreddamento delle centrali termiche. I tecnici del passato, hanno qualche attenuante, non era facile vedere alcuni aspetti della “D.C.P.T.C.G.”, senza i progressi tecnologici attuali. Ma i tecnici moderni, non hanno nessuna attenuante: continuano a non vederla, anche se è a portata di mano, e sono quasi tre anni che mi agito per farla vedere. I silenzi avallano le opere non sostenibili attuali che, non solo, non scalfiscono i problemi, ma li aggravano e sottraggono preziose risorse alle opere sostenibili. Anche gli scienziati sono super specializzati e non vedono le soluzioni globali. All’I.P.C.C. (Intergovernmental Panel on Climate Change) hanno pensato che bastava perfezionare i depuratori da un lato, e dall’altro, la filtrazione dei fumi, nonché, la cattura e l’interramento del CO2 delle centrali termiche, e avrebbero risolto il problema dell’inquinamento globale. Non è così. Se ragioniamo, ci accorgiamo che i depuratori sono una concentrazione di controsensi rispetto ai due gravi problemi che deve affrontare il Pianeta: la necessità di ridurre le emissioni di CO2 e l’alcalinizzare una maggiore quantità di acque che inviamo agli oceani. Invece, il sistema che è stato creato è caratterizzato dalle fognature che degenerano o liquami e i fanghi attivi che ne trattano pochissima, ne sversano moltissima, emettono CO2 e dell’alcalinizzazione nemmeno si parla. In Europa le leggi consentono che all’uscita dei depuratori le acque possono avere un PH 5,5, indipendentemente dal PH del corpo idrico ricevente. Solo se si tratta di bacini di acque particolarmente sensibili, viene elevato questo limite. Con queste regole e questi impianti dovremmo continuare a contrastare l’inquinamento globale?
Come per modificare il sistema depurativo sono partito dall’esterno dei depuratori (v. art. La depurazione nelle case e nelle fogne), per migliorare la produzione energetica parto dall’esterno delle centrali: dalla canne fumarie e dagli scarichi delle acque di raffreddamento. In questi elementi trascurati sono nascosti i margini di miglioramento ambientale e di rendimento. Le centrali termiche hanno dimenticato oltre il 60% della potenza termica viene dispersa nelle acque e nell’aria. Le emissioni di CO2 potrebbero essere sfruttate come risorsa per produrre i carbonati che mancano agli oceani e biomasse per produrre nuova energia mentre il calore sprecato potrebbe essere sfruttato per riscaldare digestori e serre di produzione. Il grande uovo di Colombo che nessuno ha visto in quasi cento anni di esistenza dei depuratori e delle centrali termiche è quello di mettere insieme depuratori, centrali termiche e produzione energetica. Non era facile vedere quest’uovo che era ben nascosto, soprattutto, dai sistemi adottati per l’espulsione dei fumi e dai sistemi depurativi che trattano piccolissime portate e non coinvolgono l’aria nei trattamenti. Basti pensare che le acque che passano nelle centrali termiche (a scopo di raffreddamento) sono decine di volte superiori a quelle che passano nei depuratori. Anche se non sono arrivato subito alla D.C.P.T.C.G. e nelle precedenti pubblicazioni mi sono fermato solo alla prospettiva di pulire l’energia termoelettrica, è possibile che questa pulizia abbia suscitato tanta indifferenza nel ministero dell’ambiente, CNR, ENEA, ENI, ENEL? Anche se non sono stato del tutto convincente, una pulce nelle orecchie l’ho messa? Sembra proprio di NO. Ho depositato quattro domande di brevetto su questi argomenti, ma nelle mani del sottoscritto, valgono meno di niente, mentre nelle mani di questi ENTI PUBBLICI potrebbero dare un importantissimo contributo alla crescita del Paese, se scendessero dal loro piedistallo. A livello internazionale, a che servono i mega vertici dopo di quello di Kioto del 1997 se si rifiutano di parlare della depurazione globale? Possibile che nessuno si renda conto che fino ad ora, a livello di protezione ambientale abbiamo prodotto soltanto dei costosi palliativi? I 195 stati sovrani non hanno speso un euro nei sistemi di protezione globale dell’ambiente. Alcuni (tra cui l’Italia) hanno preferito investire nel C.C.S. (carbon capture end storage) che incrementa i consumi di combustibili fossili riducendo i già bassi rendimenti delle combustioni. Possibile che i produttori di energia termoelettrica si accontentino di fare affari con il C.C.S. e di incrementare i consumi abbassando i rendimenti? Tutti hanno investito nelle energie rinnovabili che sono neutrali nei confronti dell’ambiente, ma non lo proteggono da altre fonti di inquinamento. Chi dovrebbe difenderci dall’acidificazione del Pianeta? Chi depura l’acqua, l’aria, i rifiuti, chi produce energia? Nessuno da solo può riuscirci se non si mettono insieme gli impianti, come farebbe un buon impiantista. Ma per mettere insieme gli impianti bisogna progettarli in modo che possano essere messi insieme. Ho dovuto contestare, con nuove proposte, l’intero sistema depurativo esistente, inventare la depurazione fognaria, i depuratori coperti, la depurazione globale urbana, i digestori anaerobici lineari, gli stagni biologici successivi verticali. Una volta creata virtualmente l’esistenza di tutti questi impianti, che non esistono, sempre virtualmente, ho potuto affiancarne una parte alle centrali termiche per recuperare il calore, il CO2 e produrre nuova energia pulita. Per prima cosa ho pensato di modificare le ciminiere, che non sarebbero più l’elemento finale, ma servirebbero per raffreddare i fumi e migliorarne la depurazione. Potremmo chiamarle “ciminiere di raffreddamento e depurazione dei fumi” (C.R.D.). Successivamente i fumi potrebbero continuare il trattamento di raffreddamento e la depurazione dal CO2, miscelandoli con aria e acqua in un ambiente coperto dove la miscelazione produrrebbe piogge acide e vapore acqueo che, insieme, potrebbero corrodere dei massi di roccia sospesi. Questo ambiente sarebbe chiamato “serra calcarea meccanizzata coperta verticale” (S.C.M.C.V.). In questo ambiente particolare, ricco di CO2, le rocce calcaree, si corroderebbero arricchendo di carbonati le acque circolanti, come pioggia e di conseguenza anche nel bacino sottostante (braa). Ma sapendo che il CO2 è un ottimo nutriente perché non sfruttarlo anche per produrre biomasse energetiche che serviranno a produrre energia. Infatti, una volta raffreddati i fumi e ridotta la concentrazione di CO2 nell’aria, possiamo produrre delle biomasse energetiche realizzando accanto alla serre calcaree, le serre meccanizzate di produzione coperte verticali (S.M.P.C.V.), nelle quali si potrebbe consumare altro CO2. Per ipotizzare queste serre ho dovuto attingere da lontani ricordi del periodo in cui lavoravo nell’industria il sistema della meccanizzazione delle lavorazioni, per mezzo di binari pensili, discensori, carrelli automotori, bilancelle attrezzate per le lavorazioni del terreno in sostituzione dei pesanti trattori agricoli. Ma, una volta verticalizzata la produzione di biomasse, perché non verticalizzare anche gli stagni biologici, ricorrendo a quelli facoltativi (S.B.F.S.C.V.), meno profondi che sfruttano lo strato superficiale delle acque per consumare i nutrienti organici e inorganici attraverso la fotosintesi. Verticalizzando gli stagni possiamo avere tutta la superficie che vogliamo e addirittura sfruttare la verticalizzazione per aumentare gradualmente la purificazione delle acque, man mano che salgono verso l’alto, affidato esclusivamente alla fotosintesi e all’aerazione superficiale. In caso di necessità solo al piano inferiore potrà essere aggiunta una rampa di ossidazione per mezzo di elettrosoffianti. In termini di assorbimenti energetici dovremmo considerare soltanto l’energia per i sollevamenti e l’eventuale illuminazione. Vedremo in seguito che con questo sistema possiamo arrivare, addirittura a desalinizzare le acque.
Non sarebbe bello vedere le ciminiere, almeno quelle più inquinanti, senza pennacchi di fumi neri, non solo quelle celle C.T.E., ma anche quelle dell’ILVA, degli inceneritori ecc.?
L’impiantista ambientale deve prospettare tutte le soluzioni possibili perché le risorse sono limitate, comprese le rocce calcaree, ma anche perché la produzione foto sintetica in serra sta crescendo. Questa è in grado di consumare molto CO2, ma anche di inquinare altamente i terreni e le falde sottostanti. Senza alcun dubbio conviene creare produzioni fuori terra, verticalizzare gli impianti e riciclare le acque utilizzate depurandole negli stessi impianti. La verticalizzazione e la meccanizzazione delle serre è una conseguenza di questo nuovo sistema di produzione che potrebbe sembrare eccessivamente sofisticato e costoso, per come siamo abituati a vedere la produzione agricola, ma se si considera che il sistema, oltre a produrre biomasse energetiche è contemporaneamente un depuratore dell’aria e dell’acqua e può portare allo sviluppo di nuove opportunità di lavoro nell’agricoltura, nell’industria elettromeccanica, nella protezione dell’ambiente e nel settore delle costruzioni, tanto antieconomico non sia. Con un’infelice espressione pubblicata in un’intervista al Wall Street Journal, l’ex ministra Fornero, asserì che il lavoro non è un diritto. Si sbaglia e i politici hanno il dovere di creare opportunità di lavoro, soprattutto in settori prioritari per la tutela dell’ambiente e per assicurare energia e alimentazione. L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Non vorrei fare un gioco di parole, ma i politici e tecnici che non sanno creare lavoro, non fanno bene il proprio lavoro. I politici dovrebbero saper riconoscere i progetti di pubblica utilità, non concedere finanziamenti alla cieca a settori non competitivi. Le regioni, le province, sono state create per avvicinare la politica ai cittadini ma sono diventate soltanto fonte di spesa e di gestione. Quando si tratta di progettazioni e innovazioni non si trovano interlocutori nemmeno a livello locale. Il costo dell’energia in Italia è tra i più cari del mondo. E’una palla al piede per la competitività delle nostre aziende. Le nostre acque sono inquinate a tutti i livelli e sono un grosso problema anche per la competitività turistica (oltre che per il futuro dei nostri figli). Il petrolio e il gas sono la nostra maggiore spesa nella bilancia dei pagamenti. Le nostre imprese e i nostri giovani non trovano lavoro. Tutti questi grandissimi problemi potrebbero avere una sola soluzione: D.C.P.T.C.G.
10) La protezione ambientale e la produzione energetica negli stessi impianti
Non entro nel merito dell’affidabilità delle agenzie di rating, che assegnano punteggi sull’economia dei singoli Paesi, dico soltanto che, se esistessero delle corrispondenti agenzie, in grado di valutare, obiettivamente, l’efficienza dei Paesi nell’uso delle risorse energetiche e ambientali, nessun Paese sul pianeta Terra meriterebbe la tripla “A”, mentre sul piano economico, attualmente, per le agenzie, questo ambito riconoscimento lo meritano soltanto una dozzina di Paesi su 195. Per il sottoscritto, il divario tra ricchi e poveri che sta aumentando di anno in anno, non solo tra i vari Paesi, ma anche all’interno dei Paesi, è dovuto, in larga parte, all’inefficienza della gestione delle risorse energetiche e ambientali. Le nuove energie, sono discontinue, insufficienti, sono già in crisi per l’approvvigionamento delle materie prime, attenuano solo parzialmente, i problemi ambientali e non possono competere per i costi con quelle di origine fossile, che già sono inaccessibili per paesi poveri, mentre diventa sempre più rischioso per l’ambiente l’estrazione del petrolio a migliaia di metri sotto le profondità oceaniche. Anche se fossimo più avanti nella produzione energetica rinnovabile, non potremmo contrastare l’invecchiamento naturale del Pianeta. Per farlo dobbiamo abbreviare il ciclo del carbonio dei processi antropici, come cerco di spiegare da semplice impiantista. Serve un’analisi dei sistemi di protezione ambientale disponibile e soprattutto, la capacità di analizzare l’utilità degli stessi, ai fini dell’inquinamento globale. Quello che non serve a questo scopo è solo un inutile doppione. I sistemi depurativi utilizzati attualmente sono soltanto dei palliativi locali che non possono incidere sull’inquinamento globale. Anzi, incidono negativamente. Non si può continuare a tenere separati i settori ambientali, energetici e il recupero delle risorse. Nonostante i grandi progressi tecnologici compiuti, immense energie termiche sono disperse nelle acque, e immense risorse di CO2 nell’atmosfera, in danno dell’ambiente, immense risorse sprecate nel ciclo dei rifiuti e anche nella più moderna cogenerazione. La produzione termoelettrica, riveduta e corretta, potrebbe essere molto superiore, per i rendimenti, alle nuove produzioni energetiche, potendo produrre energia pulita e protezione ambientale contemporaneamente. Bisogna soltanto ampliare concettualmente e fisicamente gli impianti di produzione energetica termici, in gran parte esistenti. Probabilmente, sono il primo a definire il CO2 una risorsa. Penso che, almeno nel caso delle centrali termiche, e dei grandi impianti termici, che rappresentano il grosso delle emissioni di CO2 mondiali, potremmo creare le condizioni impiantistiche per trasformare questo gas in risorsa, e recuperare il calore, insieme con altre importanti innovazioni, che porterebbero almeno al raddoppio dell’attuale rendimento energetico. La posizione in cui sono realizzati gli impianti di protezione ambientale è importantissima per sfruttare i potenti mezzi messi a disposizione dalla natura sia per produrre energia, sia per neutralizzare l’inquinamento. Quest’ aspetto è stato sfruttato parzialmente, con le centrali idroelettriche e utilizzando le acque dei fiumi e i bacini naturali per il raffreddamento di turbine, condensatori e reattori delle centrali termoelettriche. Ma, in genere, le risorse naturali non sono utilizzate razionalmente per produrre alimentazione ed energia. Oggi, che siamo arrivati quasi al massimo dello sviluppo tecnologico, per fare altri passi avanti è indispensabile sfruttare meglio queste risorse rivedendo il modo di progettare gli impianti. Sono in molti a scrivere pubblicazioni di successo sullo stato dell’ambiente (soprattutto climatologi), che ci fanno intravedere un realistico futuro catastrofico, ma intanto, altri fanno affari d’oro realizzando opere di protezione ambientali insostenibili, che risolvono un problema e ne creano molti altri. Gli attuali sistemi di protezione ambientali sono: depurazione delle acque industriali e urbane; recupero dei rifiuti per il riciclaggio, combustione, compostaggio, discariche. digestione anaerobica, cogenerazione, riforestazione, fitodepurazione. A parere del sottoscritto, molti vanno ridimensionati e ne mancano altri che non sono mai stati realizzati, come la depurazione domestica, fognaria, lacustre, fluviale, portuale, costiera, di cui ho già parlato in altri articoli. Questi impianti sarebbero in grado di migliorare l’ambiente più di tanti altri esistenti. Per chi si è occupato soltanto di centrali termiche e depuratori, separatamente, queste opere possono sembrare frutto della fantasia e non nego che nonostante gli anni, la fantasia ancora mi sostiene. Ma sono anche frutto di esperienze vissute, partecipando, pur da anonimo tecnico, alla realizzazione di grandi impianti di stabilimenti industriali, grandi impianti di ventilazione, grandi impianti idrovori, sollevamenti idrici, depuratori, potabilizzatori. Senza queste esperienze e approfondite riflessioni la fantasia non sarebbe bastata. Questi impianti, contrariamente a quelli esistenti, che lo emettono, sottrarrebbero CO2 all’ambiente. Soprattutto, i D.C.P.T.C.G. potrebbero essere gli unici in grado di chiudere il ciclo del carbonio con processi di combustione, recuperando sprechi energetici quasi secolari e trasformare il CO2 in una risorsa per combattere l’acidificazione oceanica. Queste grandi opere innovative scaturirebbero dalla simbiosi delle centrali termoelettriche con i depuratori, ma non quelli progettati dalle caste e dalle multinazionali. L’acqua impiegata per il raffreddamento delle centrali termiche, da quasi un secolo, combacia con le moderne esigenze di produzione energetica per mezzo di biomasse e rifiuti organici, che hanno bisogno dell’energia termica sprecata dalle centrali per riscaldare i digestori anaerobici. Tuttavia, invece di ampliare le centrali termoelettriche, dotandole di digestori, i tecnici stanno realizzando nuove centrali che sprecano il calore per riscaldare i digestori. E alla pulizia dell’energia nessuno ha pensato. Per loro, il biogas è già un combustibile pulito. Pulito o non pulito è sempre CO2, oltre tutto, ci serve per inviare carbonati al mare. E’ tanto difficile il concetto? Le grandi emissioni di CO2 delle centrali termoelettriche, anche con il sistema di cogenerazione, combaciano con i sistemi sostenibili noti (alcalinizzazione, carbonatazione, fotosintesi, nitrificazione) che assorbono questo gas tramite grandi masse di acqua. Ma non basta soltanto l’acqua, occorre creare gli ambienti adatti per favorire l’assorbimento del CO2, la produzione di biomasse e biogas. Occorre imprigionare il CO2 in serrecostruite sulla superficie dell’acqua, per aumentare la pressione specifica del gas nell’acqua(legge di Henry e Dalton) e produrre, tramite la fotosintesi, biomasse da digerire nei digestori; Ma il grosso del CO2 verrebbe consumato attraverso l’alcalinizzazione delle acque, che sarebbe gradita agli oceani. Queste particolari coincidenze sono sempre state presenti, ma mai sfruttate. Erano sfuggite, in parte, anche al sottoscritto, prospettando i depuratori coperti, pur avendo toccato l’argomento in varie occasioni. Sono venute fuori prepotentemente entrando più nel dettaglio della neutralizzazione del CO2 delle centrali termiche. In questo caso, ho dovuto fare i conti con l’enorme quantità di calore contenuta nei fumi e soprattutto nelle acque. Quelli che potevano essere altri problemi da risolvere sono diventati le risorse principali per arrivare a quella che potrebbe essere la migliore delle soluzioni energetiche concepibili. Infatti, abbiamo assodato che possiamo sfruttare l’immensa risorsa termica delle acque e dei fumi per riscaldare i digestori d’immense biomasse energetiche. Queste acque uscirebbero dai digestori a una temperatura ancora buona, anzi ottima per riscaldare delle serre, fuori terra, produttive di biomasse energetiche e no. A questa produzione potrebbero contribuire anche il calore dei fumi e il CO2. Degli sprechi attuali che hanno fossilizzato il rendimento delle centrali, di sotto il 40% verrebbe recuperato il 95%, ma il rendimento produttivo complessivo sarebbe molto superiore al 100% perché queste opere fungerebbero anche da depuratori, compostatori, inceneritori, produttori di biomasse. Un’altra opportunità da cogliere in questi impianti è l’impiego dello stesso CO2 come elemento corrosivo di rocce calcaree, in sostituzione dell’ossido di calcio, la cui produzione comporta emissioni di CO2. Ritorneremo su quest’argomento.
Per comprendere e far comprendere la forza economica e ambientale della depurcogenerazione coperta globale (D.C.P.T.C.G.), ho provato a fare un dimensionamento di massima di un grande impianto, partendo da una centrale termoelettrica a metano da 320 MWh, aggiungendole i F.S.V. completi di (S.C.M.C.V. + S.B.F.S.C.V.), e i D.D.C.L. per lo sfruttamento dell’intero calore delle acque di raffreddamento e per la neutralizzazione del CO2 contenuto nei fumi. Può sembrare un paradosso, ma la potenzialità digestiva, che abbiamo trascurato fino ad ora, non lascia spazio a nessun’altra soluzione ambientale sullo stesso territorio, se vogliamo saturarla completamente. E sarebbe stupido da parte nostra continuare a non saturare risorse energetiche che abbiamo già pagato. Oltre a tutto, non ci siamo accorti che non saturando gli impianti, abbiamo danneggiato gravemente l’ambiente, portandolo alle soglie del riscaldamento globale.
Altre soluzioni non possono competere, sia sul piano ambientale sia economico. Converrà distribuire strategicamente sul territorio gli impianti di D.C.P.T.C.G, evitando gli inutili doppioni, che svolgono, con minori rendimenti (e in genere, con maggiori emissioni, non neutralizzabili), solo una parte delle funzioni dei D.C.P.T.C.G.. Parlo delle attuali centrali termiche, cogenerazioni, digestori anaerobici, depuratori, discariche, compostaggi, inceneritori e anche nuove fonti energetiche, che non possono essere competitive per i costi. Solo le centrali termoelettriche potranno salvarsi, a patto che siano della taglia giusta per il territorio circostante e possano essere affiancate da F.S.V. e D.D.C.L.. Se estendiamo i risultati economici ottenibili a livello nazionale, in pochi anni di esercizio si potrebbe risanare il debito pubblico e l’ambiente senza opprimere i cittadini con tasse inique per pagare impianti sbagliati. Le attuali soluzioni energetiche e ambientali, essendo incomplete, complicano la chiusura del ciclo del carbonio rendendo non intercettabili le emissioni di CO2. Continuando a pagare impianti che non chiudono il ciclo del carbonio arricchiamo soltanto chi li progetta, costruisce e gestisce, mentre tutti gli altri pagheranno inutilmente. Le bollette, a dir poco, potrebbero essere dimezzate, essendo emesse da un unico gestore (depurazione, elettricità, rifiuti). Recuperando le risorse non possono che diminuire i costi. Con gli impianti attuali, l’acidificazione del Pianeta aumenta sempre di più e occorreranno sempre più impianti. E’ una corsa che è impossibile vincere. Basti pensare che con la D.C.P.T.C.G, le centrali termiche attuali potrebbero almeno raddoppiare il rendimento e produrre energia pulita, comprese quelle a carbone, compatibilmente con gli spazi disponibili per l’inserimento dell’impiantistica integrativa. Naturalmente, dove non è possibile l’integrazione, saranno necessari maggiori costi per ridimensionare o spostare la centrale termica, ma converrà ugualmente passare al sistema D.C.P.T.C.G.. Questo sistema potrebbe e dovrebbe essere esteso a livello mondiale. Non m’illudo che ciò avvenga, almeno non subito. Probabilmente, continueranno i silenzi su questi argomenti, senza che nessun personaggio autorevole del mondo scientifico, si preoccuperà di smentirmi, né di appoggiarmi. Probabilmente, i responsabili mondiali dell’ambiente, continueranno a costruire le solite centrali, le solite discariche, i soliti depuratori, i soliti inceneritori, fino a quando non sarà l’opinione pubblica a comprendere e a mobilitarsi per avere sistemi di depurazione e produzione energetica globali, che tra l’altro, creeranno moltissime opportunità di lavoro stabili. Chi vuole andare direttamente ai numeri può saltare tutto e leggere la parte finale del documento. Per i silenzi ricevuti, fino ad ora, dagli addetti ai lavori, devo alternare nella descrizione aspetti tecnici, sociali e morali, affinché, almeno i concetti li comprendano, soprattutto, le persone comuni. Non pretendo di esaurire con questa pubblicazione, i tantissimi argomenti legati alla depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale, spero soltanto che gli organi competenti la prendano in considerazione per ulteriori approfondimenti. Soprattutto, dobbiamo considerare la sostenibilità di questo sistema, che sfrutterebbe in larga parte impianti esistenti, i quali, attualmente, lavorano con rendimenti bassissimi producendo energia non pulita (emissioni di CO2) e disperdendo calore nell’aria e nell’acqua ( 60-65 % del P.C.I.). Se considereremo l’impiantistica aggiunta (S.C.M.C.V. + S.B.F.S.C.V.+ S.M.P.C.V. + D.D.C.L., gasometro, ecc.) come parti integranti della centrale termoelettrica di partenza. Come detto, il rendimento termoelettrico complessivo supererebbe ampiamente il 100% (dovuto alla somma del rendimento originale più quello prodotto grazie al recupero del calore che consente la produzione di biogas, consumato nella stessa centrale o in un’adiacente). Ma a questo dovremmo aggiungere i risultati depurativi dell’aria (riduzione del CO2) e dell’acqua (consumo dei nutrienti, carbonatazione, alcalinizzazione), che nessun sistema di produzione energetica, solare, eolico, idroelettrico può consentire. Potremmo dire che le centrali termoelettriche e i grandi impianti termici che, ora, sono la fonte più importante di inquinamento del Pianeta, accoppiate a un D.C.P.T.C.G potrebbero diventare la più importante fonte di protezione. La cosa non finisce qui. Come ho anticipato, tramite i fabbricati sinergici verticali ( F.S.V.) otterremo una radicale modernizzazione dei sistemi di produzione agricola. La produzione energetica da biomasse, che si sta affermando nel mondo intero come energia rinnovabile, da sola, può fare soltanto una piccola parte del processo che avverrebbe nella D.C.P.T.C.G.. In questa, anche la qualità del biogas ottenuto sarebbe più vicina al gas naturale che al comune biogas, avendo la possibilità di impoverirlo della percentuale di CO2 presente, trasferendolo al bacino acquatico coperto (braa), come in seguito spiegato. Se è vero che con il riscaldamento globale anche gli alberi emetteranno più CO2 di quanto ne assorbiranno, i nostri figli devono avere delle possibilità di difesa ancora più efficienti. Bisogna fertilizzare i terreni riportando alla terra i fanghi che usciranno dall’impianto (D.D.C.L.) come un “compost di qualità”, alcalinizzare le acque fluviali nei grandi bacini coperti per contrastare l’acidificazione delle coste e l’infiltrazione delle acque salmastre nelle falde di acqua potabile. L’aumento della durezza carbonatica alle foci dei fiumi serve anche a questo. Le macroscopiche riduzioni dell’inquinamento globale e il recupero delle risorse economiche (calore) e ambientali (CO2), oggi non avvengono perché nessun gruppo di progettazione autorevole, pubblico o privato, ha ragionato in termini di progettazione ambientale globale. Ognuno ha pensato soltanto a risolvere problemi tecnici interni alle centrali e ai depuratori, tenendo ben separati i settori aria, acqua, ed energia. Ma, se analizziamo, obiettivamente, i risultati ottenuti ci accorgiamo che chi progetta impianti di depurazione delle acque produce emissioni che danneggiano l’atmosfera; la stessa cosa fa chi progetta le centrali termoelettriche e nucleari (anche senza incidenti nucleari, basta considerare il vapore e il calore prodotti e non recuperati). Non parliamo delle acciaierie e degli impianti industriali, in genere. Gli oceani e l’atmosfera sono diventati i raccoglitori dell’inquinamento e del riscaldamento globale. Ma, mentre gli oceani fossilizzano i rifiuti, che pur non essendo la soluzione ottimale, tampona, l’atmosfera non ha possibilità di difesa, se non attraverso il lento assorbimento del gas attraverso la stratosfera gli oceani e la superficie terrestre. Prima o poi gli assorbitori dovevano raggiungere un punto di saturazione e lo stanno raggiungendo. La terra non ha mai assorbito più delle proprie capacità, anzi ha diminuito attraverso le deforestazioni e molte zone si stanno desertificando; gli oceani stanno assorbendo molto di più delle proprie capacità, ma si stanno acidificando, La circolazione termoalina sta rallentando; lo strato di ozono si sta assottigliando, i ghiacciai, sciogliendo. Nessuno ha pensato di abbinare agli impianti termici grandi impianti di depurazione coperta completi di digestione anaerobica, come propongo. Né tantomeno hanno pensato a realizzare grandi stagni biologici coperti verticali (S.B.F.S.C.V.) per aumentare la superficie produttiva e stratificare il processo depurativo in varie fasi, man mano che l’acqua sale verso quella che potrebbe essere una torre piezometrica che alimenta un impianto d’irrigazione o di distribuzione potabile, partendo alla base da acqua inquinata. Gli S.B.F.S.C.V. costituirebbero anche un’incredibile riserva idrica di acque dolci da utilizzare in caso di siccità.
11) L’influenza della D.C.P.T.C.G. nella strategia delle risorse energetiche del futuro.
Anche una realizzazione parziale del sistema di D.C.P.T.C.G. sarebbe un grande successo nella gestione delle risorse energetiche e ambientali che non avrebbe alcun paragone con i sistemi attuali, ma l’applicazione integrale rappresenterebbe il controllo totale dell’uomo sulla natura. L’unico sistema che potrebbe consentire di affrontare l’incremento della popolazione mondiale e il conseguente aumento delle attività industriali e agricole senza proseguire nella strada dell’invecchiamento accelerato del pianeta iniziato con l’avvento dell’epoca industriale. D’altra parte, sarebbe da incoscienti continuare sulla strada attuale. Il sistema industriale e i progressi tecnologici prima o poi avrebbero dovuto produrre degli anticorpi ai mali da loro stessi generati. Le acque che transiteranno negli impianti distribuiranno gli anticorpi all’intero pianeta. L’alcalinità la durezza carbonatica delle acque prodotta in questi impianti si diluirà a valle degli stessi miscelandosi con le acque del corpo idrico che non saranno passate attraverso gli impianti. Oggi, allo stato dell’arte, sia le centrali termiche sia i depuratori delle acque, ovviamente in maniera e quantità diverse, emettono CO2. Ma quello che è grave, non fanno nulla per alcalinizzare le acque che ne escono, pur sapendo che gli oceani si stanno acidificando. Se pensiamo che solo coprendo gli impianti, evitando che il vento disperda nell’atmosfera il CO2, senza farealtro, in base alla legge di Dalton, la concentrazione di CO2 nell’acqua può aumentare di centinaia di volte prendendo il posto dell’azoto e ossigeno, che essendo più leggeri gli lascerebbero il posto, pur nei limiti consentiti dalla solubilità disponibile. Sta a noi catturare e trasportare il CO2 sotto la copertura (v. la depurazione globale nelle città) e una volta aumentata questa concentrazione non mancano i sistemi per evitare che questo gas ritorni nell’atmosfera (alcalinizzazione, fotosintesi, nitrificazione). Per aumentare i tempi di contatto in mancanza di spazio verticalizziamo gli impianti (F.S.V. con strati sovrapposti calcarei, acquatici, vegetativi). Viene da domandarsi a cosa servono tutti i convegni internazionali, dal protocollo di Kioto in poi, se sfuggono soluzioni ambientali così semplici e sostenibili, mentre si sperimentano soluzioni complesse e insostenibili? Molti progettisti si sono ostinati a sfruttare il calore sprecato nel teleriscaldamento urbano che non può funzionare per la lunghezza delle reti e la capillarità della distribuzione. Mentre digestori e serre agricole li possiamo affiancare alle centrali e la rete di distribuzione può essere molto più semplice ed economica; il digestato liquido dei digestori, che in un ciclo chiuso alle altre acque, potrebbe essere il concime gratuito per le produzioni energetiche acquatiche degli stagni biologici (S.B.F.S.C.V.); il digestato solido che potrebbe essere il concime gratuito delle produzioni agricole terrestri, comprese quelle energetiche delle serre meccanizzate verticali (S.M.P.C.V.). Abbiamo fatto il pieno delle incongruenze impiantistiche più evidenti da parte di chi deve fornire energia e di chi deve proteggere l’ambiente e di chi deve sostenere l’agricoltura. Se i tecnici dell’energia e quelli della protezione ambientale si mettessero d’accordo realizzando insieme gli impianti, i primi non sprecherebbero calore e CO2, regalandolo ai secondi, e i secondi restituirebbero ai primi una fonte energetica pulita, almeno negli impianti di depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale. Con la sinergia suddetta il rendimento energetico può diventare superiore al 100% e quello depurativo del 1000%, considerando che oggi la prevenzione ambientale è del tutto inesistente. La D.C.P.T.C.G. andrebbe a incrementare artificialmente la capacità tampone delle acque oceaniche. I costi? Considerando che le centrali termoelettriche esistono già, oltre il 50% di queste opere impiantistiche è già stato pagato, il resto si pagherebbe da solo in pochi anni, grazie al recupero delle risorse sprecate. Almeno dove ci sono gli spazi necessari per trasformare le centrali in D.C.P.T.C.G.. Ma non dobbiamo dimenticare le opportunità di lavoro offerte da questa colossale trasformazione dell’ambiente che riguarderebbero tutti i settori, dall’edile al tecnologico, agricolo, turistico, trasporti e servizi. Quanto costa alla società un posto di lavoro?
Dal punto di vista strategico – ambientale, le centrali termoelettriche, in genere, si trovano al posto giusto per essere riconvertite alla depur-cogenerazione coperta globale: vicino a corsi di acqua o bacini idrici. Bisognerà verificare, caso per caso, come inserire le opere integrative, eventualmente ridimensionando la potenza energetica prodotta in quel sito. Vale la pena di ricordare qualche numero per inquadrare la dimensione dei problemi:
Il volume totale d’acqua sulla terra è di 1.4 miliardi di km3. Le acque superficiali, comprese quelle oceaniche, sono quasi 500.000 Km3, evaporano, andando a formare le nubi. Queste, per effetto delle variazioni di temperatura, si trasformano in acque meteoriche. La maggior parte delle precipitazioni cade nel mare. Solo 111.000 Km3 arrivano sulla terra. Di queste, 71.000 sono restituite all’atmosfera attraverso l’evaporazione e la traspirazione, mentre 40.000 Km3 defluiscono attraverso i fiumi e il flusso sotterraneo, ritornando agli oceani. Da quest’ultimo gruppo preleviamo le acque per il nostro consumo e uso, comprese quelle di raffreddamento delle centrali termoelettriche, restituendole sempre in condizioni peggiori di quando le abbiamo prelevate, in termini d’inquinamento biochimico o termico. In qualche caso le acque di raffreddamento le preleviamo e restituiamo direttamente al mare. Ma il concetto è lo stesso. Le opere termoidrauliche, di cui parlo, possono sembrare enormi (perché i progettisti non sono abituati a ragionare in termini di protezione ambientale globale. Chi realizza grandi opere idrauliche non si occupa di depurazione), ma riguarderanno un’infinitesima parte di quei 40.000 Km3 di acqua che non sono nulla nei confronti della massa totale di 1.4 miliardi di km3, presenti sulla Terra. Sebbene, infinitesimo, per la dimensione oceanica, il trattamento che faremmo sarebbe strategico, non solo per i mari, ma anche per l’atmosfera. Se grandi opere, come gli impianti di depurcogenerazione coperta, saranno opere infinitesime per la dimensione del Pianeta, che cosa dobbiamo dire dei depuratori attuali che trattano meno di un centesimo delle acque che passerebbero nei depurcogeneratori coperti, e non svolgono nessuna funzione strategica ambientale ai fini dell’acidificazione oceanica, anzi, aumentano le emissioni di gas serra?
Questa domanda l’ho posta in diversi articoli prima che arrivassi alla D.C.P.T.C.G., ma nessuno ha mai risposto. Tutti gli impianti industriali attuali, compresi quelli adibiti alla protezione ambientale, emettono gas serra (sarà così fino a quando le emissioni non saranno convogliate nei F.S.V.). Alla luce di queste semplici riflessioni, non sembra possibile che nei settori depurativi ed energetici si siano risolti problemi tecnologici importantissimi e siano sfuggiti problemi macroscopici, come quelli che sto cercando di segnalare e sviluppare, con molte difficoltà, essendo stato snobbato, fin dalle prime pubblicazioni. I riscontri scientifici che sto individuando, anche se non riesco a esprimerli con la massima efficacia, sembrano sufficienti a confermare che i sistemi depurativi ed energetici devono essere urgentemente cambiati. Meglio ancora, devono essere accorpati. Nessuno ha mai investito un euro nei sistemi di prevenzione ambientale a monte dei depuratori, dove ho trovato un settore completamente inesplorato. I “depuratori coperti” sono nati dalle proposte basilari nel settore fognario. Tutte queste proposte che, ovviamente, possono essere migliorate, attendono ancora commenti e critiche, da parte di tecnici pubblici e privati, che non arrivano. Se non vogliono agire, difendano, almeno, le scelte effettuate, che ritengo sbagliate. Mi piace continuare a pensare ai tecnici come persone semplici e creative, apparentemente distratte, ma intende a seguire pensieri che possono far volare gli aerei, camminare i treni, comunicare a distanza, produrre automobili. Sempre impegnati in proposte di crescita per migliorare il benessere dell’uomo. Perché la protezione ambientale non riesce a crescere? Se sono salito in campo, non è perché mi ritengo un tecnico più bravo degli altri. L’ho fatto perché vedo cose insensate, come se i tecnici lavorassero a gettone, al pari dei computer, non vedono oltre l’obiettivo impostato. Rispondono soltanto al committente. Posso anche sbagliare su qualche dettaglio, ma nella sostanza sono certo di aver ragione. Se non si vogliono affrontare i problemi in modo sostenibile, sarebbe ora di smetterla di parlare inutilmente di CO2 e riscaldamento globale e di esibire tabelle diagrammi, che saranno pure attendibili ma non riducono di un grammo le emissioni e non solo quelle. Voglio riassumere brevemente le principali proposte snobbate, che possono essere approfondite leggendo le precedenti pubblicazioni. Queste, lette in ordine cronologico, segnano anche il percorso che mi hanno portato alla “D.C.P.T.C.G.”. Non è indispensabile fare tutto quello che propongo, anche se sarebbe auspicabile per l’ambiente, ma, almeno. partire dalla depurazione fognaria. Ho proposto un sistema di scarico fisico chimico per le abitazioni che senza ingombri visibili, a parte una mini dosatrice di calcio, consentirebbe il risparmio del 25% di acqua potabile (mentre le reti ne perdono il 50%), prevenendo contemporaneamente la formazione di idrogeno solforato nelle fogne e consentendo una prima precipitazione del fosforo inorganico dei detergenti. Ho proposto la depurazione fognaria con moduli depurativi verticali aerobici e sedimentatori fognari aiutati da autobotti estrattrici e disidratatici- stabilizzatrici dei fanghi. Di fatto, il processo depurativo avverrebbe invisibilmente, nello stesso ambiente urbano, prevenendo la formazione d’idrogeno solforato e la degenerazione dei liquami, senza la necessità di una seconda rete dedicata alle acque piovane. Nelle fogne circolerebbe acqua pulita e piovana. La seconda rete fognaria dovrebbe essere dedicata al CO2 e allo smog cittadino che sono più pesanti dell’aria e vi potrebbero essere facilmente convogliati. La miscela di aria e CO2 catturata e compressa sarebbe utilizzata come fluido di ossidazione in acque alcalinizzate. Nel sottosuolo delle città l’acqua e l’aria si depurerebbero a vicenda, anche grazie a bacini sommersi illuminati artificialmente per favorire la fotosintesi (V. art. La depurazione globale nelle città.) Questo sistema, essendo aerobico non produrrebbe cattivi odori, può essere utilizzato anche per le abitazioni isolate ed è in grado di depurare le acque secondo le normative più severe per scaricarle al suolo o in acque sensibili (anche i Paesi poveri privi di fogne potrebbero beneficiarne), ma potrebbe, contemporaneamente, addirittura, neutralizzare anche i fumi delle caldaie e camini a legna. Ogni abitazione potrebbe essere autonoma dal punto di vista ambientale. Ho proposto dei depuratori coperti che potrebbero essere immersi direttamente nei corpi idrici, depurando, secondo le circostanze, le acque in ingresso nel bacino o quelle presenti, consumare il CO2 nel processo, senza emetterlo nell’atmosfera (V.art. Nuove soluzioni di depurazione globale.) Il sistema è applicabile anche alle zone costiere. Con questo sistema si potrebbero depurare anche le acque di una città lagunare come Venezia, dove l’azoto ammoniacale e l’eutrofizzazione hanno ucciso ogni forma di vita (riciclando parte delle acque in moduli di ossi-nitrificazione e fotosintesi). In concreto, a un inquinamento ambientale diffuso e quasi impercettibile, dovrebbe corrispondere una protezione ambientale altrettanto diffusa e impercettibile. Sprecano soltanto soldi pubblici i grandi depuratori che non si preoccupano dell’inquinamento dell’aria e depurano le acque che lo stesso sistema fognario ha degenerato. Ma, di fronte alle grandi concentrazioni di emissioni di calore e CO2 di una centrale termica, occorrono opere impiantistiche proporzionali per imprigionare queste grandi risorse. Sono, appunto, grandi risorse, non grandi problemi, come ci hanno insegnato a pensare. Con queste soluzioni le nostre Autorità ambientali sarebbero dovute andare a Durban nella prima decade di dicembre 2011. Comunque, non mi avrebbero ascoltato, come non mi ascoltarono quando li invitai a parlare di depurazione globale al vertice di Cancun 2010 ( V. art.: A Cancun non si parlerà di depurazione globale). Meglio parlarne adesso, dopo altri due vertici, dall’esito fallimentare annunciato e riscontrato. La realtà è che i vertici sono inutili se manca il coraggio per cambiare radicalmente il modo di gestire l’ambiente. Manca, soprattutto, una supervisione esperta, depurata dagli interessi di parte. Oggi, la maggior parte dell’inquinamento è sversato con le acque piovane, senza che passi attraverso i depuratori, che ne possono trattare pochissima. Diverse generazioni di progettisti si sono scontrate e ancora si scontrano sulla singola o doppia rete fognaria, che risolve qualche problema e ne crea moltissimi altri (v. La depurazione nelle case e nelle fogne.) Non si è pensato di coinvolgere nel trattamento dei liquami anche il trattamento dell’aria inquinata e dei rifiuti urbani. Le centrali termiche non possono risolvere da sole, in modo sostenibile, il problema delle emissioni di CO2, né possono recuperare l’immensa quantità di calore disperso nelle acque, se qualcuno non porta nelle vicinanze un impianto adeguato che possa sfruttare quel calore e catturare quelle emissioni. Se Maometto non va alla montagna, la montagna potrebbe andare frantumata, insieme ai calcestruzzi demoliti, dai F.S.V. per consumare il CO2 alcalinizzando le acque, senza produrre altro CO2 (riscaldando a 1000 gradi le rocce): aumentando le superfici di contatto, coprendo gli impianti, sfruttando le leggi sulla solubilità dei gas e concedendogli i volumi e i tempi necessari, si possono ottenere ugualmente grandi risultati. Non c’è bisogno nemmeno delle sperimentazioni. Bisogna soltanto realizzare i primi impianti, metterli a punto e imparare a gestirli. Nessuno ha provato a coordinare questi settori separati. Nemmeno l’I.P.C.C., l’Intergovernmental Panel on Climate Change. Supervisori attenti e attendibili, si sarebbe accorti che i depuratori contribuiscono ad aumentare le emissioni di CO2, mentre potrebbero essere il mezzo per ridurle, addirittura trasformarle in risorsa; che le centrali termoelettriche disperdono il 65% dell’energia termica nelle acque e nei fumi, che potrebbe essere recuperata, mentre le moderne cogenerazioni sprecano il 50% di energia per riscaldare i fanghi nei digestori. L’I.P.C.C. e gli enti energetici nazionali si sarebbero accorti, come si è accorto il sottoscritto, che mettendo insieme gli impianti dei vari settori, gli scarti dell’uno, potrebbero essere valorizzati negli altri e viceversa. Se avessi visto in quaranta anni di attività impiantistica un solo impianto ambientale che funziona come dovrebbe funzionare, non avrei perso il mio prezioso tempo di pensionato e nemmeno sprecato le scarse risorse finanziarie per depositare domande di brevetto di pubblica utilità, che gli addetti ai lavori non vogliono. Queste stanno decadendo, una dopo l’altra, non potendomi dissanguare per tenerle in vita. Ma, mi rodeva dentro l’incapacità di dimostrare scientificamente le incongruenze dei sistemi idrici (che fanno acqua da tutte le parti); depurativi (che sversano inquinamento ed emettono CO2); e termici, che riscaldano dannosamente le acque e l’aria, oltre a emettere CO2. Ancora oggi, tutti sono impegnati nello studio di dettagli dei singoli settori, mentre la strategia generale è sbagliata. Ricordo le parole dell’ultimo Ministro dell’Istruzione e della Ricerca, ing. Francesco Profumo, quando insediandosi, come presidente del CNR, promise più brevetti e meno pubblicazioni. Penso, però, che questo ente dovrebbe far propri anche i brevetti di un pensionato squattrinato. Brevetti come la depurazione fognaria, coperta, globale, i digestori lineari, le ciminiere C.D.R., i magazzini calcarei verticali, gli stagni biologici sovrapposti, la depurcogenerazione coperta, le serre verticali ortofrutticole e cerealicole verticali, chiunque le partorisca, non possono essere cestinate. Non se lo può permettere un Paese che non cresce da oltre venti anni.
12) La natura insegna, ma l’uomo potrebbe fare meglio.
Come dovrebbero funzionare gli impianti ambientali lo mostra la natura con il sistema termo climatico, che tuttavia, ha un grave difetto, quello di non poter evacuare i fanghi prodotti ed è costretto a fossilizzarli. L’incremento della popolazione mondiale e l’avvento dell’era industriale ha messo in crisi questo sistema. La depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale (D.C.P.T.C.G.) evita la fossilizzazione dei fanghi, che la natura non può evitare. Estraendo i fanghi possiamo chiudere immediatamente il ciclo del carbonio e produrre biogas che deve essere consumato subito, come nel corpo umano l’attività fisica deve consumare le calorie in eccesso. Qualsiasi emissione che contiene CO2 dovrebbe essere neutralizzata all’origine, nelle acque perché nell’atmosfera il CO2 non reagisce, mentre nelle acque, potrebbe diventare anche una risorsa, producendo biomasse e carbonati. Non importa il prodotto finale. Che sia cemento, calce, depurazione, trattamento rifiuti, produzione di energia, biogas. Non intervenendo, come abbiamo fatto fino ad ora, abbiamo lasciato campo libero all’eutrofizzazione, allo smog urbano, allo scioglimento dei ghiacciai, ai disastri climatici, economici e sanitari. Queste cose sono in molti a dirle e non avrei partecipato al coro delle denunce se non avessi avuto delle soluzioni da proporre. Stranamente anche gli altri denuncianti, come le associazioni ambientali, tacciono sulle depurazioni globali. Probabilmente, come tutti, vogliono soltanto maggiori investimenti nell’ambiente, senza entrare nel merito delle soluzioni tecniche, per non cambiare niente. Non hanno compreso che le banche mondiali non possono stampare abbastanza soldi da finanziare una protezione ambientale che diventa sempre meno possibile lo diventerà anche per i sistemi globali, se non si realizzano subito le infrastrutture. L’acidificazione oceanica sarà irreversibile se non la interrompiamo subito attraverso l’energia protettiva dell’ambiente.
E’ corretto e non può essere diversamente, che la progettazione della protezione ambientale sia in mano pubblica, ma lo stato dell’arte è nelle mani dei privati, basato sulla commercializzazione di macchine, impianti e additivi, non sempre indispensabili. La maggioranza delle aziende che lavorano in questo settore (come la piccola azienda nella quale lavoravo) si devono attenere a capitolati, disciplinari e progetti già definiti. E’ impossibile proporre qualcosa d’innovativo, soprattutto basato sulla prevenzione che dovrebbe anticipare i depuratori. I depuratori sono progettati facendo affidamento sui carichi organici e la degenerazione fognaria che li precedono. La progettazione sostenibile, basata sulla prevenzione, non è riportata nemmeno nei testi universitari. Tutto quello che sarebbe strategico sul territorio per migliorare la protezione ambientale è accuratamente evitato, si migliorano soltanto i dettagli interni ai depuratori e alle centrali termiche. Cosa ci vorrebbe a innovare almeno le vecchie fosse Imhoff, approfondendole e inserendovi almeno uno stadio di ossidazione (ed eventualmente di fotosintesi con lampade led) sopra la sedimentazione, come ho proposto? Sarebbe un depuratore economicissimo, perfetto e di minimo ingombro. Basta leggere i capitolati e le specifiche tecniche delle gare di appalto degli impianti pubblici per vedere, chiaramente, quanto siano condizionati dai grandi costruttori di macchine per l’ambiente e dai gestori degli impianti. Questi, sono i più restii a recepire i concetti di una depurazione basata sulla prevenzione delle acidificazioni e delle emissioni di CO2, in quanto, da una parte, ci sarebbero meno macchine da commercializzare e dall’altro si dovrebbe uscire da una comoda gestione chiusa nell’ambito degli impianti, per gestire il territorio intero. La protezione ambientale non può essere chiusa in recinti chiamati impianti di depurazione, mentre solo una piccolissima parte del liquame vi transita, per giunta, vi arriva nelle condizioni peggiori per essere trattato con costi accettabili. Basta un po’ di pioggia per mettere in crisi il sistema basato su improbabili bilanciamenti di massa, ma calcolati con precisione certosina. Ma non basta aumentare la quantità. Saranno sempre insufficienti, perché i depuratori delle acque devono assumersi il compito di sottrarre il CO2 dall’ambiente non di aumentarlo, come fanno attualmente.Cosa ci vuole per far comprendere agli addetti ai lavori (ministri e scienziati compresi) che non si depura soltanto per risolvere il problema locale scaricando ai posteri i problemi globali (che nel frattempo degenerano con leggi esponenziali), come fanno gli attuali impianti di depurazione, discariche, compostaggi, inceneritori, impianti di produzione energetica?
Chi più, chi meno, ma tutti, questi impianti, di pubblica utilità, disperdono nell’ambiente, immense quantità di acidità, gas serra, calore. L’aumento delle emissioni di CO2 non è colpa della mancata politica nucleare, come molti tecnici e politici vorrebbero far credere, ma della mancata protezione ambientale. La prevenzione sarebbe stata ed è meglio della cura. Personalmente, non avrei mai mescolato negli stessi impianti liquami urbani e industriali. Le industrie dovrebbero depurare completamente le acque che usano in impianti specifici; mentre le acque urbane dovrebbero auto depurarsi nello stesso percorso fognario, insieme ai gas serra prodotti dai mezzi di trasporto e riscaldamento (V. La depurazione globale nelle città, cap.32 ) Un ulteriore trattamento le acque di scarico, urbane, industriali, agricole, piovane lo dovrebbero avere tutte insieme all’ingresso dei corpi idrici in grandi depuratori coperti, con bassi consumi energetici (V. la protezione dei corpi idrici, cap. 34), oppure in impianti, ancora più completi, che coinvolgerebbero anche rifiuti solidi digeribili e biomasse energetiche: “Depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale” (D.C.P.T.C.G.) Non si possono realizzare impianti di depurazione globale senza semplificare i processi e senza coprirli per limitare le emissioni atmosferiche. Gli impianti attuali non si possono globalizzare, e non si possono coprire. Stranamente, nel Mondo, nessuno mette in discussione gli attuali sistemi depurativi; si discute e si contesta la gestione dei rifiuti; c’è fermento nella produzione energetica per trovare nuove fonti. Invece, dovremmo sostituire per primi i depuratori. Nessuno vuole ammettere che gli impianti di depurazione sono nati quando non si parlava di riscaldamento globale e oggi costruttori e gestori non hanno interessi a cambiarli. Ma le autorità ambientali, i professori e i tecnici pubblici cosa stanno guardando? Il sistema attuale fallisce in quelli che dovrebbero essere gli obiettivi principali, perché la malattia più grave del pianeta è il processo di acidificazione e riscaldamento globale, che scioglie i ghiacciai, addolcisce ed eutrofizza le acque. I bacini di ossidazione, sedimentazione, equalizzazione, ispessimento, digestione, emettono CO2 (e metano quando non sono dotati di cogenerazione). Questo significa che buona parte di quanto fanno o farebbero di buono, se funzionassero, depurando le acque, a livello locale, viene vanificato a livello globale dal contributo di acidificazione provocato all’ambiente. Ma altri danni, il sistema, li provoca producendo idrogeno solforato e acido solforico nelle fogne, degenerando i liquami, disgregando le condotte in cemento e creando depositi non estraibili che provocano intasamenti e allagamenti con le prime piogge. L’innesco delle alluvioni parte proprio dagli intasamenti fognari. Le acidificazioni di cui non si preoccupano i progettisti, con licenza di progettazione pubblica, dovrebbero avere priorità assoluta. Nessuno studio di progettazione, pubblico o privato, mi risulta, che si sia preoccupato di proteggere i corpi idrici, se non attraverso gli impianti di depurazione, che come ho detto, trattano la centesima parte delle acque che tratterebbe un depuratore globale. Non si preoccupano nemmeno di adeguare il pH all’alcalinità del corpo idrico ricevente (il semplice impatto tra acque con alcalinità diversa libera CO2 nell’atmosfera, a prescindere dall’inquinamento). Ovunque giriamo lo sguardo vediamo un camino o una ciminiera, senza protezione ambientale che spara inquinamento nell’atmosfera. Come possiamo pretendere di combattere l’acidificazione oceanica e il riscaldamento globale se chi dovrebbe depurare, tirando le somme, nella realtà, inquina? Comunque sia, quello che sfugge ai depuratori (acque agricole, piovane scarichi abusivi) va inevitabilmente a inquinare i corpi idrici. Dei trattamenti preventivi. Nessuno parla e nessuno scrive. Tuttavia i testi descrivono nel dettaglio processi chimici e biologici e varie esperienze di laboratorio.
La depurazione globale nelle città, cap.32, potrebbe essere la soluzione per proteggere le metropoli dallo smog, senza affidarsi alla speranza di pioggia e al vento che trasporta le particelle insolubili nell’atmosfera a fare altri tipi di danni, come lo scioglimento di ghiacciai. Come ho spiegato nella pubblicazione citata, persino il fumo dei camini a legna potrebbe essere neutralizzato installando degli elettroventilatori azionati da sensori di temperatura che capterebbero i fumi convogliandoli nei collettori fognari e da questi nelle fosse di depurazione depuratori coperti, fabbricati serra verticali, ecc., mentre l’azoto e l’ossigeno, più leggeri, risalirebbero verso l’atmosfera. Le depurazioni fluviali, lacustri, portuali, costiere, potrebbero proteggere i corpi idrici. A prescindere dall’ambiente, in tempi come questi, di crisi occupazionali globali, non si può comprendere la mancata crescita della protezione ambientale che manca degli impianti fondamentali.
Noi uomini, non abbiamo nessuna possibilità di contrastare l’acidificazione oceanica, per la dimensione del fenomeno, una volta superata la capacità tampone della soluzione acquosa alcalina, di cui sono composti, e la stiamo superando. Già oggi questa capacità si è ridotta di oltre il 35%, mentre la percentuale di CO2 è aumentata del 40% nell’epoca industriale. Dei due problemi. Mi preoccupa solo il primo. Il secondo è preoccupante soltanto per le soluzioni che vogliono adottare per la sua riduzione.
Tuttavia, la TERRA ha visto molto di peggio dal punto di vista climatico, quando ancora non esisteva nemmeno l’ossigeno e tramite processi naturali ha ridotto i gas tossici atmosferici rendendo possibile la vita vegetale e animale. Da quei processi, che sono stati acquisiti studiando i fossili e i ghiacciai, dovremmo apprendere il modo di evitare il riscaldamento globale per colpa dell’uomo. Vorrei fare il punto sui sistemi noti che ha inventato la natura per ridurre la quantità di CO2 presente nell’atmosfera, partendo dalle origini del Pianeta terra.
Trascuriamo l’atmosfera primordiale fatta principalmente da gas leggeri (idrogeno, metano, ammoniaca) e riferiamoci a quella successiva, che risale alle origini della vita, quando l’atmosfera era costituita essenzialmente da vapore acqueo, CO2, ossidi di azoto e non presentava tracce di ossigeno. Fu nell’acqua e dal CO2, che ebbe origine la vita, che ha portato anche all’atmosfera attuale, sostituendo in particolar modo il CO2 con l’ossigeno, lasciandone il giusto dosaggio per le ottimali condizioni di vita, almeno fino all’avvento dell’epoca industriale. Poi iniziarono le grandi emissioni dovute soprattutto alla combustione su larga scala di combustibili fossili. In particolare nell’ultimo secolo, si potrebbe dire che ogni anno abbia invecchiato il pianeta di almeno cento anni rispetto alla precedente velocità d’invecchiamento.
Non si è compreso che il CO2 in eccesso, prodotto per scopi industriale, non deve essere disperso nell’ambiente ma deve essere assorbito dall’ambiente, non dopo qualche centinaio di anni, ma immediatamente. I fumi vanno puliti anche dal CO2 prima di essere immessi nell’atmosfera. Nei D.C.P.T.C.G., si creano queste condizioni, in primo luogo per contenere le dispersioni, basandosi semplicemente sul maggior peso del CO2, rispetto all’ossigeno e all’azoto, e in secondo luogo favorendone l’assorbimento da parte delle acque, sfruttando quei processi chemio sintetici e foto sintetici naturali, che hanno portato alle attuali condizioni atmosferiche dalle condizioni invivibili primordiali. Oggi, con i progressi tecnologici, i fumi delle centrali termoelettriche moderne, possono essere contenuti in temperature inferiori agli 80 OC. Raffreddandoli ulteriormente, nelle ciminiere (C.R.D.) e nelle serre dei F.S.V., la temperatura dell’aria potrà stabilizzarsi sui 35-40 oC e l’acqua sottostante, di sotto ai 30 oC. In queste condizioni, prendendo spunto dagli eventi geo-climatici che hanno caratterizzato la storia del Pianeta, riproduciamo, in piccolo, un effetto serra artificiale circoscritto agli impianti, soprattutto per consumare il CO2, ma traendone anche altri benefici ambientali ed energetici. Furono l’eccesso dei gas serra nell’atmosfera a causare il riscaldamento del Pianeta; il sequestro del CO2 da parte degli oceani a causare la morte dei fondali oceanici e le ere glaciali. Negli S.C.M.C.V. e negli S.B.F.S.C.V. l’abbondanza del vapore acqueo e del CO2 provocherebbe l’effetto serra, mentre nell’acqua avverrebbe il sequestro del CO2 attraverso la fotosintesi, la precipitazione dei fanghi organici e l’aumento della durezza carbonatica. Ma, estraendo i fanghi in eccesso e assicurando un discreto ricambio delle acque non potrebbe avvenire la morte dei fondali. Il ciclo di assorbimento del CO2 potrebbe continuare all’infinito senza danni ambientali somministrando contemporaneamente l’alcalinità carbonatica alle acque auspicata dagli oceani. Nei D.C.P.T.C.G., i fanghi sarebbero trasferiti nei digestori anaerobici (D.D.C.L.) per produrre biogas, che una volta ossidato a CO2, con la combustione nelle centrali termoelettriche, sottratto all’ambiente prima di uscire dalle ciminiere, ritornerebbe nei bacini dei depuratori coperti, per reagire chimicamente con gli ioni calcio e l’acqua o biologicamente, attraverso la fotosintesi, producendo di nuovo carbonati e biomasse ed emettendo nell’atmosfera solo la piccola percentuale di CO2 che tali processi non riescono ad assorbire. In questo modo abbiamo descritto un ciclo quasi chiuso e quasi perfetto. Dagli sfiati atmosferici della serra la percentuale di CO2 che sfuggirà dipenderà dalla grandezza e dall’efficienza del bacino coperto. Se consideriamo che con la produzione e il consumo di biogas, totale o parziale, avremmo già evitato di emettere una quota di CO2 fossile, potremmo, addirittura, chiudere il bilancio in negativo, e compensare le emissioni di CO2 che non possono essere catturate con la stessa efficienza (es. quelle dei mezzi di trasporto). Inoltre, se pensiamo che nei fumi di una centrale termica a metano le concentrazioni di CO2 sia circa il 10%, ben 300 volte superiori alla normale concentrazione dell’atmosfera, è facile comprendere che nelle serre sopra i bacini di acqua, possiamo arrivare facilmente a concentrazioni superiori al 30-40%, vale a dire mille volte superiori alle normali concentrazioni atmosferiche, man mano che l’ossigeno e l’azoto, più leggeri, usciranno dagli sfiati atmosferici. In un certo senso, in questi impianti, riprodurremmo quello che era normale sul Pianeta molti milioni di anni fa, non solo per consumare il CO2, ma sfruttandone le caratteristiche per migliorare l’ambiente. Queste cose, probabilmente, sono sfuggite a scienziati e ricercatori che vorrebbero semplicemente catturarlo e interrarlo, con alti costi, alte pressioni, alti pericoli a 1000 metri di profondità, senza sfruttarne nemmeno le caratteristiche corrosive nei confronti delle rocce calcaree per produrre utilissimi carbonati. Creando le condizioni ambientali ottimali e aumentando al massimo le superfici di contatto, sarà il tempo a lavorare per noi. Sarebbe sbagliato considerare i bacini degli impianti come un’alterazione dell’habitat del corpo idrico, intanto, perché sarebbero in parallelo agli stessi, e solo una parte delle acque vi passerebbe, inoltre, reti di protezione in entrata e in uscita impedirebbero il passaggio della fauna ittica in entrata e in uscita; mentre la flora che si svilupperà nello strato superficiale delle acque sarà trattenuta nel bacino. Usciranno soltanto le acque che circoleranno nella zona inferiore a quella di produzione del fitoplancton (che saranno reinserite nel corpo idrico), mentre i fanghi saranno estratti e inviati alla digestione.
13) La fotosintesi nell’acqua
Il fitoplancton e le piante acquatiche, a differenza delle piante terrestri che utilizzano il CO2 libero presente nell’aria, sfruttano metodi più complessi e completi di assimilazione del carbonio, prelevandolo sia dall’aria (come le piante terrestri), sia sottraendolo all’acido carbonico H2CO3, sia sottraendolo ai carbonati come CaCO3, sia ai bicarbonatiCa(HCO3)2. L’equazione chimica che riassume il processo è: 6 CO2 + 6 H2O + 2872144,8 ( j / mole) ® C6H12O6) + 6 O2. Il valore 2872144,8 ( j / mole) = 686 ( Kcal / mole) è l’energia derivante dalla radiazione solare necessaria per effettuare la reazione.
La fotosintesi, non solo ha anticipato la presenza dell’ossigeno sulla terra, ma ne è stata la fonte, ricavandolo proprio dal CO2, attraverso il quale ha anticipato ogni forma di vita. Naturalmente, per riprodurre l’habitat che produce ossigeno dal CO2 dobbiamo portare nell’ambiente interessato almeno la luce naturale o artificiale (oggi con le lampade led possiamo riprodurre qualsiasi spettro e frequenza di luce, consumando 1/25 delle vecchie lampade a incandescenza) se vogliamo utilizzare questo prezioso contributo, che è indispensabile sia ai fini depurativi per consumare i nutrienti presenti nelle acque (CO2 compreso), sia per produrre biomasse che assicurino del fango organico fresco ai digestori anaerobici che ne aumenta il rendimento. Per confermare che la fotosintesi funzionerebbe anche in condizioni ambientali difficili, come quelle che accadrebbero nelle serre, basta ricordare che alcuni batteri primitivi (cianobatteri) crearono i primi organismi autotrofi (cioè capaci di sintetizzare in modo autonomo le sostanze nutritive organiche da semplici sostanze inorganiche, come il CO2 e l’acqua, mediante la fotosintesi), in assenza di ossigeno e con temperature molto più alte di quelle attuali. Con lo sviluppo degli autotrofi, gli eterotrofi hanno potuto proseguire la loro evoluzione, avendo a disposizione gli autotrofi come nutrimento. Non sappiamo come questo sia avvenuto, ma sappiamo con certezza che era già avvenuto circa 2,4 miliardi di anni fa. In quel periodo compaiono le primissime e semplici cellule procariote, cioè prive di un nucleo delimitato da una vera e propria membrana, e il cui materiale dnatico è semplicemente contenuta nel citoplasma della cellula. Questi organismi pionieri furono le alghe verdazzurre. Negli oceani la proliferazione degli organismi autotrofi portò a un forte incremento di ossigeno libero, che dall’idrosfera passava all’atmosfera: secondo alcune stime, verso la fine dell’Algonchiano (da 1,6 miliardi a 542 milioni di anni fa) la concentrazione di ossigeno nell’atmosfera doveva essere tra l’1 % ed il 10% di quella attuale. Ma, per riferirci anche a ere più recenti (60-40 milioni di anni fa), possiamo riferirci all’era Eocenica, dove si ritiene che un intenso riscaldamento sia stato causato dall’esplosione di clatrati di metano dai sedimenti marini. Il gas liberato nell’atmosfera produsse un effetto serra paragonabile all’emissione di miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Allego uno stralcio di un autorevole articolo disponibile in rete (http://halsoskydd.info/Scienza/2011/09/Qual-e-l-evento-Azolla.html): “L’’oceano Artico era chiuso, da tutte le parti, la Groenlandia, Europa, Asia e Nord America erano tutti collegati a nord e lo specchio d’acqua diventò stagnante, come l’attuale “Mar Nero”. Abbondanti quantità di pioggia crearono un sottile strato di acqua dolce in superficie. Questo strato di acqua dolce fu rapidamente colonizzata dalla felce d’acqua dolce “Azolla”. Questa specie nelle condizioni ottimali (di temperatura, umidità e nutrimento) può raddoppiare la sua biomassa nel giro di 2-3 giorni fino a raggiungere eccellenti capacità di fissazione dell’azoto (una tonnellata per ettaro per anno) e di carbonio (sei tonnellate per ettaro per anno). Le felci morte, accumulandosi sui fondali in condizioni di anossia (causate da una mancanza di colonna d’acqua di miscelazione) di fatto sequestrarono il CO2 dall’atmosfera e i detriti si fossilizzarono senza essere digeriti dai batteri. In 800.000 anni di crescita e morte delle felci, il livello di CO2 nell’atmosfera scese da 3.500 ppm (parti per milione) ad appena 650 ppm. Il biossido di carbonio sequestrato dal processo dell’azolla cominciò a raffreddare il pianeta. Prima della manifestazione dell’azolla, la temperatura media delle acque superficiali nel Mar Glaciale Artico era di 13 gradi oC, dopo, diventò – 9 °C”.
Pertanto, universalizzando nel mondo il sistema D.C.P.T.C.G. possiamo contribuire a raffreddare il pianeta attraverso l’ssorbimento del CO2 consentito dalle serre calcarree e foto sintetiche, ma anche, contenendo le dispersioni termiche verso l’atmosfera.
Oggi i ghiacciai stanno incominciando a sciogliersi di nuovo. L’evento azolla, o piante acquatiche similari e alghe già si sta manifestando in vaste zone del Pianeta, lacustri e costiere, in particolare in Cina, dove molti laghi e alcune zone costiere sembrano praterie. La prolificazione dell’azolla può essere spiegata da condizioni favorevoli della fissazione simbiotica, che consiste nella riduzione dell’azoto molecolare dell’atmosfera in azoto ammoniacale operata da alcuni microrganismi che vivono in simbiosi con gli organismi vegetali, dai quali ricevono energia e sostanze nutritive. Questi microrganismi riescono a rompere il triplo legame covalente dell’azoto elementare (N2) grazie alla presenza dell’enzima nitrogenasi. Sono azoto-fissatori simbionti i batteri del genere Rhizobium e Actinomyces. Alcune specie di cianobatteri, come Anabaena, fissano l’azoto in simbiosi con la felce d’acqua Azolla pinnata.
14) Produttività primaria
Gli organismi foto sintetizzanti (micro e macro alghe, alcuni batteri e piante superiori) e in minor misura quelli chemiosintetici (batteri), hanno la capacità di sintetizzare composti organici a elevato contenuto energetico (carboidrati) rispettivamente dalla luce, dall’acqua e dalla CO2 o da molecole inorganiche. Nel complesso questi organismi sono definiti produttori primari e occupano il livello trofico di base. La quantità totale di materia organica (o carbonio organico) prodotta attraverso la fotosintesi, per unità di area o di volume e per unità di tempo è definita produzione primaria. Si può esprimere in mg di carbonio/dm3, mg di carbonio/m3 o gr di carbonio/m2. La biomassa prodotta dagli autotrofi nell’unità di tempo, e quindi l’energia fissata per unità di tempo, è chiamata produttività. Quindi la produttività è la velocità di produzione. Viene distinta la produttività lorda dalla produttività netta. La produttività lorda è il tasso totale di fotosintesi, cioè la produzione totale di sostanza organica nell’unità di tempo (parte della quale viene subito consumata per le funzioni vitali), quindi nel prodotto lordo vi è inclusa quella parte di materia usata per la sopravvivenza dal produttore stesso (processo di respirazione) La produttività netta è quella parte di produzione lorda che resta dopo il consumo necessario per la sopravvivenza (respirazione). Secondo l’articolo http://w3.uniroma1.it/ecologia/energia “l’efficienza in laboratorio della produttività fotosintetica è di circa il 35%, mentre in natura è solamente dell’1.6%. Quantitativamente la reazione può essere scritta come segue (Clarke 1948) e prende il nome di equazione della produttività: 1300 Kcal di energia luminosa + 106 CO2 + 90 H2O + 16 NO3 +1 PO4 + minerali = 13 Kcal di energia potenziale contenuta in 3258 grammi di biomassa (106 C, 180 H, 46 O, 16 N, 1 P, 815 grammi di ceneri) + 154 grammi di O2 + 1287 Kcal di energia termica dispersa (circa il 98.4% dell’energia in entrata). Si nota facilmente che quasi tutta l’energia luminosa in entrata è rilasciata sotto forma di calore e non trasformata in biomassa. Le cause di questa apparente inefficienza sono legate a problemi di adattamento alla quantità di luce che e’ variabile nel tempo e di allocazione dell’energia sia nei sistemi di protezione sia in quelli di riparazione dei danni.”.
Alla luce di quanto riportato sopra, se non si vuole ricorrere a mutazioni genetiche delle piante e degli animali, dobbiamo cercare di colmare il divario di produttività esistente tra l’ 1,6 % della natura e il 35 % del laboratorio. Con la produzione in serra di molti prodotti ortofrutticoli stiamo andando verso il recupero di produttività ma abbiamo ancora molta strada da fare in questo settore e credo di essere un pioniere nel predicare i “depuratori coperti” da oltre due anni. Ma in questa pubblicazione vado oltre, proponendo nelle serre, magazzini calcarei, stagni biologici e coltivazioni fuori terra meccanizzate. Tutto rigorosamente al coperto e sovrapposto. Quindi, non solo la produttività primaria, ma anche l’efficienza della protezione ambientale e della produzione energetica (pulita) potranno essere moltiplicate. La tecnologia sviluppata nell’industria meccanica potrà essere molto utile per aumentare la produttività ambientale, alimentare ed energetica che in futuro saranno strettamente collegate, mentre oggi sono completamente scollegate. Basti pensare che la produzione agricola in serra richieda un maggiore assorbimento di CO2 rispetto alla coltivazione in campo (almeno tre volte superiore). Questo CO2 viene restituito alla natura con l’ossidazione della materia organica prodotta quando consumiamo la stessa materia organica o la bruciamo nelle centrali termoelettriche. Ma in quest’ultimo caso, se produrremo energia attraverso un D.C.P.T.C.G.,neutralizzando il CO2, prodotto biologicamente, avremo chiuso il processo sottraendolo definitivamente all’ambiente, quindi contribuendo al raffreddamento del pianeta.
La “Exxon Mobil Corporation”, il gigante del petrolio, sta lavorando da tempo con la Synthetic Genomics Inc.(SGI), una delle società leader nel campo delle biotecnologie, per contribuire a produrre biocarburanti a partire dalle alghe foto sintetiche (http://www.chimici.info/Dalle-alghe-il-carburante-del-futuro). Personalmente, non so come faranno e mi auguro che ci riescano. Stando con i piedi per terra e senza sperimentazioni, in ambiente coperto possiamo stimare la produzione massima di 10 T/ha * anno. Ma è importante, soprattutto, l’effetto depurativo e l’assorbimento del CO2. L’acqua del mare, del lago, del fiume, che alimenterà gli stagni biologici potrà entrare in questi bacini sollevata da pompe, ma solo per reintegrare l’acqua consumata, man mano che si estraggono i fanghi. Questa sarà pochissima, rispetto alle superfici produttive, considerando che gli stagni biologici, poco profondi, producono senza dispendio di energia biomasse depurative nella zona superficiale e nella zona sottostante si sviluppano batteri facoltativi che si adattano sia all’ambiente aerobio sia a quello anaerobio. Le prestazioni di questi stagni migliorano tenendo sempre attivo lo stato superficiale che riproduce le piante superficiale tipo lemma o azolla e miscelando lo strato facoltativo con il liquame entrante dopo aver scaricato i fanghi prodotti nella vasca di ossidazione (brad) e sollevato una pari quantità di acqua al piano superiore. Le grandi superfici serviranno anche per agevolare il raffreddamento dell’acqua e dell’aria. La quantità di acqua da estrarre dal bacino superiore finale (sbffcv) è determinata da sonde di rilevazione dell’ossigeno disciolto e da due livelli di funzionamento che manterranno inalterato il panno riproduttivo delle piante acquatiche. Il bacino inferiore delle acque da depurare (brad) dotato di diffusori alimentati con aria e CO2 prelevati dallo stesso ambiente aereo del bacino, sarà alimentato da tutte le acque inquinate provenienti dall’esterno e dal processo stesso: l’acqua di troppo pieno delle tramogge di ingresso ai D.D.C.L., il digestato liquido degli stessi, gli scoli dell’irrigazione delle S.M.P.C.V. L’acqua dagli stagni biologici non potrà uscire, se non per sfioro dall’ultimo piano, che, secondo la tipologia di impianto, alimenterà i veli d’acqua della serra S.C.M.C.V., oppure sarà scaricata come acqua depurata. I vantaggi di questa soluzione sarebbero immensi:
a) sfruttamento delle superfici sovrapposte per depurare le acque senza sprechi energetici e di superfici in pianta con una modesta produzione di biomasse fresche, utili per migliorare la qualità digestiva anaerobica di altre sostanze meno digeribili.
b) maggiore produttività depurativa e di biomasse sfruttando le leggi fisiche di Dalton e Henry sulla pressione e la solubilità dei gas in ambiente acquatico coperto.
c) sfruttamento dello sviluppo verticale per ottenere automaticamente un addensamento dei fanghi più vecchi che sono estratti.
15) La carbonatazione a freddo delle rocce calcaree.
Dai ricercatori è stata compilata una graduatoria degli elementi più diffusi nelle rocce, indipendentemente dalla genesi di queste: ossigeno: 46,6%; silicio: 27,7%; alluminio: 8,1%; ferro: 5,0%; calcio: 3,6%; sodio: 2,8%; potassio: 2,6%; magnesio: 2,1%.
Dall’articolo “http://www.genitronsviluppo.com/2009/07/03/assorbire-co2” possiamo apprendere che: numerosi scienziati finanziati dal Dipartimento dell’Energia USA, stanno tentando di sviluppare una nuova generazione di materiali solidi porosi che possono intrappolare molecole di CO2. Tali solidi sono disponibili in varie forme soprattutto sono derivati del carbonio che diventano dei veri e propri setacci molecolari per CO2, come il Tinkertoy, molecole che formano enormi reti in grado di catturare e trattenere determinate sostanze chimiche. Personalmente ritengo che queste soluzioni non servano perché il CO2 non deve essere neutralizzato ma utilizzato a vantaggio dell’ambiente. Non sono mai state realizzate nel mondo le “serre calcaree meccanizzate coperte verticali” (S.C.M.C.V.), che, come anticipato sono l’elemento centrale di un D.C.P.T.C.G. In queste serre, i nuovi materiali, non serviranno, perché a noi farebbe comodo che il CO2 non fosse intrappolato ma si combinasse con il calcio, il magnesio e il silicio per produrre bicarbonati nelle acque dei bacini (braa) sottostanti alle serre, che attraverso i corsi d’acqua li trasferirebbero al mare.
Il ciclo universale del carbonio, si basa sulla bassa solubilità del carbonato di calcio, che consente di realizzare la cosiddetta “pompa oceanica” che rimuove il CO2 dall’atmosfera per depositarlo sotto forma di carbonati nei sedimenti oceanici insieme alle carcasse ossee di organismi morti di molluschi o di altre specie animali, costituiti, anch’essi da carbonato di calcio, per restituirli alla crosta terrestre dopo milioni di anni. Oggi, non possiamo più affidarci soltanto alla lentezza dei processi naturali: i movimenti di subduzione portano i sedimenti nella crosta terrestre, dove a elevate temperature e pressioni avvengono fenomeni di metamorfismo: il carbonato di calcio viene riconvertito in silicato per la formazione di rocce. Non possiamo nemmeno sostenere i costi dell’estrazione del calcio dalle rocce che richiedono molta energia termica e quindi produzione di CO2, ottenendo l’effetto opposto. Ma, a parte il fatto, che anche i futuri impianti produttori di calcio, come tutti gli impianti che producono energia termica e CO2, dovranno essere abbinati a un D.C.P.T.C.G o almeno a un F.S.V., dobbiamo sfruttare meglio le rocce calcaree, che sono quelle più permeabili alle infiltrazioni di CO2. Ma affinché il processo sia sostenibile è necessario concentrare i processi dove abbiamo un’alta concentrazione di CO2 acqua dolce e di calore, affinché il CO2, diventi più aggressivo nei confronti delle rocce calcaree. Queste condizioni si verificano, dove sono posizionate le centrali termiche e gli impianti termici. Dati sperimentali consentiranno di stabilire la quantità di masse da esporre ai fumi, la pezzatura, ecc. in funzione della composizione, ma al sottoscritto basta sapere soltanto che solo sfruttando le leggi di Dalton e Henry e l’immagazzinamento meccanizzato di rocce frantumate, nell’ambiente coperto, possiamo moltiplicare il noto fenomeno del carsismo di migliaia di volte, rispetto ai volumi occupati.
Dalla pubblicazione “http://www.chimicamo.org/tutto-chimica/pietre-calcaree” riporto: “Le pietre calcaree provengono da rocce sedimentarie, sia di origine chimica sia di origine organica. La sedimentazione chimica è legata all’equilibrio in fase eterogenea:
Ca2+ + 2 HCO3– ⇌ CaCO3 (s) + H2O + CO2 (g)
Come si evince dalla reazione, acque correnti o stagnanti ricche di ioni calcio e di ioni idrogeno carbonato possono depositare carbonato di calcio come precipitato se, per mutate condizioni di temperatura e/o pressione parziale di CO2 sovrastante, allontanano parte del biossido di carbonio in esse disciolto nell’atmosfera. La reazione è reversibile e, letta da destra a sinistra, interpreta il fenomeno dell’erosione chimica che, acque carboniche, non eccessivamente concentrate in ioni calcio, dette acque aggressive, effettuano sulle rocce a composizione calcarea. Questo fenomeno è particolarmente evidente nelle formazioni stalattitiche e stalagmitiche, determinate da acque sotterranee che, percolando sotto pressione, quando vengono a contatto con l’atmosfera o con camere d’aria, lasciano evaporare H2O e si impoveriscono di CO2, con conseguente precipitazione di CaCO3 che assume la forma a goccia. Il composto che predomina nettamente nella composizione chimica delle rocce calcaree è quindi il carbonato di calcio. Oltre al carbonato di calcio, nel processo di sedimentazione, precipitano anche altri carbonati soprattutto quelli di magnesio e di manganese e idrossidi di ferro che influiscono notevolmente sull’aspetto e soprattutto sul colore. Le rocce calcaree non sono stabili né agli agenti chimici, né rispetto agli agenti termici. Il carbonato di calcio, infatti, si mette in equilibrio ad ogni temperatura con l’ossido di calcio e il biossido di carbonio:
CaCO3 (s) ⇌ CaO (s) + CO2 (g)
Alle basse temperature, la concentrazione di CO2 nell’aria è sufficiente a spostare l’equilibrio da destra a sinistra, mentre a elevate temperature accade il contrario: CaCO3 si dissocia per incrementare la concentrazione di CO2 nell’aria fino al valore di equilibrio.
Acidi, anche deboli, o acidi forti diluiti, decompongono il carbonato di calcio, secondo la reazione:
CaCO3 + 2 HCl → CaCl2 + H2O + CO2
Oppure in forma ionica:
CaCO3 + 2 H+ → Ca2+ + H2O + CO2”
È questa la reazione alla quale dobbiamo tendere nelle serre calcaree, che in abbondanza di acqua piovana possiamo scrivere diversamente:
CaCO3+ CO2+ H2O ↔ Ca2++ 2 HCO3–;
Nella pietraia sospesa nell’ambiente umido della serra, in linea molto schematica, gli elementi che costituiscono i minerali delle rocce vanno in soluzione sotto forma di ioni. Questi ioni si possono originare per diversi meccanismi: 1) -dissoluzione di sali, fino a raggiungere il prodotto di solubilità del sale stesso; 2) -scambio ionico tra un catione e gli ioni H3O+; 3) -scambio ionico tra un anione e gli ioni OH-. Oltre ai tre meccanismi sopraccitati, lo ione sottratto alle rocce (positivo) può sottostare a una complessazione (formazione di ioni complessi) o d’idrolisi mediante reazione con molecole di acqua. Entrambi questi fattori ne riducono la sua concentrazione effettiva. Immaginiamo cosa avviene a livello molecolare quando un solido ionico, come un sale, si scioglie. Gli ioni abbandonano il solido e si disperdono nel solvente, fino a che alcuni ioni disciolti s’incontrano con il soluto non disciolto (sale solido) e ricristallizzano sulla sua superficie. Ma nella serra artificiale la pioggia sarà abbastanza continua trascinando i sali nell’acqua del bacino, le condizioni di saturazione non si verificheranno mai quindi la velocità di dissoluzione sarà sempre superiore alla velocità di ricristallizzazione. Ma in seguito esamineremo anche casi in cui porteremo le acque del bacino (braa) al punto di saturazione calcica.
Le rocce sedimentarie sono composte di minerali, come i solfati e i carbonati alcalini e alcalino-terrosi, in genere solubili perché tali nelle acque naturali. La loro velocità di dissoluzione è molto più elevata di quella dei silicati, che evidentemente, non prendiamo in considerazione, ma comunque, daranno il loro piccolo contributo. Un esempio della carbonatazione a freddo è dato dalla calcite (CaCO3) che spesso rimane disciolta in soluzione soprassatura. Le acque naturali disciolgono dapprima i carbonati alcalino-terrosi. Quando viene raggiunta la concentrazione di ioni Ca++ e CO3— corrispondenti alla saturazione riguardo alla calcite, l’incremento della salinità conseguente al procedere delle acque lungo il ciclo idrogeologico viene conseguito mediante la solubilizzazione dei solfati alcalino-terrosi e dei cloruri alcalini. Le cinque categorie sono quindi così divise, prendendo il nome dal componente salino principale: 1) – acque a bicarbonati; 2) – acque a bicarbonati cloruri; 3) – acque a cloruri-bicarbonati; 4) – acque a cloruri-solfati; 5) – acque a cloruri. Na+ e K+ vengono raggruppati tra gli alcalini; Ca++ e Mg++ tra gli alcalino-terrosi; HCO3– e CO3— tra gli anioni da una parte, e dall’altra Cl– e SO4–. In questo modo la somma della percentuale molare (Na+ + K+) chiude a 100% con la percentuale molare (Ca++ + Mg++ ) e la percentuale molare (HCO3– + CO3— ) chiude a 100 con la percentuale molare (Cl– + SO4—). Il carbonato acido, o bicarbonato di calcio passa in soluzione nell’acqua (solubilità a 20°C, circa 1 g/litro). Si tratta in realtà di una reazione di equilibrio e la quantità di carbonato acido che può trovarsi disciolta nell’acqua è notevolmente influenzata dalla concentrazione di CO2 nell’acqua stessa.
16) Esperienze preistoriche e la moderna automazione industriale in soccorso dell’ambiente e dell’energia.
Attingendo dalla geologia e dalla chimica, sappiamo che importanti fenomeni legati alle rocce sono già intervenuti nella storia del pianeta Terra ai fini della riduzione del CO2 dall’atmosfera, cito gli sconvolgimenti tettonici che portarono alla formazione degli attuali continenti, dovuti alla transizione tra Rodinia e Pannotia (vecchi continenti) che avvenne alla fine dell’Algonchiano (terzo periodo dell’era archeozoica), estratti dalla pubblicazione in rete “http://www.fmboschetto.it/didattica/Anno_della_Terra/Precambriano”: “Dalle dorsali oceaniche sarebbe fuoriuscita lava basaltica proveniente dal mantello terrestre, tale da ricoprire gran parte del granito che formava la superficie continentale. Il basalto, essendo una roccia porosa, venne eroso molto più facilmente del granito e pertanto, a parità di tempo, la quantità di basalto asportata dai fiumi fu molto maggiore della corrispettiva in granito. Una volta dissolte in acqua, le componenti minerali delle rocce assorbirono una parte del CO2 disciolto nell’acqua stessa; dopo essersi legati a esso, i minerali precipitarono sul fondale marino sotto forma di sedimenti. Questo fenomeno provocò una carenza di CO2 nelle acque marine, che fu compensato dallo scioglimento in acqua di una grossa quantità di CO2 proveniente dall’atmosfera: in pratica il mare la assorbì come una vera e propria “spugna”. In seguito alla frantumazione del continente Rodinia, il consumo di CO2 provocato dall’erosione del basalto sarebbe aumentato a un livello tale da superare il quantitativo emesso nello stesso tempo dalle eruzioni vulcaniche, provocando così una netta diminuzione dell’effetto serra sul pianeta, e quindi, un generale raffreddamento delle temperature, sufficiente, secondo i calcoli, per congelare l’intero Pianeta”.
Basandoci su questa strepitosa esperienza acquisita dalla preistoria, e sulla tecnologia moderna, supponiamo di trasformare le serre dei bacini dei depuratori coperti (adibiti al raffreddamento dei fumi, alla cattura del CO2 ealla coltivazione del plancton), in un magazzino meccanizzato (S.C.M.C.V.) pieno di cestelli in reti metalliche, che sospendiamo a dei binari in profilati di acciaio (ancorati alle travi portanti) tramite carrelli dotati di ruote sagomate dotate di boccole in materiale autolubrificante (bronzo, polietilene) o cuscinetti a sfere stagni prelubrificati. Supponiamo che i cestelli abbiano una base chiusa, in lamiera forata rivestita da tessuto non tessuto e una forma esagonale o circolare, in modo che l’aria o il vapore possa circolare tra gli stessi anche affiancandoli su quattro lati e sovrapponendoli (come avviene nelle industrie alimentari dove si stagionano i prosciutti e formaggi). Riempiendo di massi calcarei questi cestelli, aumentiamo di centinaia o migliaia di volte la superficie di contatto tra la roccia e l’acqua, che facciamo scorrere dall’alto sui cestelli stessi. La percentuale di CO2 solubile nell’acqua aumenta di decine di volte e quello presente nell’aria può superare addirittura di 2500 volte la concentrazione atmosferica basandoci sul rapporto tra la concentrazione nei fumi e nell’aria (10 / 0,039) in assenza di aria di raffreddamento nelle serre calcaree. Si comprende facilmente che anche senza riscaldare le rocce a 1000 gradi l’effetto corrosivo dovuto all’azione contemporanea di questi fattori può produrre il fabbisogno di calcio necessario ad alcalinizzare le acque e a consumare il CO2. Oltre tutto, possiamo pure controllare la velocità del processo immettendo più o meno aria pulita nell’ambiente e sottraendo più o meno aria per la produzione di biomasse terrestri e acquatiche nelle serre adiacenti. Il vapore generato, più leggero dell’aria e del CO2, sale verso l’alto uscendo dagli sfiati superiori dalla serra. Il CO2, penetrando insieme all’acqua nelle micro fessure delle rocce produrrebbe bicarbonato Ca(HCO3)2 e carbonato CaCO3. Essendo impure le rocce, le colature di acqua sporca di argilla, pietrisco, calcio, silicio e minerali vari si raccolgono in un doppio fondo asportabile del cestello (cpcc) rivestito da un pannello di tessuto non tessuto, che lascia passare soltanto l’acqua alcalina. Anche l’esterno inferiore del cestello sarà rivestito di tessuto non tessuto. In questo modo non si inquina il bacino (braa) e le rocce calcaree, nelle sezioni di rigenerazione, possono facilmente essere integrate dall’alto del cestello rimuovendo, pulendo e sostituendo il filtro del fondo asportabile. Al cap. 25 abbiamo calcolato che in un impianto grande impianto DCPTCG- GESEPI nel magazzino calcareo potremmo avere ben 2.088.960 cestelli pensili che realizzati in acciaio inox per resistere alla corruzione costerebbero moltissimo (almeno 1.500 $ per unità). Allora il sottoscritto ha pensato a una soluzione molto più economica che potrà costare 1/10 del cestello inox, ma ugualmente funzionale. I cestelli potranno essere realizzati in corda di nylon (come un’amaca) con la semicirconferenza inferiore rivestita esternamente di tessuto non tessuto filtrante agganciato con ganci metallici inox alla rete delle corde di nylon. Quando i cestelli un nylon arrivano alla rigenerazione si cambia il rivestimento esterno nel quale si raccolgono le melme. Liberato dalle melme, lavato e asciugato, se in buone condizioni, il rivestimento potrà essere realizzato. L’acqua che cade sulla copertura in pendenza del (braa) viene convogliata lateralmente attraversando un canale di raccolta pietre (crp), protetto da una piccola griglia. In questo modo anche le poche pietre che cadono dall’alto possono consumarsi senza produrre fanghi indesiderati nel bacino (braa). Il canale (crp) è coperto dalla pioggia che scende dall’alto per deviare il flusso della pioggia sul solaio e costringere le impurità a decantare nel canale, che viene pulito da una bilancella (bam) motorizzata, appositamente attrezzata con un pattino in gomma. Dal canale (crp) si preleva l’acqua alcalina (aa) che alimenta i (brad). Il grosso delle acque sfiora nel (braa). In questo, essendo il prelievo delle acque sollevate ai (vas) posizionato al centro, si determina una circolazione sommersa delle acque dai lati verso il centro. Con questo sistema, spendendo soltanto l’energia per il sollevamento delle acque risolviamo molti problemi contemporaneamente:
1) Raffreddiamo i fumi che immettiamo nell’atmosfera delle serre calcaree (scmcv) (anche il calore è inquinamento e contribuisce al riscaldamento globale) e sottraiamo CO2 all’atmosfera;
2) alcalinizziamo le acque nel bacino (braa) senza spendere energia e senza emettere CO2 nell’atmosfera per estrarre l’ossido di calcio;
3) realizziamo un processo di ossidazione dovuto alla caduta e circolazione delle acque neutralizzando immediatamente il CO2 emesso dal processo. (oggi, i depuratori consumano una quantità di energia maggiore, il CO2 prodotto viene emesso nell’atmosfera e le acque depurate diventano acide, liberando altro CO2 nell’atmosfera quando si miscelano con le acque del mare e dei laghi.)
4) evitiamo di sprecare i sedimenti calcarei nei fondali marini. Infatti, le precipitazioni di carbonati negli oceani, in assenza di correnti di risalita, non sono recuperabili ai fini del processo biologico. Sono destinate esclusivamente alla lunga fossilizzazione.
Questa soluzione non avrei potuto proporla se in passato non mi fossi occupato di automazione e trasporti industriali. Ma gli addetti ai lavori dell’ambiente e dell’energia non sono interessati a questa proposta rivoluzionaria. Non si sa se l’hanno compresa.
Mi rivolgo di nuovo a Confindustra che di processi di industrializzazione se ne dovrebbe intendere. Realizzando nella serra (scmcv) più file e più piani di materiale calcareo in cestelli pensili carrellati e dotando le testate della serra di un sistema di traslo elevazione dei cestelli (mscb), possiamo infilare i carrelli portanti nei binari dei magazzini ed estrarli periodicamente (es. ogni tre mesi) dal lato opposto per trasferirli in una linea parallela al bacino, dove si scaricano i sedimenti su un nastro trasportatore elevatore che trasporta le melme in tramogge di carico per automezzi. Nelle postazioni di carico si aggiungono i massi consumati e si sostituisce il rivestimento filtrante del doppio fondo senza svuotare il cestello. Nell’impianto dimensionato come esempio avremo circa 272 cestelli per ogni fila (lunga 300 m). Ogni cestello sarà sospeso a due carrelli dotato di un distanziatore che li posiziona al passo di 1.100 mm senza che i cestelli si tocchino, mentre l’attrezzatura che li inserisce nella fila e li fa avanzare di un passo, essendo dotata di un sistema di spinta oleodinamico. Essendomi occupato per anni di questi sistemi prima di passare al settore ambientale, posso assicurare che le sinergie tra la meccanica la chimica e la biologia, possono cambiare completamente le potenzialità di trattamento del settore ambientale, pur non sfruttando le intere potenzialità di automazione impiegate nell’industria, per ovvi problemi di costi. Non pretendo di esaurire l’argomento, accenno solamente a delle soluzioni che potranno essere affinate in fase di sviluppo dei progetti. Il problema della corrosione delle vie di corsa di sospensione dei cestelli nel magazzino calcareo, perennemente soggette a piogge acide, per esempio, sarebbe arginato carterizzandole con pannelli stagni in pvc chiusi nella zona inferiore da labbra di gomma cedevoli al passaggio dei codoli di sospensione dei cestelli. Per l’assorbimento dell’umidità, gli interni del carter sarebbero riempiti di sfere di polisterelo espanso che si spostano al passaggio dei carrelli di trasporto, senza uscire dall’involucro. Premetto che con diversi gradi di automazione possiamo spostare cestelli e bilancelle sospesi a carrelli motorizzati o manuali da una corsia all’altra e da un piano all’altro spostando orizzontalmente o verticalmente il tratto di binario al quale è sospeso il cestello oppure la bilancella. Quindi, il sistema è valido anche per spostare le bilancelle che saranno attrezzate per la lavorazone del terreno e per il taglio, trinciatura e aspirazione delle biomasse. I fabbricati serra, che oggi non esistono, non possono essere concepiti senza questi sistemi di movimentazione. Con le colture energetiche le operazioni di lavorazione e raccolto sono molto semplici, quindi, l’automazione si può spingere al massimo. Possiamo anche utilizzare il trasporto pneumatico del trinciato. Se un domani, le serre, dovessero essere utilizzati anche per la produzione alimentare, il raccolto potrebbe essere spostato e trasportato, attraverso bilancelle motorizzate appositamente attrezzate.
Nei fabbricati serra ipotizzati alti 70 m, avremo un magazzino calcareo centrale largo 18 m, lungo 300 m, diviso in ventiquattro piani e sedici file di 272 cestelli, affiancato lateralmente da due stagni biologici (senza attrezzature) e due serre di produzione larghe 12 m, divise in dodici piani, con quattro corsie di lavorazione del terreno larghe 3 m. In testata al fabbricato, al primo piano, a monte e a valle, avremo tre montacarichi attrezzati con i binari di traslazione, due laterali larghi 12 m con quattro binari per i carrelli motorizzati e uno centrale con 16 binari per i carrelli manuali di cestelli calcarei. La movimentazione e la traslazione dei carrelli nella fase di preparazione delle bilancelle e cestelli (cambi di attrezzature a bordo, carico massi calcarei) avverrebbe al piano terreno, utilizzando singoli elevatori, singoli traslatori e singoli binari, che al primo piano attraverserebbero i montacarichi per proseguire il percorso prestabilito. Avendo realizzato l’impianto perfettamente simmetrico, il montacarichi centrale sarà caricato con n.8 carrelli porta cestelli calcarei preparati dal settore di destra e n.8 da quello di sinistra. Non essendo motorizzati questi carrelli, nella zona di pulizia, manutenzione e riempimento dei cestelli, posta a piano terra, potranno essere spinti singolarmente da un parallelo anello monorotaia dotato di un gruppo di comando pensile che agganciano gli spingitori con una manovra manuale degli operatori. I carrelli pieni di rocce da immagazzinare saranno rilasciati dall’anello di spinta monorotaia sempre nella stessa posizione del tratto di rotaia finale che consentirà un accumulo di una ventina di cestelli. Da questa posizione uno spingitore oleodinamico li farà avanzare automaticamente di una posizione. Quando l’intera linea di accumulo sarà piena e l’ultima posizione di accumulo resterà occupata, il movimento del trasportatore monorotaia sarà interdetto e i cestelli potranno essere movimentati soltanto manualmente, a spinta. Quando si dovrà procedere all’immagazzinamento dei cestelli, questi saranno spinti singolarmente da un altro anello motorizzato nella posizione di sollevamento ed una volta sollevati, fatti avanzare da uno spingitore in un gruppo di traslazione con n.8 postazioni che avanza di una posizione fino al completo caricamento. Quando questo è avvenuto, il montacarichi sale al piano di lavoro programmato immagazzinando i cestelli. Più o meno, le stesse operazioni avverranno anche dal lato opposto per lo scarico dei cestelli e delle bilancelle di lavorazione. Non si entra nel merito del livello di automazione dei trasporti che sono stati ampiamente sperimentati nell’industria, ma mai impiegati nell’ambiente. Tuttavia, nel caso della produzione agricola non sarà necessario, né conveniente elettrificare tutti percorsi, in gran parte, soggetti a piogge e agenti corrosivi, conviene elettrificare soltanto le sezioni di smistamento dei carrelli porta cestelli e bilancelle, esterne al F.S.V. mediante scambi, discensori / elevatori e montacarichi. Converrà motorizzare i carrelli di trasporto e le attrezzature agricole con motori a corrente continua, alimentati da batterie intercambiabili. Le stazioni di caricamento delle batterie saranno posizionate al piano terraneo. Anche il trasporto pneumatico del trinciato è stato ampiamente sperimentato nell’industria, mentre per l’aspirazione del trinciato da parte della bilancella attrezzata in movimento possiamo prendere spunto dal sistema utilizzato per l’aspirazione dei fumi di saldatura nelle stazioni di lavoro in movimento. Queste, prevedono un collettore aspirante dotato di una fessura coperta da labbra in gomma che si aprono al passaggio del terminale metallico sagomato del tubo aspirante, di cui, sarà dotata l’attrezzatura montata sulla bilancella per il taglio trinciatura e aspirazione della coltura. Ovviamente, come avviene nell’industrie le zone di movimentazione automatica saranno transennate e protette con pannelli di rete fotocellullule eccetera. Con queste brevi anticipazioni di comuni tecniche di trasporti industriali quasi estranee al settore depurativo e ancora di più a quello energetico, voglio soltanto dire che esistono soluzioni che non sono mai state prese in considerazione che potrebbero cambiare radicalmente e in meglio, sia la protezione dell’ambiente, sia la produzione energetica. Non parlo per sentito dire, essendomi occupato nel dettaglio di queste cose, oltre un quarto di secolo fa. Ma anche in anni recenti, in diverse occasioni e progettazioni mi è capitato di utilizzare sistemi meccanici pneumatici o oleodinamici appresi nell’industria. Un impiantista anche dopo cinquanta anni di attività ha sempre qualcosa da imparare dagli impianti che incontra e sempre qualcosa da offrire per migliorarli, se non ha lavorato a occhi chiusi. La semplice apertura del mondo ambientale all’automazione industriale sarebbe già una grande novità, sebbene relativa. Le novità assolute sono le ciminiere C.R.D., i depuratori coperti, i digestori lineari, gli stagni biologici facoltativi successivi verticali, le serre di produzione, il compostaggio insaccato, la produzione di biomasse insilata, l’accoppiamento della produzione energetica con la depurazione, il recupero del calore, il recupero sostenibile e utile del CO2, le grandi portate di acque e di aria trattabili con la depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale. Se oggi mi propongo come inventore ambientale e non come inventore industriale è perché il mondo della produzione non ha bisogno del sottoscritto, come non ne aveva bisogno nel 1988, quando decisi di andare a lavorare per l’ambiente. E’ stata la coscienza a suggerirmi le commesse virtuali sulle quali lavorare da pensionato.
Creare i bacini coperti, portarvi le rocce che impiegheranno il giusto tempo per corrodersi (non troppo veloce, né troppo lento), abbinare un sistema meccanico d’immagazzinamento e movimentazione delle rocce sarà la soluzione migliore nella lotta al riscaldamento globale anche dal punto di vista economico. Ma nei cestelli possiamo metterci anche altri materiali calcarei soggetti all’erosione. Pensiamo agli inerti cementizi delle demolizioni, opportunamente separati dalle sostanze inquinanti contenute negli intonaci. Questi sono composti dal 64% ossido di calcio, 21% ossido di silicio, 6,5% ossido di alluminio, 4,5% ossido di ferro, 1,5% ossido di magnesio, 1,6% solfati, 1% altri materiali, tra cui soprattutto acqua. Pensiamo ad estrazioni calcaree miste da effettuare direttamente dai fondali marini, prima che siano compattate e amalgamate dalle pressioni idrostatiche e dai millenni. Senza andare a disturbare importanti riviste scientifiche, prendo da Wikipedia un piccolo stralcio della voce “calcare”: “La formazione organogena del calcare deriva dal fatto che molti esseri viventi sono dotati di un guscio o scheletro calcareo. Dopo la morte di tali organismi, i resti dopo un percorso più o meno lungo vanno a fondo, deponendosi sul fondale marino. Dopo la decomposizione delle parti molli, le parti mineralizzate formano sedimenti che ricoprono aree sovente di notevole estensione. Ad esempio, Le “melme a globigerina” coprono oggi il 37,4% del fondo del mare che corrisponde al 25,2% dell’intera superficie terrestre”. La “globigerina” è una pietra morbida Calcarea che tende a indurirsi con il tempo e l’esposizione all’aria. Con la tecnologia moderna sarebbe abbastanza semplice estrarla con l’aiuto della pressione idrostatica. Questi minerali consentiranno di estrarre il calcio senza produrre eccessive quantità di CO2. Comunque tutte le attività che producono CO2 (centrali termiche, forni produttori di calcio, inceneritori, acciaierie) dovrebbero essere realizzate vicino a un depuratore coperto o un fabbricato serra verticale che ne consente il recupero che dovrebbe iniziare dalle ciminiere di questi impianti, come descritto nell’apposita sezione. Queste soluzioni dal punto di vista gestionale potranno essere perfezionate soltanto con la sperimentazione.
Sarà molto più sostenibile riciclare il CO2 e imprigionarlo nei carbonati del bacino coperto (braa) che ricorrere al “Carbon capture and sequestraction” già citato. E’ molto più sostenibile estrarre il calcio e il magnesio dalle rocce, a freddo, che estrarlo a caldo industrialmente. So bene che i ricercatori ci hanno provato e ci stanno provando con scarsi risultati. Ma è evidentemente che hanno trascurato questa soluzione che non ha bisogno di sperimentazioni. La sinergia tra impianti meccanici, idraulici, energetici, aeraulici risolve ogni problema. Certamente, una parte di ossido di calcio dovremmo produrla industrialmente, ma il grosso potrà essere asportato con il sistema indicato, risparmiando al mondo milioni di emissioni di CO2 ogni anno e trasportando gratis, bicarbonati agli oceani, che ne hanno bisogno, soprattutto nelle acque superficiali, che possono essere forniti, particolarmente, dalle acque piovane e fluviali che riusciremo a far passare attraverso i fabbricati sinergici verticali F.S.V..
L’ossido di calcio, che è utilizzato, nella disidratazione e stabilizzazione dei fanghi, ma soprattutto, nell’edilizia, si ricava dalle rocce calcaree, riscaldandole a quasi 1000 oC, consumando circa 760 kcal/ kg e producendo altri 0,5 kg di CO2. Considerando che la roccia non è pura e il rapporto tra i pesi molari CaCO3 (100), CaO (56) e CO2 (44), per avere un kg di Cao produciamo circa 2 kg di CO2. Ugualmente, varrebbe la pena di fare questo scambio, perché l’ossido di calcio usato per contrastare l’acidificazione oceanica ha un rendimento esponenziale andando contrastare un processo irreversibile che si sviluppa con leggi logaritmiche in base dieci. Nessun investimento sarebbe tanto azzeccato. Questo rendimento certamente non può fornirlo il settore edile. Pertanto, se vogliamo continuare a produrre ossido di calcio per il settore edile, dobbiamo sfruttare la capacità corrosiva dei fumi degli impianti termici e degli stessi forni produttori di ossido di calcio, facendoli passare nei magazzini di rocce calcaree e silicee dei F.S.V.. Ridurremo i costi ambientali ed economici della produzione di Cao, depurando i fumi e alcalinizzando le acque. Non si dica che le opere che propongo costano troppo. Quello che è costato troppo sono gli attuali sistemi fognari depurativi ed energetici che non proteggono l’ambiente e non hanno nessuna speranza di riuscire a farlo, se non saranno modificati e adattati per essere industrializzati in processi produttivi dell’energia protettiva dell’ambiente.
17) Anche i fumi possono costituire una risorsa ambientale
Le centrali termoelettriche attuali producono migliaia di MWh, non raffreddano le acque, non depurano sufficientemente i fumi, non recuperano il calore e non trasportano nemmeno un grammo di carbonato nelle acque. Chi ha progettato le centrali termoelettriche da 200 anni a questa parte Ha dimostrato di non conoscer niente dei sistemi naturali di difesa dell’ambiente. Tutti gli altri, scienziati, climatologi, biologi, ambientalisti, per molto tempo li hanno lasciati fare. Oggi, si sono svegliati e vogliono le nuove energie. Ma la natura funziona sempre allo stesso modo. Noi dobbiamo assecondare il suo sistema di difesa creando centrali termolelettriche di piccola potenza affiancate da grandi digestori, recuperatori di fumi, serre calcaree e grandi portate di acqua. Non è colpa del carbone o dell’olio combustibile, sono le centrali termoelettriche che sono state sbagliate ad essere realizzate troppo grandi senza le infrastrutture che recuperano il calore per produrre nuova energia e compost; che recuperano i fumi per depurarli e inviare carbonati ai mari. Queste non sono condizioni opzionali ma primarie perchè alla terra devono ritornare i minerali e ai mari i carbonati, Le nuove energie questo non possono farlo, non potrà farlo nemmeno l’idrogeno quando diventerà un propellente. Il nuovo global energy system enviromental protective industrial (GESEPI) distribuito lungo i fiumi laghi e mari riporterà in equilibrio gli ecosistemi producendo energia e potrà anche desalinizzare le acque del mare. Non si possono accettare scetticismi su questo sistema da parte di chi progettato gli attuali sistemi energetici e depurativi e anche da parte di chi ha taciuto. Questo sistema, ancora non ha trovato finanziatori per le più elementari sperimentazioni, probabilmente, perché nessuno vuole ammettere i grossolani errori nella protezione dell’ambiente. Sono il primo a dire che la velocità cinetica dela trasferimento diretto del calcio dal materiale calcareo all’cqua è molto bassa ed è, soprattutto, per questo che sono state ridimensionate le centrali a scapito delle serre. Ma sono state fatte ancher altre importanti considerazioni.
La pompa oceanica richiederà meno calcio se gli oceani conservano almeno l’alcalinità attuale. Abbiamo le risorse per prevenire l’acidificazione oceanica, non per combatterla. Dobbiamo saper amministrare queste risorse. Questo concetto è espresso molto bene dall’equazione di Henderson e Hasselbach che tiene conto del rapporto tra le quantità di ioni bicarbonati (derivati dai sali carbonati) e l’acido carbonico presenti nell’acqua: pH = Ka +Log[HCO3¯] / [H2CO3] dove la costante Ka dell’acido carbonico vale 4,3 •10-7 mol/L vale 6,37. Ma, come detto, se saremo avveduti, oltre alle centrali termiche, ci converrà realizzare gli stabilimenti di produzione della calce, gli inceneritori e gli impianti che producono fumi e CO2 abbinati a un depuratore coperto, dotato di magazzino serra, e stagni biologici verticali (S.C.M.C.V. + S.B.F.S.C.V. + S.M.P.C.V.), come se fosse una centrale termica, per recuperare ai fini ambientali il CO2, e depurare le acque interessate al processo o altre acque da depurare. Caso per caso, potranno essere valutate le possibilità digestive e la produzione di energia supplementare.
Per restare nell’ambito di fenomeni di dissoluzioni e aggregazioni tra le rocce e l’acqua possibili a temperature e pressione ambiente e al fine di sfruttare impiantisticamente il calore e il CO2 prodottodalle centrali termoelettriche prima di rilasciarli nell’ambiente, cito anche la seguente pubblicazione, di cui riporto qualche dato miscelato a considerazioni personali: http://areeweb.polito.it/didattica/chimica.Nelle acque meteoriche la percentuale di CO2 è notevolmente più elevata che nell’atmosfera. Questo fatto è di notevole importanza nei riguardi dei fenomeni cui le acque possono dare origine scorrendo attraverso rocce. In particolare, l’acido carbonico H2CO3, esercita una lenta azione solubilizzatrice su alcuni minerali come i carbonati di calcio e magnesio, pressoché insolubili in acqua pura. Lo ione idrogenocarbonato (HCO3−) è prodotto per azione del biossido di carbonio libero sulle rocce calcaree. Un esempio è la reazione di dissoluzione del carbonato di calcio (già vista): CaCO3+ CO2+ H2O ↔ Ca2++ 2 HCO3–; per la dolomite, la reazione è molto simile: CaMg(CO3)2 + 2CO2 + 2H2O ↔ Ca2+ + Mg2+ + 4HCO3–.
Attraverso reazioni come queste, gli oceani vanno a tamponare le variazioni di concentrazione del biossido di carbonio nell’atmosfera, essendo reversibili. Per centinaia di milioni di anni questo processo ha prodotto enormi quantità di rocce costituite da carbonati che sono andati a depositarsi sui fondali marini. Le acque meteoriche tengono in soluzione i costituenti gassosi dell’atmosfera, di cui sono praticamente sature. Il quantitativo totale di gas disciolti varia con il variare della temperatura. A temperatura ambiente esso corrisponde a circa 20 cm3 complessivi per litro di acqua. A causa delle differenti solubilità la composizione percentuale dei gas disciolti non corrisponde a quella dell’aria. Il CO2 occupa uno spazio molto superiore a quello che gli spetterebbe in base alla sua piccolissima percentuale atmosferica (0,039%). Questo significa che il suo maggior peso specifico rispetto all’azoto e all’ossigeno ha un’importanza fondamentale.
Nei bacini coperti, dove, l’assenza del vento consente la stratificazione dei gas, l’ossigeno e l’azoto risalgono più facilmente verso l’atmosfera rispetto al CO2, quest’ultimo, può arrivare ad occupare quasi l’intero spazio per aumentare il potere corrosivo delle rocce calcaree. Le acque che attraversano un impianto di depurcogenerazione (D.C.P.T.C.G) dovranno avere, oltre alla funzione di raffreddare turbine e condensatori, anche e soprattutto la funzione di trasportare sotto forma di carbonati il CO2 al di fuoridell’impianto (per non emetterlo nell’atmosfera). Svolgerebbero questa funzione in un percorso parallelo all’habitat naturale, al quale si ricongiungerebbero a valle dell’impianto, diluendo con le altre acque i sali carbonati acquisiti, e contribuendo a portare maggiore alcalinità agli oceani, che ne hanno bisogno. Non dimentichiamo che parliamo soprattutto di carbonati di calcio e magnesio che aumentano la durezza carbonatica totale. La maggiore durezza carbonatica andrebbe a contrastare anche lo scioglimento dei Sali di cloro nelle falde acquifere costiere, che contribuiscono, non poco, ai processi di desertificazione. Anche questo dovrebbe farci riflettere su quanto siano lontani dai nostri fabbisogni gli impianti energetici e di protezione ambientale attuali. Fumi, calore, CO2, calcio, nutrienti, rifiuti, negli impiantiD.C.P.T.C.G. potrebbero essere sfruttati come delle preziose risorse, invece, oggi sono delle calamità anche quando vengono recuperati con tanta pubblicità sulla protezione dell’ambiente, attraverso termovalorizzatori e depuratori che non chiudono correttamente il ciclo del carbonio e delle acque. Da Kioto a Cancun a Durban e Doha nessuno se ne accorto. Di che cosa parlano ai vertici mondiali sull’ambiente? Di queste cose non se ne parla nemmeno nei convegni locali. Rubano la scena ottimi oratori, senza dire nulla di concreto, favorendo soltanto investimenti sbagliati.
Nella tabella seguente, sono riportati i valori della solubilità di azoto, ossigeno e CO2, in Ncm3 nelle acque meteoriche a differenti temperature e alla pressione atmosferica. (http://areeweb.polito.it/didattica/chimica/Le%20acque%20ed%20i%20loro%20trattamenti.pdf)
Temp. oC | O2 | N2 + GAS vari | CO2 | Somma | |||||
0 | 10,19 | 18,99 | 0,57 | 29,75 | |||||
10 | 7,87 | 14,97 | 0,41 | 23,25 | |||||
20 | 6,36 | 12.32 | 0.32 | 19,00 | |||||
30 | 5.26 | 10,38 | 0,25 | 15,89 | |||||
CON | FUMI | IN | SERRA | ||||||
30 | 2,63 | 5,19 | 8,07 | 15,89 | |||||
La legge di Henry afferma: Un gas che esercita una pressione sulla superficie di un liquido, vi entra in soluzione finché avrà raggiunto in quel liquido la stessa pressione che esercita sopra di esso. La legge delle pressioni parziali di Dalton afferma che: la pressione totale esercitata da una miscela ideale di gas ideali è uguale alla somma delle pressioni parziali che sarebbero esercitate dai gas se fossero presenti da soli in un eguale volume. Le leggi di Henry e Dalton spiegano solo parzialmente l’incremento dell’acidificazione oceanica nell’epoca industriale che a fronte di un incremento del CO2 da 280 ppm a 390, ne ha abbassato il PH di circa 0.11 unità che, trattandosi di una scala logaritmica, corrisponde a un aumento degli ioni (+) di circa il 30 %. Questo incremento ha superato tutti i modelli matematici poiché l’acqua marina, che è ricchissima di sali, dovrebbe comportarsi maggiormente come una soluzione tampone, contenendo al minimo la variazione del PH. Ma nell’ambiente intervengono moltissimi processi chimici e biologici che agiscono contemporaneamente in simbiosi, soprattutto, in presenza di sostanze inquinanti, non neutralizzate alla fonte. Non possiamo pretendere di tutelare l’ambiente continuando a ignorare la potenza delle simbiosi impiantistiche, realizzabili dall’uomo. L’esempio dei fumi immessi nell’atmosfera, delle acque calde scaricate da impianti termici e delle acque acide scaricate dagli impianti industriali, compresi i depuratori, sono gli esempi più evidenti. Mettendo insieme impianti diversi e realizzando delle sezioni impiantistiche catalizzatrici, come avviene nei processi chimici e biologici che funzionano, potremmo produrre energia pulita e protezione ambientale insieme.
Immettendo i fumi nella serra, che inizialmente avrebbero, supponiamo, il 10 % in peso di CO2, gradualmente, dagli sfiati, posti in alto, uscirebbe, secondo un ordine decrescente i gas più leggeri. Partendo dall’alto, avremo in: N2, CO, O2, NO, NO2, SO2,SO3, CO2. Quest’ultimo, essendo il più pesante, pur diminuendo, la solubilità in acqua per effetto dell’aumento della temperatura, come si vede dalla tabella, per effetto dell’aumento della percentuale nell’atmosfera della serra, aumenterebbe notevolmente la sua pressione specifica sull’acqua. Se, ad esempio, dimezza il contenuto di aria e azoto, dimezza pure lo spazio occupato nell’acqua a vantaggio del CO2 che li sostituisce. Di conseguenza aumenta anche la capacità dissolutiva delle rocce calcaree da parte del CO2, più o meno, nella stessa proporzione, sia per il contatto diretto del CO2 atmosferico, sia perché solleveremo una parte delle acque realizzando dei veli d’acqua discendenti per aumentare il contatto tra acqua CO2 e rocce. Se consideriamo che, mettendo nella serra frammenti di roccia accatastate, avremo aumentato, anche la superficie di contatto migliaia di volte, rispetto al normale contatto che avviene nelle grotte carsiche, l’operazione dovrebbe essere estremamente conveniente ai fini ambientali, ed anche economici. Nella tabella si è ipotizzata una temperatura media dell’acqua di circa 30 OC. Pur confermando la stessa quantità di gas nell’acqua alla pressione atmosferica (15,89 Ncm3), oltre il 50% potrà essere costituito dal CO2 (8,07 Ncm3). Questo significa che avremo bisogno di quantità di acqua trentadue volte inferiori per dissolvere il CO2 contenuto nei fumi in acqua (8,07/0,25), aumentando di trentadue volte la capacità corrosiva dell’acqua nei confronti delle rocce, cioè, la capacità di sottrarre ioni di calcio e magnesio dalle rocce per neutralizzare lo stesso CO2, senza consumare energia termica ed elettrica, ad eccezione di quella necessaria al sollevamento delle acque per realizzare le piogge artificiali. Se consideriamo che l’acqua già circoli dentro le centrali termiche e nelle vicinanze (altrimenti la centrale non si sarebbe potuta realizzare), dobbiamo soltanto aumentare le opere strutturali per trasformare una centrale termica che inquina in un impianto di depur-cogenerazione globale (D.C.P.T.C.G) che protegge l’ambiente, produce energia, e crea moltissime opportunità di lavoro (per le infrastrutture da creare civili ed elettromeccaniche, per le biomasse e le rocce da trasportarvi e tutte le attività indotte).
A titolo di esempio: una centrale termoelettrica a metano da 320 MWh produce 74.000 Kg/h di CO2. Nell’esempio sopra riportato l’acqua nel bacino coperto potrebbe assorbire circa 16 gr/L di CO2 (8,07 cm3/L * 1,98 gr/cm3). La portata di acqua (indicativa) richiesta al bacino per contenere il CO2,almeno fino a quando si trova nel bacino coperto è di circa 4.625.000 L/h (74.000 *1000 / 16) = 1,285 m3/s (4.625/3600). Considerando che soltanto le acque di raffreddamento della centrale, da calcolo appresso riportato, sono quasi dieci volte superiori (40.432.236 L/h = 11,2 m3/s), abbiamo buone possibilità di solubilizzare il CO2 nell’acqua dell’ambiente coperto dalla serra. Ma se desideriamo che quest’acqua assorba stabilmente una parte del CO2 solubilizzato dobbiamo aumentarne l’alcalinità facendole assorbire anche dell’ossido di calcio. Non volendo superare il valore alcalino del corpo idrico ricevente (che nel caso fosse il mare è PH 8,2) supponiamo di somministrare mediamente 400 mg/L di calcio. Considerando che abbiamo 74.093 kg/h, di CO2 occorrono circa 94.098 kg/h di ossido di calcio (74.093* 56/44) che richiedono circa 240.000.000 L/h di acqua (94.098*106/400). Questo quantitativo di acqua può sembrare enorme solo perché gli impianti ambientali ed energetici attuali, sono stati progettati in modo incompleto, senza, depurare i fumi, alcalinizzare le acque, recuperare il calore emesso nell’ambiente. Infatti, oltre ai 40.432.236 L/h di acque calde scaricate, nel nostro caso, a circa 45 oC, abbiamo anche 810.538 kg/h di fumi a circa 77 oC, che non volendoli emettere nell’atmosfera per recuperare anche il CO2, ammettendo che gli altri componenti tossici e inquinanti siano stati efficientemente abbattuti nella C.T.E., che richiedono quantitativi di acqua quasi equivalenti, solo per il raffreddamento. Infatti, il calore da sottrarre ai fumi, volendoli abbassare di circa 50 oC è pari a 40.526.900 KJ/h (810.538 * 50). Questo calore in parte verrebbe trasferito all’acqua, attraverso uno scambiatore di calore posto all’uscita della ciminiera di recupero e depurazione supplementare dei fumi (C.R.D.), descritta a parte, e in parte assorbito dall’aria di miscelazione dei fumi, che servirebbe anche per abbassare la concentrazione di CO2 a un valore accettabile per le serre di coltivazione. Ma anche l’aria di miscelazione dovrà essere raffreddata dall’acqua per poterla trasferire alle serre di coltivazione. Inoltre, l’acqua calda che uscirà degli scambiatori del D.D.C.L. e C.R.D sarà utilizzata ancora, sufficientemente calda per il riscaldamento invernale e il post riscaldamento estivo, ritornando nel comune bacino S.C.M.C.V. dopo aver dissipato, utilmente, gran parte del calore. Caso per caso potranno essere calcolati i vari fabbisogni di acqua per assorbire il CO2 attraverso l’alcalinizzazione delle acque, il raffreddamento dei fumi e delle stesse acque, in funzione delle effettive condizioni di esercizio. Ma, in linea di massima, il fattore condizionante è soprattutto l’assorbimento del CO2. Questo è minimo da parte degli stagni S.B.F.S.C.V., mentre le serre di produzione S.M.P.C.V. non possono garantire un assorbimento costante nel tempo, esistendo periodi in cui l’assorbimento si azzera (semina, raccolto, lavorazione del terreno). Tocca alle acque garantire la costanza di quest’assorbimento, che è anche quello con il miglior effetto ambientale, consentendo il trasporto di carbonati verso i bacini acquatici e marini. E’ abbastanza realistico il fabbisogno di 240.000.000 L/h di acqua per la corretta gestione di un impianto di depurcogeproduzione da 320 MWh. Altrettanto realistica è la considerazione che pochissimi saranno gli impianti D.C.P.T.C.G di tali dimensioni essendo poche le località che hanno a disposizione queste portate. Scegliendo di dimensionare questa taglia media delle attuali centrali termoelettriche ho voluto dimostrare che è stato troppo semplice, in passato, lasciare le cose a metà, senza recuperare il calore nelle acque, nei fumi e il CO2, e senza alcalinizzare le acque che attraversano la centrale. Se lo avessero fatto, anche con altri sistemi, le dimensioni non sarebbero quelle attuali. Ma, come vedremo, il sistema utilizzato per raffreddare, recuperare risorse e produrre energia è modulare e richiede circa 0,2 ettari per MWh prodotto con altezza delle serre di circa 70 m divisa in 13 piani, di cui uno per i servizi, al piano terreno. Quindi, potremmo dire che, conservando tali caratteristiche, a una piccola centrale esistente di 16 MWh alimentata a gas o gasolio dovremmo aggiungere uno spazio adiacente di circa 3,2 ettari. Su questo non possiamo fare sconti. Qualche sconto lo possiamo fare sulla portata delle acque che attraversano l’impianto, realizzando un parziale rinnovo delle stesse fermo restando che quelle circolanti siano almeno 12.000.000 L/h [(240.000.000 / 320) * 16], per assicurare almeno il raffreddamento dei fumi. Pur non essendo a totale rinnovo. Vorrà dire che le acque che usciranno dall’impianto, invece di trasportare i 400 mg/l di calcio ipotizzati, ne trasporteranno di più avvicinandosi maggiormente al punto di saturazione. Il maggiore PH raggiunto dalle acque, potrà sempre essere diluito a valle dell’impianto, con altri affluenti del corso d’acqua. Non si possono affrontare tutti i problemi in questa fase ma soltanto fare dei ragionamenti impiantistici che non sono mai stati fatti. Se saremo costretti a sovra dosare per mancanza delle portate di acqua necessarie è meglio che le precipitazioni dei carbonati avvengano nei bacini dei D.C.P.T.C.G. piuttosto che nei fondali marini e lacustri. Almeno il calcio perduto lo ritroveremo nei fanghi e da questi nel compost prodotto dall’impianto, chiudendo e abbreviando ugualmente, utilmente, il ciclo del carbonio.
Da questo sommario dimensionamento possiamo farci un’idea delle immense quantità di acqua da coinvolgere, delle immense possibilità impiantistiche trascurate, fino ad ora, e delle immense potenzialità ambientali offerte dal connubio dei corpi idrici con le centrali termoelettriche e gli impianti termici, in genere. Fino ad ora abbiamo fatto una politica delle acque opposta a quella necessaria all’ambiente. Abbiamo completamente trascurato queste grandi opere senza recuperare le risorse, velocizzato il flusso delle acque senza dare loro il tempo di raffreddarsi, consumare i nutrienti e assorbire i carbonati. Ugualmente lo abbiamo fatto con i fumi verso l’atmosfera. Avevamo fretta di costruire la società dei consumi. I problemi ambientali ci facevano perdere soltanto tempo. Oggi che, almeno i paesi più sviluppati, sono saturi del consumo di automobili ed elettrodomestici, sarebbe ora che ci accorgessimo che l’automazione industriale può servire anche ad aumentate le capacità protettive dell’ambiente. La necessità di consumare e riciclare il carbonio, ha bisogno anche di queste tecnologie. Più grandi saranno le opere idrauliche, maggiore sarà la protezione dell’ambiente il fabbisogno di tecnologia. Ma queste opere per prima cosa dovranno assecondare il territorio. Le opere di presa alimenteranno le acque in parallelo al flusso principale i D.C.P.T.C.G, dotati di notevoli capacità di accumulo e riciclo, che le reinseriranno a valle, soltanto quando avranno le caratteristiche di depurazione e alcalinizzazione previste, nel frattempo il corso d’acqua principale potrà accogliere anche portate alluvionali, con minori pericoli, per le popolazioni, le infrastrutture, le coltivazioni.
18) I problemi delle siccità e le desertificazioni affrontati con la D.C.P.T.C.G.
Abbiamo iniziato il capitolo precedente parlando dei fumi e concluso parlando delle opere idrauliche. Quando si parla d’impianti globali è difficile mantenere dritto il timone della discussione. Tutto è collegato. Colgo l’occasione per parlare anche della siccità. L’estate che abbiamo appena trascorso che è stata una delle più secche a memoria d’uomo, dovrebbe bastare a far comprendere la necessità delle opere di cui parlo. Riporto di seguito uno stralcio di un articolo che riassume gli orientamenti dei nostri scienziati per affrontare questo problema (http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/12_agosto_24/siccita-sistemi-lotta):
“Disastroso, il bilancio dell’estate 2012 all’asciutto”. Un’Italia piegata in due dall’assenza di pioggia che ora deve fare i conti con un terzo del raccolto nazionale perduto e oltre un miliardo di euro di danni. Cifre insostenibili in cui siccità e caldo torrido hanno «bruciato» il 50% dei raccolti di soia, il 30% di mais e il 20% dei pomodori, costringendoci presto a comperare questi beni alimentari fuori dal mercato nazionale. In Italia, a proporre una soluzione definitiva l’Istituto nazionale di scenografia e di geofisica sperimentale (Ogs) di Trieste che, negli ultimi anni con l’aiuto della comunità europea, sta sperimentando con successo un sistema di «ricarica» idrica, ripristinando gli acquiferi profondi e programmando per tempo le riserve d’acqua. Un sistema, quello di immagazzinare l’acqua per i momenti difficili, che risale agli albori delle prime grandi civiltà e ora riscoperto nell’epoca della tecnologia. A condurre con profitto i primi esperimenti il team di ricerca di Daniel Nieto dell’Ogs di Trieste, occupato a studiare un metodo per riempire le falde acquifere vuote. Provando sistemi d’immagazzinamento nei serbatoi naturali e fronteggiando la formazione del cosiddetto «cuneo salino», ossia l’avanzamento dell’acqua salata verso l’entroterra. Fenomeno pericoloso quanto la siccità, che rende sterili i campi, impedendo la loro coltivazione. In atto, due grandi studi sul campo svolti negli ultimi tre anni che offrono già risultati incoraggianti.
CUNEO SALINO – Il primo esperimento, spiega Lieto, è stato fatto a Copparo, in provincia di Ferrara, dove abbiamo rilevato che, dal 1975 a oggi, il cuneo salino è penetrato nell’entroterra di 25 km. Il secondo, che tocca più da vicino il problema della siccità, si è svolto in Friuli Venezia Giulia e nelle zone pedemontane dove la mancanza di pioggia ha diminuito l’afflusso d’acqua dolce dei monti. L’autorità di bacino ha stimato che, in Friuli, ogni anno c’è una perdita di 75 milioni di metri cubi d’acqua per poca pioggia, cementificazione eccessiva e sovra sfruttamento dei terreni. Come soluzione per evitare situazioni limite, prosegue Nieto, occorre quindi pensare a strategie basate sull’accumulo preventivo delle risorse idriche e sulle caratteristiche del terreno. ( come vedremo al cap. 30 con la D.C.P.T.C.G possiamo combattere anche il cuneo salino)
SOLUZIONI – Ricaricare l’acqua consente di non trovarsi sempre in stato di calamità e per farlo esistono molte soluzioni. Dall’accumulo nelle falde, nelle dighe, nei pozzi, negli acquedotti fino ai pozzi vuoti. Oppure si possono sfruttare i bacini di raccolta, i serbatoi, le acque reflue industriali. La strategia di riserva, infatti, dipende dalla zona e dalla disponibilità di acqua del territorio, sfruttando anche a quella che resta inutilizzata. Ad esempio, quella dei consorzi di bonifica che d’inverno, invece di perdersi nel mare, potrebbe essere incanalata in risaie e pioppeti per essere raccolta e riutilizzata. Questi sistemi di ricarica sono fondamentali per una gestione razionalizzata delle risorse idriche e da anni sono applicate con successo in diverse parti del mondo. «Occorrono anni di studi», conclude Nieto, «per individuare le giuste modalità di ricarica»”.
Con tutto il rispetto per i nostri scienziati e le soluzioni prospettate, bisognerebbe, aggiungere alle loro soluzioni, abbastanza scontate, anche delle soluzioni nuove, meno statiche, che coinvolgono dinamicamente gli accumuli di acqua necessari per fronteggiare le emergenze.
Sono molte le ragioni per rallentare il deflusso delle acque, soprattutto, superficiali verso il mare e tutte condivisibili, ma sfuggono quelle per le quali si batte il sottoscritto. Le acque sono il più potente mezzo di difesa ambientale. Il rallentamento non deve creare altri problemi, come gli allagamenti, le alluvioni, senza vie di fuga per le acque, che possono avvenire con tutti gli invasi pieni. Dobbiamo realizzare, soprattutto, tantissime opere artificiali in parallelo al flusso naturale, affinché queste acque possano essere usate nell’industria, nell’agricoltura, nella produzione energetica e abbiano anche il tempo di depurare l’ambiente e assorbire carbonati, come sono chiamate a fare nella D.C.P.T.C.G.. Le acque conservate staticamente nei bacini, queste cose non possono farle. Sarebbe un peccato avere delle risorse ferme mentre potrebbero arricchirsi di carbonati per compensare l’acidificazione oceanica che avanza. Questo non può avvenire in oasi naturali, dove è impossibile controllare i processi. Meglio realizzare opere artificiali in ambienti coperti, possibilmente in verticale, sottratte al flusso naturale, per assorbire luce e CO2 dall’ambiente e aumentare le superfici di contatto e svolgere funzioni produttive e depurative. Le acque che assorbono il CO2 nell’ambiente coperto, per effetto della sola maggior pressione specifica (leggi di Dalton e Henry) lo rilasciano immediatamente nell’atmosfera se prima di lasciare l’ambiente coperto non è stato fatto nulla per fissarlo in modo stabile, soprattutto attraverso l’alcalinizzazione e la fotosintesi. Più acqua passerà attraverso gli impianti di depurcogeproduzione (che attraverso gli stagni verticali, sarebbero anche delle incredibili riserve idriche), maggiore sarà il risanamento ambientale globale, soprattutto per contrastare il “cuneo salino” dovuto principalmente all’acidificazione delle acque marine costiere e dell’ambiente. Nelle C.T.E. una parte di queste acque sono già coinvolte per il raffreddamento di turbine e condensatori di vapore. Queste, essendo calde, le utilizzeremmo per riscaldare grandi digestori anaerobici a umido; ne coinvolgeremmo altre per completare il raffreddamento delle stesse acque e dei fumi, neutralizzare il CO2,umidificare le biomasse che alimenteranno i digestori che produrranno il biogas che alimenterà le stesse centrali o le integrerà. Restituiremmo le acque ai fiumi e agli oceani in condizioni migliori di quando le abbiamo prelevate dal punto di vista biologico, soprattutto, alcalino, per contrastare l’acidificazione oceanica. Ci sarà un solo problema da risolvere: quello di trovare materiale da digerire per soddisfare l’immensa capacità digestiva che avremmo a disposizione. Il calore che sprechiamo negli impianti termici del mondo è sufficiente a digerire le biomasse necessarie alla produzione energetica mondiale. Se troviamo il modo di produrre biomasse energetiche a sufficienza, non avremo bisogno del petrolio e nemmeno delle energie, cosiddette pulite. Una parte di queste biomasse la produrremo sul posto affiancando agli S.B.F.S.C.V. le serre meccanizzate produttive coperte verticali S.M.P.C.V, che contribuirebbero a consumare anche il CO2, dal produttore al consumatore, in un processo che potrà essere completamente automatizzato, dalla semina, al raccolto, all’insilamento, digestione, gassificazione, compostaggio. Tutto quello che produrremo, in ogni caso andrà a incrementare, sotto forma di energia pulita, l’attuale produzione energetica che, comunque sarà, anche essa, ripulita dalla circolazione dei fumi nelle serre dei (S.C.M.C.V. + S.B.F.S.C.V. + S.M.P.C.V). Oggi, con le emissioni antropiche di CO2 e il calore non sfruttato, sovraccarichiamo il circuito termo alino terrestre e il debito pubblico. Anche dal punto di vista economico non possiamo permetterci gli sprechi ambientali ed energetici attuali. Abbiamo dei sistemi depurativi, che degenerano i liquami nelle fogne e cercano di recuperarli nei depuratori: l’acqua dovrebbe auto depurarsi, in larga parte nello stesso percorso fognario, invece viene degenerata dall’idrogeno solforato (v. la depurazione nelle case e nelle fogne del sottoscritto su www.Lexambiente.it.) Non possiamo permetterci il basso rendimento delle produzioni energetiche, che non possono rendere di più se non recuperano il calore e lo utilizzano per produrre nuova energia. Non possiamo permetterci i depuratori urbani attuali che inquinano l’aria assorbono immense quantità di energia, in gran parte imputabile alla degenerazione fognaria. Non possiamo permetterci i costi che paghiamo per fronteggiare i disastri ambientali causati dall’inquinamento acquatico e atmosferico trascurato dai sistemi depurativi attuali (inquinamento falde e acque superficiali, alluvioni, tifoni, surriscaldamento globale). Non possiamo permetterci i costi sanitari per malattie respiratorie e tumori dovuti all’inquinamento urbano. Non possiamo permetterci il consumo di acqua, né l’inquinamento che comporta l’agricoltura. Le attività ortofrutticole, che sono le più inquinanti per le falde acquifere potrebbero essere spostate fuori terra (C.T.E + S.C.M.C.V. + S.B.F.S.C.V. + S.M.P.C.V ) consumando meno acqua, ma soprattutto, senza far arrivare alle falde l’inquinamento acquatico da nitrati. In questo caso il calore e i CO2 prodotto dalle C.T.E. servirà a climatizzare le serre e per la cosiddetta concimazione carbonica. Se ci aggiungiamo un sistema di trasporto automatizzato sospeso (che potrebbe usare delle batterie intercambiabili, per risparmiare l’ettrificazione delle rotaie) che non compatta il terreno e cambiando le attrezzature montate potrà fare le operazioni di semina, lavorazione irrorazione, ecc. Bisognerebbe riflettere su quanto sarebbero diverse queste serre da quelle che conosciamo, anche nei paesi più avanzati, così come sarebbero diverse le aziende agricole, comprese le più moderne, che producono biomasse energetiche ed energia elettrica, ma non immaginano le potenzialità del sistema, che potrebbe portarle ad assumere un ruolo ancora più importante nella protezione ambientale, sostituendo anche i depuratori delle acque (C.T.E + S.C.M.C.V. + S.B.F.S.C.V. + S.M.P.C.V + D.D.C.L). Una parte della produzione energetica potrebbe essere trasferita fuori terra per contribuire a consumare il CO2 prodotto, che per quanto di origine biologica, se fosse sottratto all’ambiente, producendo alcalinità alle acque e biomasse sarebbe comunque un ottimo investimento andando a compensare, ad esempio, il CO2 emesso dai mezzi di trasporto che non può essere catturato con costi altrettanto sostenibili. Ma, come ho detto, mi farò dei nemici anche in questo settore emergente, dove i digestori sono progettati diversamente e si accontentano di emettere CO2 di origine biologica invece di fossile, di non recuperare il calore delle acque e dei fumi, di non utilizzare la concimazione carbonica, di non alcalinizzare le acque di scarico, di non recuperare e depurare le acque d’irrigazione, di non trasformare direttamente nell’impianto i fanghi in compost. I D.C.P.C.G sono gli unici impianti che potranno chiudere completamente il ciclo del carbonio, che ormai, è chiaro, non si conclude con l’ossidazione perfetta (CO2), ma con il continuo ricircolo nella materia organica e del carbonio, anche inorganico. Stiamo pagando molto care le soluzioni impiantistiche ambientali ed energetiche incomplete fino ad ora realizzate, che non si sono preoccupate dell’inquinamento globale e non hanno recuperato le risorse sprecate. Tutti, compresi i geologi, propongono soluzioni parziali. Ma per aumentare i rendimenti, moltiplicare l’efficienza, ridurre i costi dobbiamo realizzare soluzioni globali.
Se buona parte delle produzioni agricole le faremo fuori terra utilizzando il compostato prodotto nei D.D.C.L. e riciclando le acque, ridurremo lo sfruttamento delle risorse naturali. Non dimentichiamo il fenomeno della desertificazione che l’UNCOD (Unite Natio Conferente on Desertificati) definisce come “ il degrado del territorio nelle zone aride, semi aride e sub umide secche è attribuibile a varie cause fra le quali variazioni climatiche e le attività umane”. Tuttavia, semplificando al massimo il concetto al quale intendo arrivare, dico che esistono zone aride e fertili come i terreni vulcanici (ricchi di minerali). Pertanto, penso che la lotta alla desertificazione la potremmo fare mediante i sali minerali contenuti nei fanghi digeriti, disidratati e stabilizzati. I quali, conterrebbero esattamente gli stessi elementi minerali dai quali sono stati originati. I fanghi digeriti e stabilizzati potrebbero essere restituiti ai terreni senza spandimenti di liquami. Ricordiamo la famosa direttiva Nitrati n.91/676 del Consiglio CE, che ha fallito (approvata con lo scopo di ridurre e prevenire l’inquinamento delle acque e del suolo causato dai nitrati provenienti da fonti agricole. Questa Direttiva è stata recepita a livello nazionale con i Decreti Legislativi n. 75/2010 – 152/1999 e n. 152/2006 ed il Decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali del 7 aprile 2006, D.Lgs. 75/2010 ), nonostante i diversi anni passati dalla sua emanazione, essendo ancora poco rispettata specialmente a causa del numero elevato di allevamenti intensivi e di capi di bestiame rispetto alle superfici idonee allo smaltimento del refluo zootecnico prodotto. Anche il problema dei Nitrati potrà essere risolto soltanto con gli impianti D.C.P.T.C.G., ai quali le aziende agricole dovrebbero conferire i rifiuti solidi e liquidi zootecnici, ricevendone in cambio un digestato solido palabile stabilizzato che sostituirebbe i costosi concimi chimici e gli antigienici liquami organici, contenendo, come anzidetto, tutti gli elementi minerali nelle giuste proporzioni e con tutte le garanzie igieniche. Non dobbiamo dimenticare che alcune nazioni, già oggi, vietano lo spandimento dei liquami sui terreni agricoli. Il digestato liquido, che le stesse leggi comunitarie e italiane accomunano con i reflui zootecnici è pericoloso da gestire senza un controllo. Sfuggono alle proprie responsabilità legislatori, politici e tecnici pubblici che fingono di non sapere il commercio esistente tra imprenditori corrotti e le ecomafie che smaltiscono rifiuti tossici nei terreni agricoli con un prezziario illegale denunciato inutilmente da inchieste giornalistiche, che non si possono nemmeno definire coraggiose perché sono di dominio pubblico, senza che nessuno muova un dito. Tutto questo potrebbe essere evitato soltanto attraverso gli impianti D.C.P.T.C.G.. I soli che saranno in grado di decidere di volta in volta i tempi di digestione delle singole linee di depurcogeproduzione e delle singole postazioni per produrre biomasse energetiche depurando acqua e aria, fumi compresi. L’impianto dimensionato in questa pubblicazione per produrre 320 MWh consentirebbe di avere n. 20 linee di D.C.P.T.C.G. e n. 220 postazioni di produzione compost gestibili con tempi autonomi, facendo circolare circa 240.000.000 L/h di acqua, 1.800 T al giorno di compost.
19) L’abbreviazione del ciclo del carbonio
Si riporta di seguito una tabella riportante il contenuto salino tra le acque dolci, fluviali e sotterranee. Se raffrontiamo questi valori in mol/L con quelli di riferimento delle acque marine, ci accorgiamo che potremmo aumentare la concentrazione dei singoli elementi di migliaia di volte (soprattutto, se l’impianto di “depurcogenerazione coperta” si trova vicino al mare e l’acqua non deve essere impiegata per scopi potabili). Consumando il CO2 nelle S.C.M.C.V., guarda caso, potremmo fornire proprio quegli elementi di cui c’è maggiore bisogno (calcio e magnesio) per difendere, contemporaneamente, gli oceani dall’acidificazione e le falde acquifere costiere dall’infiltrazione di acqua salmastra. Se riusciremo a fare questa importantissima operazione di prevenzione ambientale che oggi non viene fatta in nessuna parte del mondo, lo dovremo proprio al CO2, che molti stanno condannando con processi sommari. Da condannare è soltanto l’uomo che non sa o non vuole usare le difese che la natura gli metterebbe disposizione con una corretta progettazione impiantistica.
Valori di riferimento in acqua marina in mol/L Na+ 0.469, K+ 0.0102, CA2+ 0.0103, Magnesio2+ 0.0528, Cl– 0.546.
Nelle acque marine e nei terreni abbiamo bisogno di carbonati, non dei Sali di sodio che dovremmo cercare dove smaltire se scampiamo il pericolo del C.C.S. e incorriamo in quello degli alberi artificiali. Dall’articolo “www.repubblica.it/ambiente/2011/08/28/news/foresteartificiali”: “Gli alberi artificiali, sono pannelli di dimensioni variabili, da uno a dieci metri quadri, che contengono idrossido di sodio. Quando questa sostanza entra in contatto con l’anidride carbonica, scatta una reazione chimica che cancella il gas serra e produce carbonato di sodio.” A prescindere dai dettagli mantenuti riservati per ragioni industriali, i prodotti di reazione (che non potranno essere altro che sali di sodio) pensano di seppellirli in grotte scavate a grandi profondità (come il C.C.S.). Come il C.C.S. non parteciperanno al corretto ciclo del carbonio che deve combattere l’acidificazione senza salinificare le falde acquifere dolci. Inoltre, “per gli stessi alberi sintetici, l’aspetto finanziario resta un punto interrogativo. Secondo l’Associazione degli ingegneri britannici, infatti, il costo di un singolo albero può essere ribassato fino a 20mila dollari. Mantenendo comunque assai pesante il conto per gli 8,7 miliardi di tonnellate di anidride carbonica emessi ogni anno, che foreste (vere) e fitoplancton marino riescono ad assorbire solo a metà. Secondo uno studio dell’università del Colorado pubblicato su Environmental Science and Policy, solo per cancellare l’anidride carbonica emessa dalle auto americane (il 6 per cento di tutte le emissioni di CO2 negli Usa) bisognerebbe spendere 48 miliardi di dollari in foreste sintetiche”. Anche in questo caso, nessuno ha ancora preso in considerazione i sistemi di depurazione e la depurcogeproduzione globale nelle città (cap. 32), che andrebbero in soccorso della natura, con minori costi e producendo energia pulita.
Per questo è necessario sostituire i sistemi di depurazione e produzione energetica attuali con i D.C.P.T.C.G. Tutti gli altri sistemi energetici e depurativi, anche i più moderni, sono incompleti, perché non chiudono il ciclo del carbonio e se lo chiudono, non lo fanno a favore dell’ambiente. In altri casi non interferiscono.
Per favorire l’energia solare, di parla poco dei problemi dello smaltimento dei pannelli solari che ci ritroveremo dopo 10 -15 anni. Tuttavia, non nego l’utilità del solare e l’eolico, ma lo zoccolo duro della produzione energetica dovrà essere costituito dalla depur-cogeproduzione globale. L’unico sistema che potrà consentire un effettivo risanamento ambientale, aumentando la depurazione delle acque e la portata di carbonati agli oceani; coinvolgendo grandi masse di acqua, dove avvengono grandi emissioni di CO2, soprattutto alla foce dei fiumi; dove maggiore è l’inquinamento e l’eutrofizzazione. Facendo entrare nei bacini coperti (S.C.M.C.V. – S.B.F.S.C.V.) acqua decantata, o superficiale, i fanghi che produrremo saranno dovuti esclusivamente alle rocce calcaree e alla fotosintesi, che produrrebbero il maggiore assorbimento di CO2 con minori costi rispetto ad altri sistemi, ma soprattutto, con immensi vantaggi ambientali come:
1. la produzione di biomasse per energia pulita;
2. il consumo di nutrienti nelle acque;
3. la difesa delle falde acquifere dolci costiere,
4.la produzione di energia dal F.O.R.S.U. e da colture energetiche acquatiche e terrestri, senza sobbarcarsi il costo del riscaldamento dei fanghi, che incide, almeno, del 40% sui costi dell’energia prodotta, nelle attuali cogenerazioni non abbinate alle C.T.E..
Nella D.C.P.T.C.G., oltre a produrre biomasse, produrremo anche alcalinità alle acque e il carbonato di calcio contenuto nei fanghi, trasferiti ancora freschi ai (D.D.C.L.) potrà essere utile alla fermentazione metanica. Anche questo rappresenta una grande economia di esercizio: la natura, da sola, non lo può fare queste economie. Il carbonato di calcio che precipita negli oceani si potrà recuperare tra moltissimi milioni di anni. Se saranno fortunati, i posteri lo troveranno nelle rocce calcaree. Ma, considerando che le rocce possono avere formazioni molto diverse, e che estrarre i carbonati artificialmente da atri tipi di rocce, più compatte e con meno percentuale di calcio è estremamente costoso, conviene senz’altro cercare di abbreviare il ciclo del carbonio negli impianti di D.C.P.T.C.G.. Non dobbiamo dimenticare che la digestione dei fanghi organici realizzabile nei digestori anaerobici lineari inseriti in questi impianti globali, rappresenta l’abbreviazione del ciclo del carbonio, evita la fossilizzazione e mineralizza subito altri componenti utili alla vita vegetale e animale, producendo, per giunta, nuova energia senza aggiungere emissioni di CO2, recuperato e riciclato nei bacini coperti. Inoltre, nei fanghi digeriti e stabilizzati possiamo trovare componenti di pronto impiego, soprattutto per l’agricoltura, in terra e fuori terra. senza subire i costi economici e ambientali per estrarli per altre vie industriali. Tutto il carbonio, organico e inorganico, che recupereremmo attraverso gli impianti di depurcogeproduzione globale verrà inserito direttamente nel ciclo naturale che, come si è detto, in larga parte, oggi, impiega milioni di anni per completarsi. La popolazione mondiale, che cresce, non può aspettare tanto.
Con l’abbinamento tra le centrali termiche e i depuratori coperti, non solo neutralizzeremmo il CO2 ma lo utilizzeremo come risorsa energetica e depurativa insuperabile e indispensabile. Il rendimento energetico, dagli attuali 35%, potrebbe andare oltre il 100%, perché non ci baseremmo soltanto sul potere calorifico inferiore del combustibile, ma diventerebbe la somma di più rendimenti. Il recupero delle risorse avverrebbe al di fuori della centrale termica, ma queste risorse rientrerebbero di nuovo nella centrale, aumentando, di fatto, il rendimento. Nel frattempo, nelle sezioni esterne, avverrebbero, funzioni depurative dell’acqua e dell’aria. Mi piacerebbe sapere chi ha stabilito che la ricchezza si crea soltanto producendo automobili, frigoriferi, lavatrici, televisori e telefonini, di cui siamo saturi. Una gestione capillare dell’ambiente creerebbe più opportunità di lavoro dell’industria, oggi in gran parte robotizzata ma buona parte degli investimenti necessari sarebbero compensati dai minori sprechi delle risorse: idriche, termiche energetiche, impiantistiche, di manutenzione e dalla riduzione dei disastri ambientali e sanitari. La depurazione globale e la depurcogerazione coperta globale di cui, attualmente, non c’è traccia, hanno le potenzialità per diventare l’attività più importante del mondo, non solo per la nobiltà dei compiti, ma anche per il numero di addetti ai lavori. Sono le sole attività che possono produrre vera ricchezza e vera occupazione, dall’edile, al tecnologico, chimico, turistico, agricolo. La lotta contro il riscaldamento globale, già da tempo avrebbe dovuto far comprendere che i progettisti dovevano cambiare il modo di concepire gli impianti, ma le resistenze degli imprenditori che hanno investito nei palliativi e nelle alchimie ambientali attuali sono troppe e hanno condizionato anche i progettisti pubblici, che fino ad ora non hanno saputo o voluto opporre un criterio di depurazione globale. Non c’è paragone tra costi e rendimenti con gli attuali sistemi. Tutto va a vantaggio del sistema globale: se si mette insieme la produzione energetica e la protezione ambientale non si spreca nulla. Non saranno concepibili discariche maleodoranti a cielo aperto perché le postazioni di digestione saranno tantissime e gestibili autonomamente, pur se inserite nello stesso impianto. I fumi non sarebbero dispersi nell’atmosfera ma uscirebbero dai fabbricati serra dopo complessi processi di purificazione. Anche lo spauracchio della condensa, liberata insieme ai fumi raffreddati nelle serre e nei collettori fognari dedicati al CO2 urbano, potrà essere usata per corrodere rocce calcaree e trasportare a costi sostenibili carbonati agli oceani. Ma non saranno concepibili nemmeno gli sversamenti di liquami non trattati, essendo superiore di centinaia di volte il carico idraulico trattabile
Non saranno concepibili le grandi emissioni di CO2 libere nell’atmosfera catturate dai F.S.V. nelle città, centrali e impianti termici. Qualsiasi bacino coperto, avrà la possibilità di abbattere una percentuale di CO2, composto da particelle più pesanti dell’aria, in un percorso virtuoso, prima della risalita nell’atmosfera. Bisognerebbe, piuttosto, chiedersi perché la depurazione globale nelle città non ha suscitato commenti, come d’altra parte, quella fluviale, lacustre, portuale, costiera, sebbene queste difese non esistano. Vorrei far comprendere che la tecnologia sviluppata in questi anni, pur cambiando il modo di proteggere l’ambiente, non andrebbe sprecata. Quella delle moderne centrali termiche che ha portato all’aumento dei rendimenti e alla depurazione e abbassamento della temperatura dei fumi verrebbe utilizzata integralmente (senza l’abbassamento della temperatura dei fumi, sarebbe più complicato abbattere le emissioni di CO2 nelle acque, come propongo); altrettanto quella sviluppata per la digestione anaerobica e la produzione di biogas; altrettanto quella che seleziona. separa e trasforma i rifiuti per renderli digeribili; altrettanto le macchine di depurazione che se non trovano impiego nei depuratori coperti, lo possono trovare in impianti di potabilizzazione.
20) L’energia semplicemente pulita è già superata
Per la tradizione italiana ed europea, più legata alle grandi opere di ingegneria, sarebbe più appropriata l’energia prodotta con la D.C.P.T.C.G, che quella prodotta con pannelli solari e pale eoliche, che presto saranno monopolizzate da paesi come la Cina per i costi di materie prime e di produzione. Ma c’è anche un’altra ragione, molto più valida: l’energia prodotta con la depurcogenerazione coperta globale sarà molto più sostenibile delle energie, semplicemente pulite. Dire semplicemente pulite può sembrare un paradosso, mentre è in corso una battaglia tra le associazioni ambientali e la regione Veneto che vuole trasformare a carbone la centrale di Porto Tolle. Di fronte alle possibilità offerte dalla depurcogenerazione coperta, sembra che le associazioni ambientali, che ancora non la conoscono, e si accontenterebbero della semplice trasformazione a metano della centrale, si stiano battendo per le briciole. Sbaglia la Regione e le associazioni ambientali: E’ tutto da rifare. Dopo si potrà usare anche il carbone, ottenendo risultati che le associazioni ambientali non hanno mai sperato, ma non ci hanno nemmeno creduto, perché le avevo già annunciate, sebbene in pubblicazioni meno articolate.
Se usassimo i criteri di valutazione delle agenzie di rating, nel Mondo, solo alla depur-cogeneproduzione coperta, che non esiste, toccherebbe la tripla “A”, essendo la soluzione più economica e l’unica in grado di produrre energia pulita, depurando e proteggendo l’ambiente dall’acidificazione, valorizzando scarti e rifiuti.
Ero e sono certo, che i depuratori sono diventati troppo complicati, per essere anche sostenibili. Avrebbero bisogno di essere anticipati da sistemi di prevenzione ambientale che ne agevolassero i compiti. Ma, trovate e proposte le soluzioni domestiche e fognarie, ho finalmente compreso che nessuno vuole migliorare il sistema, altrimenti le soluzioni proposte avrebbero suscitato almeno qualche commento. Questo non è racket, è incoscienza. Se si impara a mettere insieme gli impianti ci si accorge che alcuni vanno bene (centrali termiche) e altri non vanno bene (depuratori). Occorre modificare gli impianti che non possono partecipare alla protezione globale dell’ambiente. Tutto può far parte di un impianto di depur-cogenerazione coperta globale (D.C.P.T.C.G.), soprattutto il territorio. Un esempio evidente di sfruttamento del territorio sono le centrali idroelettriche, ma mentre queste hanno bisogno di grandi salti idraulici e vanno in crisi con la riduzione della portata estiva, alle centrali di depurcogenerazione coperta potrebbero bastare anche le sole acque di raffreddamento per creare nuova energia per tutto l’anno attraverso più fonti.
La depurcogenerazione coperta prenderà il meglio dai sistemi energetici e depurativi. Non l’avrei partorita se non fossi uscito dalla logica dei fanghi attivi vigente nei depuratori, né se avessi inseguito sistemi strettamente tecnologici o rigidamente naturali, come le fitodepurazioni e gli stagni biologici delle riserve naturali. Queste ultime soluzioni hanno capacità depurative centinaia di volte inferiori per unità di superficie se si considera la sovrapposizione dei piani e la maggiore pressione specifica del CO2, senza contare la possibilità di sommare nei bacini più trattamenti contemporanei (ossidazione, fotosintesi, scambio ionico) e la possibilità di estrarre i fanghi prodotti, che possono essere trasformati in risorse energetiche; mentre nei sistemi naturali, non potendo essere estratti, con il tempo, producono ulteriore inquinamento ed emissioni di CO2. Vorrei far comprendere agli ambientalisti e naturalisti, che auspicano sistemi naturali di depurazione (ma accettano le emissioni di CO2 e le dispersioni di calore delle centrali termiche), che i depuratori coperti e gli stagni biologici coperti, si basano sugli stessi principi conservandone i vantaggi ed eliminandone i difetti. Innanzitutto, i D.C.G.(depuratori coperti globali) e i F.S.V., impegnando le acque parallelamente ai percorsi fluviali, rappresenterebbero delle utilissime casse di espansione e terrebbero il livello nei fiumi basso. In caso di piene eccezionali, trattenendo le acque nei bacini (che verrebbero riciclate per depurarle e arricchirle di carbonati a spese del CO2 e per usarle in agricoltura), si potrebbero evitare i disastri delle alluvioni che siamo abituati a subire e a pagare in termini economici, ambientali e di vite umane. Nei D.C.G. e S.B.F.S.C.V.l’effetto serra provocato, artificialmente, sullo specchio d’acqua stagnante, riprodurrebbe, in piccolo, l’effetto “azolla” (cap. 13) dell’era “eocenica”, che consentì la riduzione del CO2 da3500 a 650 ppm (sia pure in 800.000 anni), imprigionandolo nelle precipitazioni non digerite (per mancanza di ossigeno), fossilizzate nei fondali. Questo processo che avviene anche nelle riserve, oasi naturali, nel lungo periodo porta alla morte dei fondali e dei bacini ( stagni, laghi e golfi), preceduti da una provvisoria ricchezza biologica. La natura non è in grado di estrarre da sola il materiale organico prodotto in eccesso. I D.C.G. e S.B.F.S.C.V., invece, intensificherebbero i processi consumando il CO2 e i nutrienti di origine agricola e organica, ma non consentirebbero, la fossilizzazione delle precipitazioni, liberando i fondali dai fanghi in eccesso. In questi impianti, non solo aumenteremo notevolmente la produttività di biomasse (come una serra terrestre, sfruttando la legge di Henry che incrementa la solubilità dei gas in acqua, in funzione della pressione specifica del gas stesso) ma li possiamo collegare direttamente con la produzione energetica senza trasporti su strada, grandi metanodotti, gassificatori, eccetera, fermo restando, che in funzione degli spazi e del territorio, possono dialogare con soluzioni diversificate con tutte le altre fonti energetiche, se non altro per recuperare il calore, il freddo, i fumi e pulire l’energia prodotta. I D.C.P.T.C.G. rappresentano una potenzialità immensa anche nella gestione dei rifiuti, senza passare per discariche inceneritori e compostaggi, trasformandoli in risorsa energetica pulita. In sostanza, produrremmo energia, come il nucleare, ma senza la stessa quantità di vapore, con costi inferiori e senza correre i rischi nucleari; utilizzando il CO2, non come gas serra ma come strumento gratuito per produrre alcalinità e biomasse, utili all’ambiente e alla produzione energetica sostenibile. Non ha più senso correre i rischi nucleari avendo a disposizione la depur-cogeproduzione globale, ma non ha senso nemmeno sprecare nelle acque e nell’aria il 65% delle risorse termiche nelle centrali termoelettriche e finanziare contemporaneamente, con tariffe agevolate, i moderni digestori anaerobici con cogenerazione, che sprecano quasi il 50% di energia per riscaldare i fanghi da digerire. Questo significa guardare lontano, progettare nell’interesse dei nostri discendenti. E’ giusto chiedersi perché fino ad ora nessuno ci ha pensato? E perché hanno taciuto sulla depurazione globale che qualcosa già lo avrebbe fatto e lasciava intravedere il resto?
21) Gli sprechi tecnici superano ampiamente quelli politici
Una delle risposte ipotizzabili alle domande lasciate in sospeso nel capitolo precedente è molto semplice: non sono state pensate soluzioni, piuttosto banali, a livello mondiale, perché non erano ancora stati inventati i banalissimi depuratori coperti e gli stagni biologici coperti, alle quali, fino ad ora, il mondo tecnologico non vuole credere perché non vuole ammettere che, oltre agli sprechi energetici e termici, esistono anche immensi sprechi tecnologici nelle macchine inventate per la depurazione locale, che nella depurazione globale, molto più potente, non servono. Nessuno si sente in colpa per le risorse sprecate mentre il mondo si surriscalda, l’economia va a rotoli, la disoccupazione dilaga. La protezione ambientale globale è l’unica soluzione per alleviare contemporaneamente questi tre grandi problemi creando una ricchezza sostenibile e rinnovabile in un ciclo infinito nel quale tutti i settori sarebbero coinvolti, nessuno escluso. A tutti i contribuenti fa rabbia la vista di tantissime opere pubbliche abbandonate, realizzate in base a previsioni di crescita sbagliate. Un esempio clamoroso di questi sprechi sono gli stadi e le strade realizzati in Grecia in occasione delle Olimpiadi del 2004, oggi completamente inutilizzati che hanno decretato il fallimento definitivo di quella nazione; la bolla delle costruzioni edili in Spagna ha avuto lo stesso effetto. Ma anche in Italia abbiamo tanti esempi di opere pubbliche lasciate a metà, capannoni industriali, ospedali abbandonati prima di esser messi in esercizio. L’unico settore che non è cresciuto a dovere è quello della protezione ambientale globale, che avrebbe avuto potenzialità occupazionali enormi senza sprecare nulla, anzi, recuperando risorse. Colpe imperdonabili di politici e tecnici senza idee.
Le città, oggi, sono molto diverse rispetto al passato, ma dal punto di vista ambientale, sono rimaste molto arretrate. Al massimo convogliano le acque di scarico fuori dal perimetro urbano. Ma lo fanno in malo modo se si pensa che una città come Roma ha una rete inestricabile di 3500 Km (fonte ACEA) e le acque per uscire devono percorrere degli enormi labirinti. Gli urbanisti si sono preoccupati poco del degrado fognario e della depurazione dell’aria, non hanno cercato e non hanno trovato vie di fuga ai gas esausti e inquinati. Il legislatore non pretende la completa depurazione delle acque scaricate dalle industrie. Gli agronomi sanno che gran parte dei concimi e pesticidi vengono trascinati dalle acque di dilavamento nei corpi idrici. Sanno pure che gli scassi profondi nelle lavorazioni del terreno consentono le infiltrazioni dei veleni nelle falde acquifere. Come possiamo difenderci da questo universale degrado dell’ambiente causato quotidianamente dall’uomo? Le risposte sono più di una ma tutte collegate al rispetto dei cicli naturali della natura che, invece, sono stati interrotti e alterati. Occorre trovare altre vie per ripristinarli, non troppo semplicistiche e non troppo tecnologiche. Ad esempio, il ritorno dei concimi organici nei campi potrebbe essere fatto, ma con le garanzie igieniche della digestione stabilizzazione e compostaggio e le lavorazioni fuori terra in verticale, con il riciclo delle acque di depurazione, che possono avvenire nei D.C.P.T.C.G.. Bisogna andare oltre la “depurazione globale” di cui sono stato il solo a parlare, che non è mai nata, e arrivare a un sistema più lungo e complesso che è, appunto, la “depurcogeproduzione globale” che arriverà a produrre cibo ed energia elettrica proteggendo l’ambiente. Ma, come la depurazione globale, non potrà essere completata in un singolo impianto ma nel grande impianto rappresentato dalla zona in cui viviamo. I depuratori, per come sono concepiti oggi possono trattare pochissima acqua, e questa è danneggiata più dalle fogne che dal carico organico.
La decomposizione della materia organica è preceduta da una fase stazionaria durante la quale i microrganismi secernano gli enzimi che successivamente combinandosi con il substrato nutritizio catalizzano le reazioni di demolizione. Durante questa fase non c’è l’aumento della popolazione batterica. E’ necessario approfittare di questa fase per separare fisicamente le sostanze da demolire da quelle che non necessitano di essere decomposte, ma il sistema fognario non lo consente, anzi coinvolge nella decomposizione anche liquami di altra provenienza, piovani e industriali. (I moduli depurativi verticali, proposti nella depurazione globale urbana, vicinissimi agli scarichi, anticipando il processo, renderebbero possibile tale separazione senza fermarsi, come fanno attualmente le vecchie fosse Imhoff, alla sedimentazione, ma proseguendo fino al completamento delle fasi essenziali del processo depurativo con l’ossi-nitrificazione-fotosintesi (onf) che ci consente di recuperare e neutralizzare anche i gas prodotti nella digestione senza emettere cattivi odori e gas nell’atmosfera). Sembra che nessuno sappia che i corpi idrici che gradirebbero un’acqua, oltre che depurata, anche con maggiori proprietà alcaline da trasportare ai mari. Sembra che tutti sappiano che l’atmosfera gradirebbe un’aria priva di polveri sottili, fuliggini, smog, gas tossici, e con la giusta percentuale di CO2, ma nessuno si impegna veramente ad abbattere queste emissioni alla fonte. Nessuno si è accorto che bisogna fare un salto di quantità nella protezione ambientale e per farlo bisogna semplificare gli impianti, sfruttare meglio le risorse naturali, come piccoli salti idraulici dei corsi d’acqua, la fotosintesi, le rocce calcaree, il calore disperso dalle centrali termoelettriche. Siamo stati anche fortunati, lo tsunami giapponese e la crisi economica ci hanno salvato da investimenti sicuri nel nucleare e nel ponte sullo stretto di Messina. Ma, certamente, incombono altri investimenti in opere che creeranno altri disastri ambientali ed economici: inceneritori, discariche, depuratori impianti di cogenerazione, centrali termiche (come la trasformazione a carbone di Porto Tolle) che continueranno a disperdere calore e CO2 e risorse economiche. Questi potrebbero essere, a breve, investimenti superati. Prima di spendere le scarse risorse che abbiamo qualcuno dimostri che ho torto. Lo può fare chiunque, pubblico o privato, ma soprattutto chi ritiene di avere il mandato per gestire queste risorse fondamentali per il Paese. E’ troppo semplice estrarre il petrolio o il metano dal sottosuolo, bruciarlo nelle C.T.E. emettere le emissioni nell’atmosfera attraverso le ciminiere (che nessuno ha pensato di modernizzare), riscaldare le acque, fluviali, lacustri, marine; non depurare, non alcalinizzare, non recuperare le risorse sprecate. Contemporaneamente c’è personale in esubero, non saturato, negli uffici ed enti inutili, enormi quantità di persone in cassa integrazione e disoccupate. Come tecnico che si è occupato per tutta la vita di impianti industriali e ambientali in ruoli modesti ed esecutivi, mi sento preso in giro, dai progettisti di livello superiore che progettano gli impianti ambientali ed energetici. Mi sento preso in giro anche dai congressisti dei vertici internazionali che non trovano le soluzioni contro il riscaldamento globale. Se, come impiantista, non dicessi che questo sistema è sbagliato impiantisticamente, non farei il mio dovere. L’ho già detto quando ho inventato la depurazione fognaria e i depuratori coperti che non esprimevano tutte le potenzialità. Oggi la competitività non esiste soltanto tra le aziende, che sono le prime a chiudere i battenti se non competitive. Esiste anche tra le nazioni. Non dobbiamo lasciarci ingannare da quello che apparentemente funziona, potremmo avere delle spiacevoli sorprese quando ci porteranno il conto da pagare. Incominciamo ad ammettere che fino a ieri abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, consumando anche le risorse di nostri figli e dei paesi emergenti che oggi reclamano i loro diritti di accesso alle risorse e prepariamoci a competere con questi paesi senza alzare barriere protettive che sarebbero costrette, miseramente, a cadere. Diventerà sempre più difficile governare un Paese, essendo, oggettivamente, difficile dividere la povertà se non si creano nuove attività che producono ricchezza. Questo sembra che lo abbiano capito tutti tranne i politici e i burocrati italiani e del sud Europa. Non avendo idee e progetti i governi si preoccupano di non spaventare i ricchi che ancora non hanno abbandonato la nave. Sperano che questi creino lavoro, facendo sconti sull’ambiente e tassando sempre di più i poveri. Ma il sistema non può reggere e stanno venendo fuori contemporaneamente problemi ambientali, occupazionali, sociali. Ai miei tempi esisteva un leale confronto tra padroni e lavoratori. Oggi, il capitale si sposta alla velocità della luce da un estremo all’altro del pianeta e sfugge alle proprie responsabilità sociali. Personalmente, sono contrario ai grandi accumuli di capitale, e alla globalizzazione del denaro, ma bisogna prendere atto di questa realtà. Oggi, esistono grandi capitali vaganti che speculano sulla manodopera a basso costo, sulle scarse tutele ambientali, ecc. Ma esistono anche capitali che pretendono delle garanzie e investono sul “Sistema Paese”. La Germania non paga interessi e attira molti più capitali dell’Italia che si dissangua per pagarli. Chi, per paura o convinzione morale, non è attirato dalla speculazione spregiudicata sceglie il “Sistema Paese”. Nessuno vuole perdere soldi come e successo in Argentina, come succederà in Grecia se sarà costretta a lasciare l’Europa. L’Italia, come la Grecia, la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda, non è in condizione di attirare i capitali speculativi né quelli che richiedono garanzie. Non ha scelta, deve migliorare il “Sistema Paese”. Il settore trainante delle economie, diventa sempre di più quello pubblico che deve attirare anche gli investimenti privati. Purtroppo, il settore pubblico italiano è la palla al piede della nostra economia e può essere rinnovato soltanto mandando a casa la classe politica e tecnica che lo ha portato in questo stato e con una profonda moralizzazione della classe dirigente. Prima che ritornino gli investitori stranieri dobbiamo rivalutare il nostro capitale sociale, costituito, dall’ambiente in cui viviamo e dove vorremmo che gli altri venissero a villeggiare. Se non si abbassa il costo dell’energia e non si assicurano coste balneabili perdiamo il settore turistico e quel poco che resta dell’agricoltura e dell’industria. E’ inutile mettere le bandierine blu della balneabilità per spirito patriottico e per non spaventare i turisti, le alghe galleggianti nelle quali ci immergiamo in estate non sono un’illusione ottica, le dobbiamo spostare per passare mentre cerchiamo dove ci possiamo bagnare. Può darsi che queste alghe abbiano anche delle proprietà terapeutiche, in tal caso bisognerà accertarlo ed eventualmente pubblicizzarle. Ma non è onesto ignorarle. Incominciamo a mettere da parte i titoli nobiliari, accademici, burocratici e valutiamo le idee, a partire dalla “Depurcogeproduzione globale” che creerà più ricchezza di qualsiasi fabbrica automobilistica o di elettrodomestici in termini reali, occupazionali e di capitale, ma, soprattutto, garantendo rendimenti esponenziali nella protezione ambientale. Sarebbe soltanto il primo passo, per insegnare al mondo come ci si prepara all’aumento della popolazione mondiale tutelando l’ambiente e creando immense opportunità di lavoro. Sappiamo che il vecchio “posto” fisso che ha assicurato tranquillità a molte generazioni sta scomparendo, ma la tutela dell’ambiente, la produzione energetica ed alimentare collegate in un sistema globale, potrebbero ripristinare il “posto” più che in passato. Oltre tutto, sarebbe dignitoso e gratificante per tutti partecipare direttamente al ciclo infinito della vita, attraverso la creazione delle infrastrutture, la gestione dei sistemi che assicureranno la neutralizzazione delle attività antropiche che alterano gli equilibri della natura. Ma non facciamoci illusioni, se vogliamo occupazione benessere e protezione ambientale, occorrono grandi opere dell’uomo. Queste non possono essere invisibili se devono proteggere anche gli oceani. Opere più grandi delle grandi fabbriche, che agiscano in parallelo alla natura, senza impoverirla, prelevando dalla stessa il minimo indispensabile e restituendolo alla natura, sotto forme diverse, ma in condizioni da essere di nuovo utile all’ambiente, giacche nulla si distrugge e tutto si trasforma. Il problema da risolvere e proprio il processo di trasformazione che deve essere completo e sostenibile, senza creare scarti di qualsiasi natura che diminuiscono i rendimenti e danneggiano l’ambiente. Abbiamo sbagliato a creare la società dei consumi, dovevamo creare la società della trasformazione. Ci saremmo accorti che avremmo tutelato meglio l’ambiente e creata molta più occupazione. I sistemi per trasformare la “società dei consumi” nella “società della trasformazione” esistono, ma sono sparsi variamente in tutti i settori delle attività umane, bisogna metterli insieme nel modo corretto. Se inizieremo subito il cosiddetto “posto fisso” ritornerà per molti e per tutte le generazioni future. Non ci sono soldi? A maggior ragione quei pochi che abbiamo investiamoli dove possano avere un rendimento esponenziale, che può essere assicurato solo dalla lotta all’acidificazione oceanica, dalla produzione energetica, alimentare e dalla protezione ambientale in un ciclo infinito dal quale, oggi, siamo fuori come degli anticorpi indesiderati. Si può produrre cibo energia, alcalinità oceanica e tanta occupazione consumando il CO2. Qualcuno mi spieghi perché l’I.P.C.C., l’ENI, ENEL, ENEA, CNR e tanti enti pubblici e privati nel mondo stanno facendo di tutto per interrarlo addebitandoci i costi. Non solo in Italia, ma il Mondo intero è governato dagli economisti. Chi meglio di loro può comprendere che non si può sprecare il 60% di risorse termiche, e non si possono spendere 30 miliardi di dollari nel mondo solo per studiare dei prototipi di interramento del CO2 quando questo gas potrebbe esser usato come una preziosa risorsa ambientale? Quale banca mondiale concede prestiti con rendimenti esponenziali? Ogni euro speso contro l’acidificazione oceanica avrebbe un rendimento esponenziale andando a contrastare la curva di acidificazione che avanza con una legge logaritmica in base 10. Comprendere queste cose, che stranamente, generazioni di tecnici super specializzati nell’intero Pianeta non hanno compreso, forse è più facile per gli economisti. Nel settore ambientale, di fronte a proposte molto forti e in contrasto con i sistemi attuali, come la depurazione domestica, fognaria, coperta, globale, gli operatori del settore, non solo pubblici, hanno rinunciato al diritto di replicare. Hanno preferito ignorare queste proposte provocatorie. Se mi fossi fermato sarebbero morte da sole. Nessuno avrebbe saputo chi ha ragione. Visto che i sistemi di protezione ambientali attuali non possono crescere oltre il punto in cui sono arrivati, che cosa facciamo? Rinunciamo alla crescita, oppure cerchiamo di aprire una breccia nel muro di gomma dei tecnici della protezione ambientale? Per fortuna sono arrivate nuove idee che rinforzano le precedenti. Posso ancora sperare di aver ragione. Sembra che l’uomo nella sua breve esistenza debba occuparsi principalmente della produttività industriale, delle speculazioni finanziarie e nell’edilizia, mentre manca l’essenziale nelle opere a tutela delle risorse per i propri figli. Tutto questo avviene, in buona parte per la mancanza di idee della classe dirigente e di soluzioni tecniche adeguate. Non devono essere loro ad avere le idee ma soltanto essere in grado di recepirle. Non si va da nessuna parte se non si ha il coraggio di cambiare. Tra i cambiamenti da fare dovranno avere priorità i depuratori, discariche, inceneritori. Pochissimi di questi impianti rientrano nelle necessità di una protezione ambientale globale. Si potranno salvare soltanto le centrali termoelettriche che per combinazione, non per programmazione, saranno della taglia giusta e si troveranno al posto giusto. Anche le energie rinnovabili, eoliche e solari usciranno ridimensionate dalla nascita della D.C.P.T.C.G. Essendo più costose e discontinue, le nuove energie saranno indispensabili in alcune applicazioni, ma non salveranno il Mondo. La crisi economica, ha ridotto il numero di presenze, ma c’è stato ugualmente grande fermento al recente vertice 2012 del World Future Energy Summit di Abu Dhabi (137 paesi, 600 aziende). Comunque queste energie saranno monopolizzate da chi detiene le materie prime, in particolare dalla Cina, al momento, la sola che riuscirà ad abbassarne i costi. Ma anche con i bassi costi cinesi, le nuove energie, non potranno mai competere con la depurcogenerazione globale, sul piano economico e dell’utilità ambientale.
Sono un grande bluff politico e tecnico i sistemi di teleriscaldamento delle città dal punto di vista economico. I costi della distribuzione e della regolazione del calore gratuito superano ampiamente quelli della produzione energetica locale, realizzata con moderne caldaie a condensazione dei fumi, il cui rendimento termico è arrivato a valori superiori al potere calorifero inferiore del combustibile. Inoltre, il calore nelle città serve soltanto in alcuni periodi dell’anno. Molto più semplice, economico e utilizzabile per tutto l’anno, sarebbe il recupero del calore nei grandi e semplici fasci tubieri dei digestori lineari nei D.C.P.T.C.G. di cui le stesse C.T.E. farebbero parte. Questi sarebbero, in grado di raffreddare anche i fumi, neutralizzare il CO2 e i residui di CO, SOx, NOx, alcalinizzando le stesse acque di raffreddamento e in sezioni diverse, immense portate di altre acque, derivate dai corsi d’acqua, corpi idrici e zone costiere, i liquami urbani e il digestato liquido prodotto dai digestori; nonché disidratando e stabilizzando i fanghi.
Non è necessario essere degli scienziati per comprendere che con questo sistema, avremmo una capacità depurativa e digestiva enorme che rivoluzionerebbe anche la gestione dei rifiuti solidi, urbani, biomasse agricole e acquatiche, riducendone i costi del 100%. In un prossimo futuro, non avrà senso avere l’attuale filiera dei rifiuti che ha ridicolizzato la città di Napoli nel mondo e mette in contrasto i comuni, mal disposti a ospitare impianti inefficienti, inquinanti e maleodoranti, che creano pochissima occupazione, come le discariche e gli inceneritori. Nulla a che vedere con i D.C.P.T.C.G. che produrrebbero energia depurando l’acqua e l’aria creando molti posti di lavoro, diretti e indotti. Questi impianti che non esistono in nessuna parte del mondo, sarebbero ben felici di pagare a costi accettabili la frazione organica dei rifiuti urbani (F.O.R.S.U.) per trasformarli, senza accumularli, in energia veramente pulita, che nessuno potrebbe mettere in dubbio. Quando parlo di energia pulita, mi riferisco anche all’aria emessa dagli stessi D.C.P.T.C.G. che non potrebbero produrre nemmeno cattivi odori ed esalazioni, avvenendo tutto il processo al coperto e senza accumuli di sostanze organiche, in attesa di essere caricate negli impianti, data la grandissima quantità di postazioni di carico disponibili nei digestori anaerobici lineari. Un altro processo che, in genere, produce cattivi odori negli impianti è la disidratazione dei fanghi, che richiede un accumulo degli stessi e il trattamento discontinuo. Nei D.D.C.L. il trattamento dei fanghi, avverrebbe aerobicamente e l’aria non sarebbe espulsa direttamente nell’atmosfera ma passerebbe attraverso le serre calcaree, dove il trattamento di alcalinizzazione dei fumi e dell’acqua comporterebbe anche l’abbattimento degli odori. Ma quello che conta per l’economia sarà la grande potenzialità di recupero energetico consentito dal sistema, che potrebbe abbattere i costi dell’energia termoelettrica mondiale, rendendola anche ecocompatibile.
Osservando la seguente tabella EPRI (Electic Power Research Institute), estratta dall’articolo disponibile in rete: “http://www.enerblog.it/confronto-dei-costi-al-2015-delle-principali-tecnologie-elettriche.html” possiamo dedurre, facilmente, che recuperando il calore disperso e inserendo le C.T.E. in un sistema D.C.P.T.C.G. che utilizzano una tecnologia più economica di quella delle C.T.E., automaticamente, diminuirà il costo capitale e il costo dell’energia, pur producendo energia pulita al posto di quella inquinante attuale.
In questa tabella si possono notare i rendimenti ma anche i costi capitali e i costi di produzione energetici delle altre fonti energetiche. Come specifica la tabella, questi costi, per le centrali termoelettriche, aumenteranno notevolmente con l’applicazione del C.C.S. mentre diminuiranno con il sistema D.C.P.T.C.G. si può notare che già nella situazione attuale le differenze dei costi, in particolare, tra le energie solari e il ciclo combinato a gas, sono notevoli (da 4 a 9 volte inferiori). Queste differenze potrebbero più che raddoppiare con il recupero termico consentito dalla depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale, se si considerano anche gli investimenti risparmiati nella filiera dei rifiuti. I nuovi costi, capitale ed energetici per kw prodotti, pur dimezzati, includerebbero anche la protezione ambientale contro il riscaldamento globale, che oggi non esiste. I sistemi di depurazione, le discariche, i compostaggi, gli inceneritori attuali, sono soltanto dei palliativi non sostenibili che gravano sulle comunità mondiali. Non a caso, oggi parliamo, contemporaneamente, di crisi economica globale e di riscaldamento globale, mentre le multinazionali fanno profitti, senza risolvere nessuno dei due problemi. I sistemi di depurazione globali sui quali lavoro da anni non costano alla comunità un centesimo di euro. In buona parte non necessitano nemmeno di essere sperimentati per la semplicità con la quale sono stati concepiti. Il recupero termico gratuito quadruplicherebbe le potenzialità dei digestori a freddo e la digestione diventerebbe, di gran lunga, il sistema di smaltimento più efficiente e pulito dei rifiuti organici; gli altri rifiuti, sono tutti riciclabili dalle industrie. Ci sarebbero immensi vantaggi economici a mettere insieme, nello stesso impianto, i cicli di recupero delle acque, dei rifiuti e la produzione energetica. I combustibili fossili, resi puliti dall’abbinamento delle C.T.E. con i F.S.V., verrebbero integrati con il biogas prodotto dai D.D.C.L.. La produzione vegetale di piante acquatiche, sarebbe incrementata con il contributo del CO2 e dell’inquinamento acquatico che attraversa il depuratore abbinato, portando, di fatto, il rendimento del combustibile fossile originario molto al di sopra del 100%. Le stesse emissioni della produzione energetica, originaria e integrativa, verrebbero recuperate, in gran parte, nell’impianto senza espellerle nell’atmosfera. Questo significa, per esempio, che se oggi avessimo una centrale termoelettrica da 320 MW, con ciclo combinato, alimentata a metano, che consuma 42.400 kg/h (64.688 m3/h) di combustibile e produce 74.000 kg/h di CO2, affiancandole un depuratore coperto dotato di digestore, secondo la grandezza e l’efficienza dello stesso, potremmo ridurre il consumo di metano fino ad azzerarlo, sostituendolo con il biogas; e potremmo azzerare quasi completamente le emissioni di CO2, non solo prodotte dall’impianto termico, ma anche le altre, che avrebbero prodotto gli impianti di trattamento dei rifiuti, eliminati dal territorio (depuratori, discariche, compostaggi).
Il problema sottovalutato del calore sprecato.
Non ho trovato dati per l’Italia, ma cito i dati della Francia, estratti da una pubblicazione disponibile in rete, dove si afferma che il raffreddamento delle centrali elettriche nel 2006 ha assorbito 19,1 miliardi di m3 d’acqua dolce, cioè il 57% dei prelievi totali d’acqua del Paese; il 93%, di quest’acqua, viene restituita ai fiumi. Prima di parlare dell’Italia, facciamo delle brevi considerazioni su questi pochi dati francesi. Anche se in Francia usano il nucleare, le considerazioni termiche sono valide anche per le centrali termoelettriche. Se stabiliamo un salto termico di 10 oC, con il quale queste acque sono restituite, la possiamo ritenere un’immensa fonte energetica gratuita (con costi che gli utenti hanno già pagato), che solo in Francia è di circa 0,206 miliardi di MW termici annui [ (19.1* 0.93*10*1000) / fatt. conv. kcal-MW860.000]. Nel Mondo, se rapportassimo questo valore alla popolazione attuale, di circa 7 miliardi, che è circa cento volte la popolazione francese, potremmo parlare di una potenzialità dispersa di circa 20,6 miliardi di MW termici. Se consideriamo un costo medio delle produzioni energetiche termoelettriche di 80 $ MWh, e valutiamo il MWh termico circa il 40 % di quello elettrico, avremmo un valore di circa 660 miliardi di dollari all’anno (20,6 * 0.4* 80) A questo valore dovremmo aggiungere anche il costo capitale incidente su ogni MW di potenza che avremmo dovuto spendere per produrre questo calore (fornito gratis), che, varrebbe circa il 40% del costo della centrale termoelettrica, che nella versione più economica (ciclo combinato preso dalla tabella MEPRI): varrebbe $ 880.000/MW, pari a 1326 miliardi di $/MW [(880.000 * 0.4 * 660 miliardi / l’ammortamento in 20 anni (365*24*20)]. Facendo la somma del valore economico delle dispersioni arriveremmo a 1986 miliardi di $/ anno (1326 + 660). Abbiamo considerato soltanto il calore disperso nelle acque, senza considerare quello disperso nei fumi. E non abbiamo considerato il prossimo aumento della popolazione mondiale di oltre 2 miliardi di persone. Ma altre immense risorse, che è impossibile quantificare, sono sprecate, attraverso le ciminiere industriali e delle stesse centrali termiche che più del semplice calore danneggiano l’ambiente. Di fronte a questi numeri, pari al debito pubblico italiano, solo la depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale potrebbe renderne possibile il recupero di queste immense risorse. Ma sarebbe troppo facile recuperare questa enorme risorsa solo per abbassare il prezzo dell’energia e pulirla dal CO2, come ho anticipato in precedenti pubblicazioni, alle quali nessuno ha creduto. Dovrebbe essere, invece, l’occasione per investire questa immensa risorsa, direttamente in nuovi impianti, che oltre a pulire l’energia, contribuiscano a produrne altra con maggiori rendimenti, depurando l’aria e le acque dall’inquinamento. Questi nuovi impianti sostituiranno non solo gli impianti di produzione dell’energia, ma anche i depuratori, gran parte delle discariche, inceneritori, compostaggi, cogeneratori che non sono in grado di proteggere l’ambiente dall’inquinamento globale. Trarranno risorse da tutto ciò che oggi è inquinamento, da parte dell’uomo e della natura.
Queste sono le ragioni per le quali ritengo i tecnici più pericolosi dei politici per la crescita e l’economia, soprattutto se pretendono di vivere di rendita sulle soluzioni del passato, come sta avvenendo nel settore depurativo. Nemmeno io mi aspettavo che cercando di migliorare questo settore che ben conosco, sarei sfociato nella pulizia dell’energia, nel recupero del calore sprecato e in una protezione dell’ambiente esponenziale rispetto a quella attuale. Non mi aspettavo nemmeno di raccogliere di nuovo silenzi dalle autorità ambientali e soprattutto, dall’ENI, cui le ho anticipate, prima di renderle pubbliche.
22) I grandi depuratori completi di cogenerazione sono superati.
I fanghi civili, hanno una bassa produttività di biogas ma, oggi questa è ridotta ulteriormente, avendo già emesso grandi quantità di CO2 e idrogeno solforato nei lunghi percorsi fognari e attraverso le vasche a cielo aperto di equalizzazione, ossidazione, ispessimento, ecc., danneggiando l’ambiente e l’economia. Se avessimo conservato la freschezza dei liquami con la depurazione domestica e fognaria (che non comporterebbero alcun consumo energetico, ma solo risparmi idrici e manutentivi), avremmo potuto utilizzare i nutrienti contenuti nei liquami per produrre biomasse acquatiche negli S.C.M.C.V. o negli S.B.F.S.C.V., senza consumi energetici per ossidare liquami settici, come facciamo ora. Avremmo trasferito i fanghi freschi prodotti da queste biomasse ai digestori anaerobici, dove sarebbero stati mescolati alla frazione organica dei rifiuti solidi urbani agricoli e agro industriali, che aumenterebbero la resa. I digestori, grazie al calore fornito, gratuitamente, dalle centrali termoelettriche, potrebbero garantire le prestazioni con i tempi ridotti di una digestione mesofila, restituendo alle centrali il biogas prodotto. Le centrali, per ringraziare, ricambierebbero il favore, fornendo ai bacini il CO2, il quale, essendo un ottimo nutriente, contribuirebbe ad aumentare la produzione di biomasse vegetali, e quindi anche alla produzione di nuova energia. Anche il digestato liquido rilasciato come acqua di scolo dai fanghi digeriti disidratati è un ottimo nutriente per le biomasse acquatiche che possono essere coltivate in un ciclo chiuso negli S.B.F.S.C.V. inseriti nel sistema D.C.P.T.C.G. senza inquinare le altre acque. Attualmente, i grandi impianti di depurazione dotati di cogenerazione, sprecano circa il 75% dell’energia termica per riscaldare i fanghi, resta ben poco per la produzione energetica. Solo gli impianti con oltre 100.000 A.E. possono permettersi la cogenerazione. Ma il gioco non vale la candela, se si considera la bassa produttività di biogas dei fanghi ( per le ragioni suddette) e gli enormi costi di tutto il sistema. Tanto è vero che in alcuni impianti si sta incominciando a portare ai digestori altro materiale di scarto digeribile. Fino a quando si continueranno a mettere delle pezze a un sistema che non funziona? Se fino a ieri questa soluzione, si poteva giustificare, per il fatto che evita l’emissione in atmosfera di metano incombusto, 22 volte più dannoso del CO2, oggi il sistema non è più giustificabile. Nei F.S.V. distribuiti nelle città e vicini alle centrali termiche possiamo evitare le emissioni nocive e il CO2 e depurare le acque nelle città stesse.
Benché, l’energia fossile sia già la più economica, il rendimento delle centrali termoelettriche non supera il 40% ( v. tabella EPRI, cap.21). Solo recentemente con i cicli combinati e combustibili leggeri si arriva a circa il 55%. Se proviamo ad attribuire un valore alle innovazioni che consentirebbe la depurcogeproduzione coperta (molto variabili in funzione della qualità delle matrici energetiche utilizzate), sommando le varie aliquote al rendimento originale della centrale termica, supposto del 35%, potremmo, non solo eliminare le emissioni di CO2 che le penalizzano rispetto alle nuove energie, ma arrivare a rendimenti energetici superiori all’ 80%. Se attribuiamo al recupero del calore sprecato un aumento della produzione energetica del 30%; alla produzione di biomasse acquatiche negli S.B.F.S.C.V. un equivalente del 0,5%; alla maggiore qualità del biogas prodotto (impoverito del CO2) un valore del 10%. La somma delle varie aliquote sommate al rendimento originale del 40% arriverebbe appunto all’ 80%. Ma potrebbe anche andare molto oltre, se la centrale fosse moderna, con ciclo combinato e se si considerano gli investimenti non necessari, per realizzare parte della filiera attuale dei rifiuti solidi e dei depuratori, sostituiti egregiamente dalla depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale. L’energia termoelettrica prodotta, si potrà avvicinare a quella solare o eolica per quantità di emissioni ma sarà ancora più conveniente economicamente. Questa fonte avrà un valore ancora superiore, perché sottrarrà all’ambiente delle sostanze inquinanti che avrebbero degradato il territorio, le acque e l’atmosfera (rifiuti, CO2, fosforo azoto, metano, SOx, NOx). Nemmeno l’idrogeno quando diventerà una realtà potrà fare tanto per l’ambiente. L’idrogeno sarà utilissimo, soprattutto, per alimentare i mezzi di trasporto, e con le altre fonti, se competitive, contribuire alla produzione dell’energia che non riusciremo a produrre con la depurcogenerazione. Stando alle tecnologie e alle risorse attuali, se abbineremo una centrale a carbone, un depuratore coperto e una centrale a biogas, anche la centrale a carbone può diventare sostenibile. Il sistema è molto semplice: i fumi delle due centrali verrebbero immessi nelle serre degli “stagni biologici coperti con magazzino calcareo verticale” (S.C.M.C.V.), mentre il calore delle acque di raffreddamento delle centrali, riscalderebbe i digestori; il gas prodotto dai digestori alimenterebbe la centrale a biogas. Alla fine del processo ci sarebbe qualche piccola traccia dell’inquinamento atmosferico della centrale a carbone, se l’impianto sarà ben dimensionato. I F.S.V. o i soli digestori, potrebbero essere ben accoppiati anche con le centrali termonucleari (se fossero veramente sicure) per sfruttare il calore delle acque di raffreddamento dei reattori (ben superiore a quello delle centrali termiche) per produrre biogas di qualità da consumare nella rete urbana. L’energia nucleare, se fosse sicura farebbe risparmiare il calcio per neutralizzare il CO2, ma senza CO2 non potremmo alcalinizzare le acque che inviamo al mare. Questo è un problema che nemmeno l’ONU e l’I.P.C.C. hanno considerato, anzi, sono i maggiori responsabili del C.C.S. I Paesi che usano il nucleare non sono esenti dall’inquinamento dei corpi idrici e da quello derivato dall’attuale trattamento dei rifiuti; sono bagnati dallo stesso mare che avrebbe bisogno di un maggiore apporto di carbonati che solo la D.C.P.T.C.G. può consentire.
23) La modifica delle grandi ciminiere inquinanti
L’aver individuato una nuova strada per proteggere l’ambiente, comporta anche la verifica di tutte le possibili applicazioni e quella della modifica delle ciminiere e dei camini è, senz’altro, una delle più importanti, essendosi i trattamenti delle C.T.E. interrotti proprio alle ciminiere, mentre avrebbero dovuto continuare. Come anticipato, le nuove ciminiere non espellerebbero i fumi. Potremmo chiamarle “ciminiere di raffreddamento e depurazione dei fumi” (C.R.D.). Non voglio entrare nei processi di filtrazione dei fumi adoperati, che sono buoni e possono ancora essere migliorati. Mi preme andare oltre le ciminiere per recuperare il calore e soprattutto, il CO2, abbattere i vari SOx e polveri tossiche sfuggite ai trattamenti precedenti. Le future ciminiere non emetteranno fumo saliranno verso il cielo solo per raffreddarlo, anzi nelle ciminiere entrerà aria per contribuire al raffreddamento. I fumi saranno richiamati, ugualmente verso l’alto assicurando la depressione necessaria alle camere di combustione, ma attraverso una ventilazione esterna alla canna fumaria saranno richiamati di nuovo sulla terra per recuperare il calore residuo e il CO2 e completare la depurazione degli stessi. Dove possibile, attraverseranno i fabbricati serra, usciranno dall’alto, ma non potranno definirsi più dei fumi. Sarà aria depurata e raffreddata che ha ceduto il proprio calore e il proprio CO2 per produrre depurazione, alcalinità, biomasse energetiche, addirittura prodotti ortofrutticoli. A prescindere da tutto quanto previsto per la depurazione globale descritta nel dettaglio in questo libro che rappresenta il massimo che si possa ottenere per la protezione dell’ambiente, deve esserci stato una sorta di sadismo collettivo in coloro che hanno pensato al C.C.S. nei confronti delle popolazioni e dell’economia.
Le ciminiere, com’è noto, possono essere a ventilazione naturale o forzata. Sono dimensionate soltanto in base a principi fisici per vincere le perdite di carico che ostacolano la risalita dell’aria calda verso l’alto, essendo lo scopo delle ciminiere limitato alla dispersione dei fumi caldi nell’atmosfera, a prescindere dal contenuto degli stessi e dalla temperatura. Il tiraggio naturale è funzione sopratutto dell’altezza della canna fumaria e della differenza di densità tra i fumi di combustione all’interno del camino e l’aria esterna. In effetti, più i fumi sono caldi, meno sono densi, più sono leggeri, più facilmente la pressione atmosferica dell’aria esterna tenderà a espellerli dal camino. La densità dei fumi è espressa in Kg/m3. Una formula normalmente usata per stabilire la densità dei fumi può essere espressa così:
dove dfumi è la densità dei fumi cercata, d0 è la densità dei fumi a 0°C, 273 è la trasposizione in gradi kelvin (assoluti) del valore 0°C, T è la temperatura media dei fumi di combustione. L’altezza della ciminiera incide prevalentemente sulla pressione della camera di combustione, in genere più è alta, maggiore sarà la depressione, però entro un certo limite (se troppo lunga i fumi raffreddandosi si appesantiscono e creano un ostacolo alla loro stessa fuoriuscita. Allora si ricorre alla ventilazione forzata).
Le nuove ciminiere proposte, adibite al recupero del CO2 e del calore, in linea di massima, rispettano il dimensionamento della canna fumaria come altezza e sezione, in funzione del sistema di alimentazione della camera di combustione. La modifica che propongo è quella di creare una depressione esterna alla canna, senza alterare le condizioni di funzionamento a monte. I fumi, all’uscita della canna fumaria saranno richiamati verso il basso, parallelamente alla stessa, appena escono dalla ciminiera, rispettando le condizioni di lavoro della camera di combustione. L’estremità del camino, dove c’è lo sbocco atmosferico, deve essere modificata allargando al massimo la sezione per azzerare la velocità cinetica dell’aria (come se lo sbocco fosse in atmosfera) in modo che possa essere richiamata verso il basso, favorire la miscelazione con aria esterna per un parziale, iniziale raffreddamento. I fumi, prima di iniziare la discesa passeranno attraverso un filtro elettrostatico per captare le particelle più pesanti e gas incombusti sfuggiti ai trattamenti precedenti. I gas, come gli ossidi NOx, SOx, CO, sono composti da molecole prive di carica che nei filtri elettrostatici, tramite un campo elettrico elevato tra gli elettrodi dove transita l’aria a velocità moderata, vengono caricati elettrostaticamente provocandone la precipitazione sugli elettrodi collettori collegati a terra. L’estremità della ciminiera è la posizione ideale per realizzare questo trattamento, proprio a causa dell’azzeramento della velocità per compiere l’inversione del flusso. La sezione diventerebbe quella riportata nel disegno allegato e la parte verticale, sarebbe costituita da due tubi concentrici, di cui, quello centrale, sarebbe costituito dalla canna fumaria originaria, mentre quello esterno servirebbe a convogliare i fumi verso il basso facendoli passare in un’intercapedine delimitata da una parete coibentata per raffreddare un fascio tubiero avvolto a spirale sulla parete della ciminiera centrale. Potremmo utilizzare il calore sottratto ai fumi in diversi modi, ma penso che il più semplice sia quello di incrementare la quantità di calore che utilizzeremo per riscaldare i digestori e poi i fabbricati serra. Pertanto, il fascio tubiero sarà alimentato dal bacino di raccolta dell’acqua calda del condensatore finale della centrale termoettrica (brac) che avrà una temperatura di circa 40 oC. L’acqua ritornerà allo stesso bacino. Il dimensionamento di questo fascio tubiero sarà proporzionato in modo da avere all’uscita acqua calda alla temperatura di circa 60 oC, miscelata con l’acqua calda già presente possa portare la temperatura in ingresso agli scambiatori di calore dei digestori a circa 45 oC., come ipotizzato nel calcolo di dimensionamento successivo. Come si vede dal disegno, nella torre C.R.D. è prevista anche una scala a chiocciola per la manutenzione. Alla base è previsto un pozzetto di raccolta della condensa e il collegamento con il canale di ventilazione che trasporta i fumi alle sezioni S.C.M.C.V. dei fabbricati F.S.V.. Inoltre, sono previste delle serrande d’intercettazione, che consentono di inviare i fumi direttamente nel canale di ventilazione quando si effettua la manutenzione dei filtri elettrostatici. Il canale essendo costantemente in depressione, assicura comunque l’evacuazione dei fumi. Il recupero dei fumi avviene nel seguente modo: I fumi, salendo verso l’alto, quando trovano la camera di espansione, rallentano la propria corsa, ma sono richiamati verso il basso (attraversando i filtri elettrostatici) dall’elettroventilatore (evf), lambendo nella discesa il fascio tubiero, contenente l’acqua di raffreddamento, mentre la condensa precipiterà nei pozzetti di raccolta per essere scaricata, attraverso la guardia idraulica nel bacino S.C.M.C.V. più vicino. Questo sistema consente il normale funzionamento della ciminiera con l’espulsione dei fumi nell’atmosfera se l’impianto di recupero non è funzionante.
Negli S.C.M.C.V. arrivano anche i fumi, le acque di raffreddamento e quelle da alcalinizzare. Dai bacini di questi partiranno i sollevamenti delle acque per completare il raffreddamento dei fumi e la carbonatazione a freddo delle rocce calcaree in esso contenute. Dal bacino adiacente S.B.F.S.C.V., partirà la depurazione delle acque inquinate e nelle serre S.M.P.C.V., proseguirà il consumo del CO2, come descritto a parte.
Alla luce di quanto esposto e dei gravi problemi ambientali esistenti, è evidente l’inadeguatezza delle ciminiere attuali ai fini del recupero termico e delle emissioni di CO2. Almeno quelle riguardanti le grandi emissioni devono essere modificate come sopra indicato. Un’anticipazione, più semplice, per piccole canne fumarie, che rispetta questo criterio è stata riportata nella pubblicazione dal titolo “la depurazione globale nelle città” che ripropongo alla fine di questa pubblicazione, dove, addirittura è stata prevista una rete fognaria per catturare nelle città gas tossici, polveri sottili e CO2.
La classe dirigente italiana degli anni settanta per non risolvere problemi ambientali, non insormontabili, ha dismesso poli chimici e siderurgici. Resta solo l’Ilva come ultimo baluardo, ma in condizioni impiantistiche pietose. Basta vedere le immagini su Google maps. Le ciminiere, non solo in Italia, non sono mai cambiate. Anche le fogne sono rimaste le stesse. Partendo dal cambiamento di questi due insignificanti elementi ambientali, si potrà arrivare alla protezione globale dell’ambiente e all’unica energia pulita e sostenibile.
All’Ilva, il problema delle polveri rosse e nere che coprono uomini e cose e delle neoplasie polmonari, è risolvibile coprendo le zone in cui si movimentano le polveri di carbone, creando un impianto di immissione dell’aria dall’alto, attraverso un plenum di distribuzione e utilizzando i moderni sistemi di filtrazione dell’aria estratta da cunicoli posti nelle zone basse, in particolare con filtri a ciclone ed elettrostatici. Invece, i fumi caldi, si potrebbero assimilare a quelli di una centrale termica: recuperando il calore e il CO2 ai fini energetici e ambientali, con un trattamento a valle della filtrazione tipo D.C.P.T.C.G. Le acque calde prodotte dall’impianto, più quelle prodotte dal raffreddamento dei fumi, potrebbero essere inviate ai D.D.C.L., per riscaldare i digestori e produrre energia, mentre l’aria filtrata, potrebbe essere, ulteriormente, trattata a umido, passando attraverso i fabbricati serra (F.S.V.), contribuendo al raffreddamento dei fumi e alla produzione di biomasse energetiche tramite il CO2 contenuto. Ma questo criterio, che andrebbe ben oltre la disattesa filtrazione, è ancora sconosciuto nel mondo ambientale energetico e industriale.
Dai disegni allegati, si può notare che nell’impianto sono riportate due ciminiere C.R.D., di cui una appartiene a un generico impianto termico fossile (ITfos) che può appartenere a una centrale termica di vecchia generazione o a carbone, a un inceneritore oppure a un altoforno: tutte le ciminiere possono essere trasformate in C.R.D., dipende soltanto dal dimensionamento che viene fuori in base alla temperatura, alla quantità dei fumi e alla condizione di esercizio della camera di combustione. La seconda ciminiera C.R.D.bio, appartiene indubbiamente alla centrale termica biologica (CTEbio) che consuma il biogas prodotto nell’impianto. Come si vede dallo schema “1”, Tutto il calore contenuto nei bacini di raccolta delle acque calde (brac) e buona parte di quello contenuto nei fumi (che sono miscelati con l’aria) è utilizzato nell’impianto per produrre biogas nel digestore, biomasse energetiche nelle serre, oppure per corrodere le rocce calcaree che producono carbonati nelle acque. Anche i fumi e il calore di un alto forno possono svolgere una funzione utile per l’ambiente se si migliora la filtrazione dei fumi, si modifica la ciminiera e vicino al vecchio impianto o fabbrica si realizza un D.C.P.T.C.G.
A Taranto, la magistratura ha contestato vecchi problemi: siamo ancora alla filtrazione dell’aria degli anni settanta. Le polveri che ricoprono tutto si vedono anche dalle mappe interattive di Google. Si vede anche un groviglio di ciminiere che è impossibile risanare con i criteri della depurazione globale. Occorre distanziare gli impianti e creare le condizioni per recuperare polveri calore e CO2. Questi ultimi posso costituire una risorsa per aumentare anche i rendimenti generali dell’intero stabilimento. Non dobbiamo dimenticare che anche i fumi prodotti dalla combustione del carbone possono essere puliti dal CO2 facendoli passare nei F.S.V.. Ricostruire la zona industriale di Taranto con i criteri della depurazione globale potrebbe essere una sfida importante e allettante, per la nostra tecnologia.
Infine, da tutta la filosofia impiantistica che precede e soprattutto dai disegni e dallo schema di flusso di un impianto D.C.P.T.C.G. si può notare che le biomasse e i fanghi prodotti nel fabbricato F.S.V. vengono trasferiti nel digestore del fabbricato D.D.C.L.. Questo è in grado di ricevere, soprattutto, matrici energetiche provenienti dal territorio. Anzi, quelle che produrremo sul posto, saranno una piccolissima parte per non ingrandire eccessivamente gli impianti.
Le potenzialità termiche dei D.D.C.L. recuperabili nel Mondo tra impianti termici e centrali termoelettriche esistenti SONO GRANDISSIME. Con il calore attualmente sprecato, possiamo digerire una quantità di biomasse che consente facilmente il raddoppio della produzione energetica. Per saturare le potenzialità dei digestori conviene riconvertire l’energia fossile prodotta in bio energia, oppure realizzare impianti ibridi che abbinano il consumo di combustibili fossili e biocarburanti. Oppure utilizzare l’energia fossile per riscaldare i digestori, inviare carbonati al mare e biogas ad altissima concentrazione di metano alle città. Le scelte saranno soltanto dettate dall’economia, essendo garantita la tutela dell’ambiente attraverso il passaggio dei fumi e delle acque attraverso i F.S.V.. Solo dimensionando un impianto ci si può rendere conto della situazione.
24) DIMENSIONAMENTO DI UN IMPIANTO DI DEPURCOGEPRODUZIONE COPERTO GLOBALE (D.C.P.T.C.G)
Per descrivere, in modo concreto, il dimensionamento di un ipotetico impianto di D.C.P.T.C.G., cheabbina una C.T.E. a un sistema di depurazione coperto per pulire l’energia termoelettrica, migliorare i rendimenti e proteggere l’ambiente, prendo alcuni dati da una pubblicazione disponibile in rete, relativa a una centrale termoelettrica con una potenza lorda di 320 MW, riciclando i fumi attraverso le ciminiere di raffreddamento e depurazione (C.R.D.) e facendola lavorare in simbiosi con D.D.C.L. e F.S.V. Ringrazio gli autori della facoltà di ingegneria dell’università di Pavia per il prezioso contributo inconsapevolmente apportato:
Rispetto alla pubblicazione originale, mi sono permesso di ipotizzare una modernizzazione della centrale termica, convertendola a un ciclo combinato per aumentare il rendimento. Com’è noto, l’aumento del rendimento avviene inserendo a monte della turbina a vapore una turbina a gas che produce altra energia elettrica con gli stessi fumi di combustione. Quindi, la parte riguardante le caratteristiche del vapore è stata lasciata invariata. Mi scuso per la banale semplificazione, ma se fossi entrato anche in questi dettagli, non sarei stato capace di uscirne. L’obiettivo del sottoscritto non è quello di progettare una centrale termoelettrica, ma quello di esprimere delle soluzioni impiantistiche energetiche e depurative partendo dalle centrali termoelettriche esistenti. I dati essenziali della centrale termica sono i seguenti:
Potenza assorbita dai servizi ausiliari 16 MW.
Potenza netta alla rete 304 MW
Rendimento netto d’impianto 0,55
PCI gas naturale = 11200 kcal/kg = 13kw/kg
Con i dati ipotizzati, la potenza termica richiesta al generatore di vapore sarà:
P=320-16/ 0,55= 552 MW
La temperatura dei fumi, grazie a scambiatori di calore con l’aria comburente, è di circa 77 oC.
La quantità di gas naturale (GN) da bruciare sarà = 552000 /13kw/kg h = 42.461kg/h.
(59.805 Nm3/h). La quantità di fumo prodotto secondo dati sperimentali, espressa in peso, ottenuta bruciando un kg di combustibile con l’aria stechiometrica in assenza di CO, tenendo conto dell’acqua prodotta dall’ossidazione dell’idrogeno, dell’umidità media contenuta nel combustibile, di eventuali ceneri o sedimenti e del contenuto medio di umidità nell’aria è stimabile in 18,18Kg per kg di combustibile a cui vanno aggiunti il 5% di aria in eccesso. Non riporto il calcolo per sottolineare i concetti. La quantità totale di fumi prodotti è di kg 42.461*18,18* 1,05 = 810.538 kg/h. La quantità di acqua di condensa, da calcolo non riportato, è il 13%, pari a 105.370 L/h. La quantità di CO2 prodotta, rapportata ai pesi atomici è pari a 44/12 (3,66) kg di CO2 per ogni kg di carbonio presente nella miscela di gas metano 12/16 (0.75). Pertanto, la quantità di CO2 prodotta è = 42.461* 0,75 *3,66= 74.093 kg/h. Quindi la percentuale di CO2 nei fumi è di circa 9,14% (6% in volume). La produzione di CO2 annua sarà di (74.093*24*365/1000) = 586.816T.
Dalla pubblicazione citata si riportano alcuni dati:
La portata di vapore all’ingresso del condensatore: circa 619.355 kg/h;
-entalpia vapore ingresso condensatore: 566,1 kcal/kg;
-temperatura acqua uscita condensatore 45 °C ;
Per semplicità di calcoli, essendo l’impianto molto grande e quindi con grandi dispersioni, supponiamo che il calore apportato dai fumi, vada a compensare le dispersioni e per mantenere la temperatura dell’acqua all’ingresso degli scambiatori di calore dei digestori a circa 45 oC. Quindi, partendo dal calore del vapore da smaltire all’uscita della turbina, il calore scambiato complessivamente sarà:
Q = Port. Vap.* (hv-hc) = 619,355*103* (566,1-45) kcal/h = 322.745.890 kcal/h. Supponendo un salto termico dell’acqua di raffreddamento nei digestori di 8o C la portata dell’acqua P= Q/ΔT= 322.745.890 / 8 = 40.432.236 L/h.
Per dimensionare un impianto di depurcogeproduzione globale coperto (D.C.P.T.C.G) è necessario partire dalle fonti di calore da recuperare, che nel nostro caso sono 322.745.890 kcal/h contenute nelle acque di raffreddamento scaricate dalla C.T.E., le quali saranno utilizzate per riscaldare i digestori di biomasse energetiche (dg) e con il calore residuo le sezioni smpcv ( serre meccanizzate di produzione coperte verticali) dei fabbricati Serra. Per il calcolo consideriamo soltanto il riscaldamento del digestore. Possiamo considerare che la trasmissione del calore all’interno del digestore avvenga tra un tra un fluido in movimento e uno stagnante. Possiamo usare la seguente espressione: A = Q*[ln (T1-t) – ln (T2-t)] / k* (T1-T2), dove “T” sono le temperature dell’acqua di riscaldamento (45 – 37) e “t” le temperature dell’acqua nel digestore (35), K è il coefficiente di trasmissione acqua/acqua, attraverso pareti di acciaio=280; Quindi A= 322.745.890 *1,38/ (280*8) = 198.834. m2. Utilizzando per il fascio tubiero dello scambiatore di calore dei tubi in acciaio inox del diametro esterno di 114 mm, con la superficie esterna di 0,3876 m2, necessitano 512.988 m di tubi (198.834/0,3876), che dividiamo in 20 digestori con, mediamente, 25.650 m di tubi, divisi in fasci da 36 tubi, dello sviluppo medio di 712 m prima di uscire dalla sezione. In ogni tubo circolerà la portata di 56.000 L/h [40.432.236/(20*36)]. Il fascio tubiero attraverserà con un percorso di andata e ritorno il digestore lineare, lungo circa 300 m. ma non si fermerà, proseguirà il percorso risalendo e percorrendo equamente distribuito, le sezioni S.M.P.C.V. dei fabbricati serra (F.S.V.) cedendo il calore residuo alle stesse, sia in estate che in inverno, e terminando il percorso nelle vaschette di o (vs) previste per alimentare i veli d’acqua dal tredicesimo piano della sezione S.C.M.C.V.
Anche gli 810.538 kg/h di fumi avranno la loro importanza, come anticipato, anziché uscire in atmosfera, dopo essere passati per la ciminiera C.D.R alimenteranno un canale coperto orizzontale (cacf), che nella parte sottostante trasporta anche l’acqua calda. Circa n. 40 elettroventilatori centrifughi (evf) terranno in depressione il canale alimentando con i fumi le n.20 sezioni (scmcv). Infatti, l’impianto che verrà fuori sarà diviso in 20 sezioni perfettamente uguali, ognuna costituita da: “Digestori disidratatori compostatori lineari” (D.D.C.L.), gasometri, “stagni biologici e calcarei meccanizzati coperti verticali” (S.C.M.C.V.), “serre meccanizzate di produzione coperte verticali” (S.M.P.C.V.) e gli “stagni biologici facoltativi coperti verticali” (S.B.F.S.C.V.), Le funzioni di questi componenti sono già state descritte nella parte precedente. Partendo dalla centrale termoelettrica, lasciando perdere l’elettricità, che non ci interessa dal punto di vista del recupero delle risorse, avremo:
Bacino di raccolta acque calde e canale coperto per acqua calda e fumi
Come anticipato, l’acqua calda che esce dallo scambiatore di calore del condensatore finale della centrale termoelettrica viene scaricata in un bacino coperto (brac), insieme all’acqua di raffreddamento dei fumi. Da questo bacino l’acqua passa in un canale coperto che servirà anche per il trasporto dei fumi (cacf), in modo che i fumi ancora con una temperatura superiore a quella dell’acqua, contribuiscano a conservare il calore della stessa, mentre continuano la fase di raffreddamento iniziata nella ciminiera (crd). Il canale della lunghezza complessiva di circa 2.200 m, sarà tenuto costantemente in depressione dalle derivazioni di estrazione dei fumi (almeno due per ogni serra S.C.M.C.V.), dotate di elettroventilatori centrifughi a giri variabili (evf), comandati tramite inverter, essendo molte le variabili ambientali che intervengono nella regolazione dell’impianto. I fumi estratti saranno immessi nelle serre calcaree meccanizzate (S.C.M.C.V.) dove potranno raffreddarsi definitivamente e contribuire a corrodere le rocce, risalendo verso l’alto molto lentamente, spinti dalla pressione dei ventilatori, mentre l’acqua calda sarà aspirata dalle elettropompe che alimenteranno i singoli tubi dei fasci tubieri che riscalderanno prima i digestori lineari dei (D.D.C.L.). e successivamente gli ambienti delle serre di produzione e degli stagni biologici (S.M.P.C.V + S.B.F.S.C.V.), fino a raggiungere le vaschette di sfioro (vas).
Il recupero del CO2 e del calore dei fumi.
Come anticipato, all’uscita di una centrale termoelettrica moderna, con ciclo combinato e scambiatori di calore dei fumi con l’aria comburente, della potenzialità di 320 MWh, abbiamo una quantità di fumi di 810.538 kg/h alla temperatura di circa 77 oC. con un contenuto di CO2 di 74.093 kg/h e una percentuale del 9,14%. Il sistema di seguito descritto non cambia con temperature dei fumi superiori a quelle ipotizzate, potendo raffreddare i fumi a valle della ciminiera, recuperando utilmente il calore. Le centrali termoelettriche hanno messo a punto buoni sistemi di filtrazione e abbattimento delle sostanze inquinanti contenute nei fumi (CO, SOx, NOx, polveri, particolato), ad eccezione del CO2, il quale ha bisogno di maggiori spazi e tempi di trattamento per essere neutralizzato. Ma la parola neutralizzato non è esatta, dovremmo dire “utilizzato”. Questa è la ragione di partenza per la quale sono stati abbinati i depuratori coperti con le centrali termoelettriche. Ma questa soluzione comporta un’autentica rivoluzione degli impianti energetici e di protezione ambientale: sono state modificate anche le ciminiere, inserendovi una filtrazione elettrostatica supplementare a quella interna alla centrale; i depuratori coperti sono diventati “fabbricati sinergici verticali” F.S.V., dotati di S.C.M.C.V. + S.B.F.S.C.V. + S.M.P.C.V.. La produzione di biomasse con il livello di filtrazione ottenibile potrà avere anche un uso alimentare. Nel capitolo relativo alla modifica della ciminiera abbiamo visto che possiamo fare un primo raffreddamento dei fumi all’uscita della ciminiera, senza creare problemi di condensa negli scambiatori di calore della C.T.E., creando un’intercapedine all’esterno della canna fumaria dotata di uno scambiatore di calore e convogliandovi i fumi caldi miscelati con aria atmosferica per alimentare la serra S.C.M.C.V.. Il raffreddamento lo faremo in due fasi. La seconda fase avverrà direttamente nella serra S.C.M.C.V.: con una pioggia di acqua, e miscelando ai fumi altra aria. I calcoli delle portate di acqua e aria non sono complicati ma molto variabili in funzione delle condizioni atmosferiche, non è opportuno affrontare tutti i dettagli in questa fase, considerando che la tecnologia moderna ci consentirà di gestire l’intero sistema tramite computer, sonde di rilevazione delle condizioni termo igrometriche, elettroventilatori ed elettropompe di sollevamento dell’acqua a giri variabili, controllati da inverter. Supponiamo che, in estate, tra la prima e la seconda fase di raffreddamento misceliamo i fumi con una portata di aria fresca di circa 3.500.000 kg/h. Il risultato impostato per le condizioni termo igrometriche interne medie alla serra potrebbe essere 30 oC con il 100 % di umidità (tenendo presente che questa temperatura dipenderà anche dalla disponibilità dell’acqua di raffreddamento). In queste condizioni avremmo una differenza di entalpia (J) di circa 23,7 kcal/kg e una quantità di calore da estrarre dalla serra di 102.158.850 Kcal/h. (4.310.500*23,7) attraverso l’aria e l’acqua che escono dall’impianto. Inoltre, abbiamo 76.158 kg di CO2/h (74.093+ 3500.000* 0,059% in peso) da far assorbire alle rocce calcaree della serra S.C.M.C.V. e alla fotosintesi delle serre S.B.F.C.V. + S.M.P.C.V.
La maggiore o minore quota che sarà assorbita dalle rocce calcaree, dipenderà dalla richiesta dell’impianto climatico delle serre S.M.P.C.V., accessibili all’uomo, dove la concentrazione di CO2 (e altri gas)sarà controllata con sonde. Se questi settori si troveranno in un periodo di basso consumo di CO2 (semina, lavorazione del terreno, raccolto) non sottrarranno aria e CO2 dalle serre, la concentrazione di CO2 nell’ambiente S.C.M.C.V. aumenterà notevolmente poiché dagli sfiati superiori uscirà soprattutto vapore e aria. In questo caso possiamo affidare l’intero processo di assorbimento del CO2 alla serra calcarea, consentendo l’aumento della temperatura e della concentrazione a nostro piacere. Il maggior peso del CO2 ne farà aumentare la concentrazione favorendo l’assorbimento da parte delle rocce calcaree. Ma supponiamo le serre di produzione in piena attività. La concentrazione media di partenza sarà quella dell’aria miscelata nella serra S.C.M.C.V. Per avere un riferimento, consideriamo che l’aria aspirata dall’ambiente S.B.F.S.C.V.+S.M.P.C.V. abbia la concentrazione media di CO2: 1,76 % [ (76.158/ 4.310.500) * 100] (1.14% in volume), che sarà ulteriormente diluita con l’aria di ventilazione della serra. Quest’aria alla pressione atmosferica e al livello del mare ha una massa volumica di 1,165 kg /m3 pertanto occupa uno spazio di 5.021.732 m3 (4.310.500* 1,165). Ho potuto fare questo ragionamento, avendo premesso che i fumi non usciranno dalle ciminiere, ma arriveranno nell’atmosfera passando attraverso le rocce calcaree che saranno sospese ai cestelli pensili delle serre, mentre questi saranno investiti da una pioggia artificiale. Avendo anche stabilito che l’impianto generale sarà diviso in 20 corpi separati, in ogni corpo avremo un volume di aria miscelata a circa 30 oC. di circa 251.086 m3/h di aria (5.021.732 / 20). Inoltre, avendo fissato la lunghezza della serra di 300 m (condizionata dalla lunghezza dei digestori D.D.C.L) stabiliamo un volume approssimativo di circa 400.000 m3. A questo corpo centrale che ho chiamato S.C.M.C.V. (serra calcarea meccanizzata coperta verticale), dobbiamo affiancare sui due lati gli S.B.F.C.V. + S.M.P.C.V., che saranno contenuti nello stesso ambiente. Complessivamente, andremo a occupare altri 300.000 m3 per lato. Le dimensioni totali di ognuno dei venti Fabbricati sinergici verticali (F.S.V.), compreso le zone di servizio anteriori e posteriori, saranno circa lunghezza 350, larghezza 50 (15 + 20 + 15), altezza 70 m, divisi in tredici piani, di cui la zona S.C.M.C.V. avrà soltanto pilastri e travi, senza solai. Come anticipato, questa sezione, oltre che funzionare da miscelazione dell’aria funziona anche come una torre di evaporazione per il raffreddamento dell’acqua e dell’aria, nonché come camera di corrosione delle rocce per merito del CO2. Facendo scorrere l’acqua dall’alto lungo i cestelli sospesi, oltre ad arricchire le stesse di carbonati, portiamo l’ambiente in condizioni di saturazione del vapore acqueo, assimilabile, nella zona centrale, a una vera pioggia (zona dei cestelli con rocce). L’umidità relativa dell’aria è 100%. In queste condizioni qualunque variazione della temperatura viene immediatamente controbilanciata dal comportamento dell’acqua. Se diminuisce la temperatura, parte del vapore si condensa, producendo il calore latente di vaporizzazione, che va immediatamente a riscaldare l’ambiente. Se la temperatura aumenta, parte dell’acqua si vaporizza andando a raffreddare l’ambiente. Tutte le trasformazioni avverranno lungo la curva di saturazione del diagramma di Mollier, dal quale è ricavato il diagramma psicrometrico di cui si riporta la parte riguardante le riguarda le condizioni ambientali interessate alla vita dell’uomo.
L’aria che entrerà nei F.S.V. potrà uscire liberamente soltanto dal tetto del fabbricato, attraverso serrande a gravità (che impediscono l’entrata di aria dall’alto). Le serre S.B.F.S.C.V. + S.M.P.C.V., potranno espellere l’aria soltanto attraverso la serra S.C.M.C.V. Potendo essere alimentate, a senso unico, con aria pulita esterna e aria proveniente dalla S.C.M.C.V, avranno sempre una pressione atmosferica superiore alle S.C.M.C.V. Sulle pareti di separazione tra i due ambienti saranno poste delle serrande di sovrappressione, a senso unico, che faranno ritornare l’aria in eccesso sempre nell’ambiente S.C.M.C.V. contribuendo al raffreddamento dei fumi.
Nella sezione S.C.M.C.V. (20*300*70 m di altezza), il CO2, essendopiù pesante dell’aria stratificherà nelle zone basse e si addenserà sulle superfici umide delle rocce per effetto della maggiore pressione specifica (leggi di Dalton e Henry), pertanto, l’aria che uscirà dall’alto sarà molto povera di CO2 mentre quella che andrà verso le serre S.M.P.C.V. (12*300*5 m di altezza) + S.B.F.C.V. (3*300*5 m di altezza), avrà una percentuale residua, partendo dalla percentuale media di miscelazione dell’1,76 % detratta dalla percentuale assorbita dalle rocce calcaree. Tenendo conto che in queste serre la percentuale di CO2 si diluirà ulteriormente con altra aria di ventilazione, prelevata dall’esterno, per avere le condizioni climatiche ottimali, piano per piano, secondo la coltivazione praticata. Non possiamo stabilire a priori quanto dei 76.158 kg/h di CO2 sarà assorbito dalle serre di coltivazione, ma anche se queste avessero da sole la potenzialità di assorbire tutto il CO2 prodotto, essendoci periodi di basso assorbimento (semina, raccolto, lavorazione del terreno), le serre contenenti le rocce calcaree dovranno avere l’intera potenzialità di assorbimento. Ovviamente, nei periodi di minore assorbimento da parte delle serre di produzione le serre S.C.M.C.V. potranno lavorare con temperature dell’aria e concentrazioni di CO2 massime, garantendo comunque l’intero assorbimento di CO2 e aumentando la portata idraulica delle acque. Per l’economia della gestione sarà opportuno coltivare la stessa coltura in tutte le sezioni S.M.P.C.V. del fabbricato F.S.V. in modo da far coincidere i periodi di basso assorbimento di CO2 su tutti i piani di coltivazione e poter aumentare liberamente la temperatura e le concentrazioni di CO2 nella sezione S.C.M.C.V.. Nelle serre S.M.P.C.V., invece, la percentuale di CO2 va tenuta sotto controllo da sonde disposte nell’ambiente che interrompono l’immissione di aria proveniente della serra S.C.M.C.V. affinché non sia pericolosa per la presenza dell’uomo. Questa non è una novità poiché questi accorgimenti di sicurezza già sono attuati nelle serre agricole che utilizzano la concimazione carbonica. I limiti fissati dall’OSHA, l’agenzia statunitense per la sicurezza sui luoghi di lavoro per la concentrazione di biossido di carbonio sul posto di lavoro sono lo 0,5% (5000 ppm, 9000 mg/mc TLV-TWA) per un’esposizione continua. Il TLV-STEL (Threshold Limit Values – Short Term Exposure Limit) o Valore limite di soglia con limite per breve tempo di esposizione, è pari al 3%. Attualmente le aziende agricole che già operano fuori terra non possono avvantaggiarsi né del recupero del calore, né del recupero del CO2, né del recupero del compost prodotto dai D.D.C.L, né delle serre disposte su più piani, né del recupero delle acque d’irrigazione depurate in paralleli stagni biologici, né della modernizzazione delle lavorazioni e del trasporto consentita dagli automotori.
Nelle serre il fattore limitante la fotosintesi è la concentrazione della CO2. In una serra di tipo moderno, in mancanza di un’adeguata ventilazione (soprattutto nel periodo autunno-inverno) già dopo poche ore di esposizione alla luce la concentrazione di CO2 può raggiungere le 120–150 ppm contro le 390 ppm presenti in atmosfera. A questi valori di concentrazione viene ridotta al minimo la fotosintesi con conseguente arresto della reazione di sintesi degli zuccheri da parte delle piante. Per questo motivo è necessario incrementare la concentrazione del CO2 rispetto a quello presente in atmosfera. Il valore ottimale stabilito dalle applicazioni pratiche è intorno ai 1000 ppm in volume (1500 ppm in peso). Nelle serre tradizionali con coperture in plastica, in estate si aumenta la circolazione di aria fino ad arrivare a 40 – 50 ricambi orari per aumentare la concentrazione di CO2 e raffreddare l’ambiente, mentre nel nostro caso basterà 1 ricambio orario miscelato con l’aria provenente dalla serra S.C.M.C.V..
Nelle serre tradizionali il problema della cosiddetta concimazione carbonica dell’atmosfera si pone principalmente in inverno, quando è necessario conservare il calore e pertanto le aperture di ventilazione devono stare necessariamente chiuse. Nel nostro caso il problema non esiste perché prendiamo dalla serra adiacente sia il CO2 che il calore. La produzione agricola fuori terra, come anticipato, sta assumendo un ruolo importante e i fabbricati sinergici verticali (F.S.V.) potranno assumere un ruolo importante anche lontano dalle centrali termiche per risolvere problemi ambientali, alimentari, e risparmiare risorse idriche, poiché come si è detto l’acqua sarebbe continuamente riciclata e depurata, attraverso gli S.B.F.S.C.V.. Per rafforzare la tesi che il CO2 deve essere utilizzato dall’uomo, non interrato, Cito i due sistemi utilizzati dalle aziende agricole per arricchire l’ambiente di CO2:
1) mediante l’immissione di anidride carbonica prodotta direttamente in azienda (con bruciatori posizionati direttamente all’interno della serra o in caldaie centralizzate.) In pratica il CO2 è un sottoprodotto del riscaldamento. Secondo l’articolo “http://edepot.wur.nl/23366” si utilizzano caldaie funzionanti a gas metano, che, abbinate a un condensatore dei fumi, riescono a recuperare il CO2 eliminando al tempo stesso buona parte del vapore acqueo prodotto con la combustione e aumentando l’efficienza del sistema di riscaldamento. Il flusso è controllato in maniera da garantire concentrazioni intorno a 1.000 vpm a serra chiusa, che scendono ai circa 380-400 vpm (simile alla concentrazione esterna) con le finestrature completamente aperte. L’anidride carbonica viene spinta attraverso un ventilatore nelle linee di distribuzione presenti sotto i bancali. Dalla combustione di un m3 di gas metano si ottengono 1,84 kg di anidride carbonica e 1,31 kg di acqua. In Olanda il tasso medio di rifornimento di CO2 è di 18 g/m2/ora, pari a un consumo di gas metano di 100 m3/ha/ora. La CO2 ottenuta come sottoprodotto del riscaldamento ha un costo oscillante fra 130 e 150 euro/t.
2) IL CO2 può essere acquistato esternamente sotto forma liquida. Secondo l’articolo “http://edepot.wur.nl/23366”: viene trasportato tramite carribotte in azienda, dove viene stoccato in contenitori da 2 a 5 t a seconda della superficie aziendale interessata. Attraverso un evaporatore, si gassifica e successivamente, per evitare fenomeni di condensazione lungo le linee di distribuzione, si provvede al suo riscaldamento a temperatura ambiente. Un quadro di controllo, in base alla concentrazione di CO2 rilevata da un sensore posto in ogni settore e al suo relativo set-point di concentrazione, regola, attraverso un sistema di elettrovalvole e flussimetri, l’immissione della CO2 nella serra. La distribuzione al suo interno è poi effettuata attraverso tubi di polietilene a bassa densità con fori di diametro pari a 0,8-1 mm, posti a distanza variabile da 1 m a 50 cm in modo da rendere uniforme la portata di gas lungo tutta la linea. La convenienza all’uso di CO2 liquida si ha in serre di dimensioni superiori all’ettaro: infatti, nel caso di una serra di dimensioni di 0,5 ha l’incremento produttivo ha un valore quasi pari al costo totale della concimazione (0,25 € /m2 * mese). Abbinando le serre di coltivazione agricole a un impianto D.C.P.T.C.G. i costi della ventilazione estiva sarebbero quasi azzerati e anche quelli della concimazione carbonica. La gestione dell’ambiente S.C.M.C.V. potrà essere fatta a livello centrale e sarà molto simile tra estate e inverno. Varieranno soltanto il numero di ventilatori in funzione per raggiungere la temperatura media che potrebbe essere uguale in estate e in inverno, sui 30 oC, con 100% di u.r. con le sole variazioni dovute alle maggiori dispersioni termiche invernali, che sarebbe regolata ulteriormente nelle serre S.M.P.C.V. in funzione degli altri fattori che intervengono (temperatura esterna, dispersioni, tipo di coltivazione). Realizzando dei condotti a T con il ventilatore di immissione aria al centro e due prese di aria provenienti rispettivamente dall’esterno e dalla serra S.C.M.C.V., dotate di un separatore di gocce, serranda di regolazione automatica, filtri per l’aria, batteria di riscaldamento (o post riscaldamento) nella serra S.M.P.C.V. si possono ottenere condizioni accettabili di temperature e di umidità estive e invernali senza eccessivi costi, regolando la miscelazione dell’aria, con le serrande e la velocità dell’elettroventilatore. La gestione computerizzata determina le condizioni termoigrometriche dell’ambiente. Possiamo dire, ad esempio, che nelle serre S.M.P.C.V + S.B.F.C.V. nel volume complessivo di 600.000 m3 possiamo miscelare ogni ora, in estate 300.000 m3/h Jx 23,7 kcal/kg (30 oC, con 100% u.r. 99,16 Kj/kg) con 300.000 m3/h Jx 15,3 kcal/kg (26 oC, con 70% u.r. 64,01 Kj/kg), consultando il diagramma avremo dell’aria in uscita di circa 27,7 oC con 85 % di umidità che possiamo correggere ulteriormente, inserendo una batteria di condensazione, per ridurre il grado di umidità dell’aria, alimentata da una pompa di calore con unità ventilante posta all’esterno del fabbricato. In inverno, avendo, ad esempio, i 300.000 m3/h Jx 0,67 kcal/kg (0 oC, con 30% u.r. 2,81 Kj/kg) non possiamo miscelarla direttamente con quella proveniente dalla S.C.M.C.V. andando oltre la curva di saturazione, dobbiamo riscaldare prima l’aria esterna a circa 15 oC, e poi miscelarla, ottenendo un’aria in uscita di circa 26 oC con circa 85% di umidità. Anche in questo caso per ridurre l’umidità si può inserire una batteria di post riscaldamento o condensazione a pompa di calore.
Non dobbiamo dimenticare che per il D.C.P.T.C.G. abbinato alla C.T.E. da 320 MWh, per ognuno dei 20 settori, abbiamo all’uscita dei fasci tubieri dei digestori lineari circa 2.021.000 L/h di acqua alla temperatura di circa 37 oC (40.432.236/20) che possiamo far circolare nell’ambiente delle serre di produzione per mitigare il clima invernale, oppure sottrarre umidità, mentre la solleviamo ai veli d’acqua della serra S.C.M.C.V. A mantenere questa temperatura dell’acqua contribuisce anche il calore proveniente dallo scambiatore di calore utilizzato per il raffreddamento dei fumi della ciminiera, non considerata nel calcolo di riscaldamento dei digestori [che ugualmente non considero in questa fase, ricordando che i fumi per abbassare la temperatura di circa cinquanta oC devono smaltire tra acqua e aria, complessivamente circa 40.526.900 KJ/h (810.538 kg/h * 50 oC) = 9.726.456 Kcal/h]. Il grosso viene smaltito attraverso la miscelazione dell’aria, che ancora più dell’acqua partecipa al riscaldamento delle serre]. Se quest’acqua alla fine del percorso arriva alla temperatura di 30 oC, restando sempre al di sopra della temperatura al bulbo umido sottrae umidità all’ambiente pur incrementando leggermente la temperatura. Il recupero di calore complessivo dovuto a quest’acqua è di circa 288.800 kcal/h (2.021.000/7). Solo il passaggio nell’ambiente di quest’acqua determina un salto termico della temperatura sensibile di 2,0 oC (288.800/0.24 * 600.000) questo piccolo salto termico sostituirebbe la batteria di post riscaldamento portando in estate la temperatura interna di nuovo a 30 oC ma con il 75% di umidità, invece di 85%. Molte colture, soprattutto quelle energetiche, sono compatibili con queste condizioni termo igrometriche ottenibili con scostamenti accettabili con bassissimi consumi energetici, per tutto l’anno che, oltre tutto, potrebbero essere completamente automatizzate. Si riportano di seguito le temperature e le condizioni di umidità relativa ottimali per alcune coltivazioni:
Temperatura: Lattuga14-18 °C; Spinaci15-18 °C; Piselli 16-20 °C; Bietole18-22 °C; Sedano 18-25°C; Fagioli18-30°C; Pomodori20-24°C Peperone20-25°C; Cetriolo20-25°C;Melanzana22-27°C; Anguria23-28°C; Melone25-30°C; Zucchine25-35 °C; cereali 24-30°C.
Umidità: Pomodoro e peperone50-60%; Melanzana50-60%; Melone e bietola 60-70%; Fagioli 60-75%; Lattuga 60-80%; Anguria 65-75% ; Piselli 65-75%; Zucchino e sedano 65-80%; Fragole70-80% ; Cetriolo70-90%; cereali 65-80%.
Con o senza la depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale (D.C.P.T.C.G), i fabbricati sinergici verticali avrebbero già dovuto sostituire gli attuali depuratori per molte ragioni. Basta pensare al risparmio idrico che consentirebbero recuperando e riciclando l’acqua senza inquinare le falde. In assenza di una C.T.E. nelle vicinanze, queste serre possono abbinarsi a qualsiasi impianto termico, previo, modifica della ciminiera. In assenza d’impianti termici, per la concimazione carbonica possono usare l’inquinamento urbano (v.cap.32) e in assenza di questo possono aspirare il CO2 direttamente dall’atmosfera, come le comuni serre di produzione, con il vantaggio di recuperare e depurare anche l’acqua d’irrigazione, i nitrati e il fosforo trascinato negli scoli. Altro che alberi artificiali e naturali. In inverno, non disponendo di C.T.E. e impianti termici, si possono usare dei gruppi termici generatori di calore mobili montati su automotori che distribuirebbero più uniformemente calore e CO2 senza canalizzazioni e senza ingombri fissi. Gli stessi automotori che, cambiando le attrezzature, verrebbero utilizzati per l’automazione delle lavorazioni del terreno, semina e raccolto. Non bisogna snobbare queste soluzioni in vista della crescita della popolazione mondiale (V.cap.6). Non bisogna nemmeno snobbare le opportunità di lavoro che creerebbero tutte le attività industriali per realizzare le nuove macchine necessarie per la lavorazione del terreno riportato, il condizionamento e la ventilazione degli ambienti, le automazioni industriali, le infrastrutture edili, la sistemazione delle opere idrauliche.
Non possiamo non pensare a una diversa politica delle acque territoriali. In alcune zone, come la puglia, i pozzi per irrigare i campi superano la profondità dei 300 m. Per quanto tempo ancora può durare una politica senza accumuli di acque piovane e desalinizzazioni di grandi quantità di acque che solo gli impianti D.C.P.T.C.G, potranno consentire?
Gli schemi di flusso riportati tra i disegni ai capitoli 29 e 31, rappresentano impianti strutturalmente identici. Si può creare la differenza tra un impianto che depura e desalinizza le acque e un altro che comprende anche la produzione di biomasse terrestri, mettendo al posto dell’acqua, in circa tre quarti delle sole sezioni (sbfscv) del terreno vegetale e compost con la tecnica usata per la realizzazione dei giardini pensili (ponendo il terreno su vespai in materiale plastico ricoperto da tessuto non tessuto filtrante), trasformando quelle sezioni in serre meccanizzate di produzione coperte verticali (smpcv). Questa versione, è quella usata nella D.C.P.T.C.G., essendo riservata, soprattutto, ai grandissimi impianti abbinati alle grandi centrali termoelettriche che consentirebbero grandi produzioni di biomasse energetiche per tutto l’arco dell’anno con costi contenuti grazie al calore recuperato dalle stesse centrali termiche, come sopra descritto, parlando del condizionamento.
La coltivazione fuori terra, in serre verticali, potrebbe avere sviluppi immensi e consentire di moltiplicare le superfici coltivate con una produttività già sperimentata superiore al 40%, nel caso proposto, addirittura, ci sarebbe il vantaggio del recupero e l’immediata depurazione delle acque di scolo. Tuttavia, essendo abbastanza nota e scontata l’utilità delle serre agricole, descrivo particolarmente la gestione delle acque in verticale, meno scontata e sconosciuta. Questa potrà consentire l’eliminazione degli attuali depuratori che sprecano immense risorse energetiche depurando acque degenerate più dal sistema fognario che dai carichi organici. Questi emettono nell’ambiente il CO2 prodotto dalle vasche di ossidazione a cielo aperto. Si riporta in parentesi la formula dell’ossidazione che trasforma le sostanze organiche in CO2 (C6H12O6 + 6O2. ® 6CO2 + 6 H2O + circa 38 molecole di ATP) che è inversa a quella della fotosintesi [(6 CO2 + 6 H2O + 2872144,8 ( j / mole) ® C6H12O6) + 6 O2; 2872144,8 ( j / mole) = 686 ( Kcal / mole)]. Essendo i depuratori attuali basati sul primo processo, senza essere in grado di recuperare il CO2 emesso ed essendo i F.S.V. basati sul secondo processo, sono agli antipodi concettualmente. I primi, consumano energia ed emettono CO2 mentre i secondi producono biomasse per produrre energia e assorbono CO2.
Ma i fabbricati serra non si limitano soltanto alla fotosintesi applicata su decine di piani sovrapposti e in ambienti arricchiti di CO2, che moltiplica il rendimento sui due fronti. Pratica anche l’ossidazione nelle serre calcaree adiacenti a quelle foto sintetiche, dove il processo avviene, non mediante la semplice agitazione meccanica delle acque che favorisce il contatto con l’ossigeno e quindi il processo sintetizzato nella formula suddetta. La stessa agitazione e quindi ossidazione, nelle serre, viene realizzata sollevando le acque nell’ambiente coperto ricco di CO2 e saturo di rocce calcaree. Le acque cadendo dall’alto sono costrette ad arricchirsi di ioni di calcio e magnesio diventando alcaline e quindi, anche in questo caso, i rendimenti si sommano e possiamo ottenere, con minori costi di esercizio, acque depurate e alcalinizzate, in grandissime quantità, che non abbiamo mai avute. Per giunta, ringraziando, il CO2 che i nostri Enti di Stato, stanno facendo di tutto per interrare nelle profondità terrestri, con alti pericoli, in caso di accidentali fuori uscite e con alti costi, che ci addebiteranno e con la benedizione dell’I.P.C.C.(Intergovernment Panel climate Change) che ha perso in credibilità per il sostegno dato a questa soluzione.
Ma i fabbricati serra non si propongono di essere soltanto dei depuratori dell’acqua e dell’aria, che in un contesto urbano potranno arrivare al proprio interno attraverso un diverso sistema fognario descritto nella (cap.32). Saranno anche un grande sistema di prevenzione ambientale accumulando in verticale le acque mentre si depurano, tenendo pulite e al secco fogne e piccoli corsi di acqua, quindi prevenendo fenomeni alluvionali, mentre i depuratori attuali sversano acque degenerate con l’avvento delle prime piogge, non avendo la capacità di trattarle, né dove accumularle. I depuratori attuali, avendo fretta di trattare le acque che trattano non possono tener conto del fatto che gli oceani si stanno acidificando. Non possono alcalinizzare le acque per ragioni di costo e anche perché dovrebbero usare l’ossido di calcio, che per produrlo comporta emissioni di CO2. I depuratori attuali devono stare fuori città perché trattando liquami settici e alti carichi organici emettono cattivi odori. I F.S.V. dovendo depurare anche l’aria devono stare nelle città e diluendo i carichi organici in grandi masse di acqua non producono cattivi odori. Non avendo fretta di restituire le acque all’ambiente le possono alcalinizzare senza usare l’ossido di calcio e quindi senza permettere altre emissioni di CO2. Ma esistono anche contesti extra urbani che non sono mai stati affrontati nel modo giusto come il trattamento delle acque di scolo agricole, piovane e la desalinizzazione delle acque salmastre e marine che solo con i F.S.F. possono essere affrontati. Dobbiamo vedere questi impianti come i depuratori delle acque agricole, da sempre colpevoli per l’inquinamento che producono alle falde e ai corpi idrici. I sistemi depurativi attuali sono impotenti di fronte alle grandi portate che dovrebbero essere coinvolte. Mentre i F.S.V. lo farebbero in modo naturale accumulando riserve idriche fuori dal percorso naturale delle acque per prevenire disastri alluvionali e fabbisogni nei periodi di siccità. Non sarebbe meglio irrigare con, almeno, una parte di acque alcaline e mineralizzate che con semplici e acide acque piovane? Ma se osserviamo i vari schemi di flusso, dai F.S.V. abbiamo la possibilità di spillare acque demineralizzate dai (sbffcv) e acque alcaline dai bacini (braa) poiché le acque, continuamente ricircolate per consumare il CO2, si impoveriscono di Sali durante la salita attraverso le serre di produzione (terrestre e acquatica) e si arricchiscono degli stessi durante la discesa attraverso le serre calcaree. Sta a noi intensificare o ridurre il trattamento in salita o in discesa intensificando o riducendo l’impiantistica a disposizione in funzione della qualità e quantità delle acque che avremo a disposizione.
Se consideriamo che negli impianti D.C.P.T.C.G. conviene sviluppare questi fabbricati in lunghezza per ammortizzare più rapidamente i costi del sistema di movimentazione dei cesti calcarei, e delle eventuali resine di scambio ionico, Quando non esistono carichi organici e CO2 da neutralizzare, ma soltanto acque da accumulare, potremmo pensare, addirittura, di sviluppare questi fabbricati, nella versione base, come accumulatori di acqua e alcalinizzatori, che sfruttano soltanto la fotosintesi (senza serre calcaree). Questi potrebbero essere lunghi chilometri, per esempio, sotto i viadotti, con la triplice funzione di depuratori di bassi carichi di acque agricole, accumulatori di riserve idriche e produttori di biomasse energetiche. Sono troppo semplicistici i bacini idrici artificiali che non consentono la circolazione dell’acqua accumulata, né l’estrazione dei fanghi. Con il tempo sono destinati a creare acidificazione ed eutrofizzazione. Con i F.S.V. che aumentano il rapporto tra superficie esposta alla luce e volumi accumulati che consentono l’evacuazione dei fanghi, le acque si alcalinizzeranno in vece di acidificarsi. Non avranno senso grandi e piccoli bacini, che non portano grandi vantaggi alla prevenzione ambientale e che diventano un pericolo, quando vengono trovati pieni da piogge torrenziali.
Ma i vantaggi maggiori si avrebbero nelle città. Come farebbero a sottrarsi al trattamento in umido le malcapitate polveri grosse e sottili, SOx, NOx CO, CO2, che sfuggite dagli impianti di trasporto, produzione industriale e termica, sarebbero catturati dal sistema fognario progettato con criteri di protezione globale? Non ci sarebbe nessun bisogno di invocare il vento e la pioggia per salvarci dall’inquinamento atmosferico, come facciamo attualmente, auspicando che lo smog vada a creare problemi da qualche altra parte, con piogge acide, scioglimento di ghiacciai, acidificazione di corpi idrici e del mare. Questa è la situazione attuale. Di cosa parlano nei vertici e mondiali se la mia proposta di depurazione globale delle città è già vecchia di due anni senza che nessuno ne abbia voluto parlare? Alla faccia della lotta al riscaldamento dell’ambiente globale che vogliono fare i responsabili mondiali dell’ambiente. Non vogliono ammettere che hanno sbagliato anche il modo di costruire le città, almeno i quartieri più moderni, e vorrebbero rimediare con gli alberi artificiali per fare qualche altro favore alle multinazionali. Questo succede perché la progettazione pubblica non esiste né in Italia né altrove. I politici hanno rilasciato una delega in bianco ai costruttori di macchine per l’ambiente e a piccoli studi di progettazione locali, che possono soltanto copiare gli errori del passato con macchine più moderne, senza cambiare il sistema che è sbagliato nelle fondamenta.
Ma i fabbricati sinergici verticali non si propongono di essere soltanto dei depuratori dell’acqua e dell’aria, che in un contesto urbano, potranno arrivare al proprio interno, sia attraverso l’abbinamento a un impianto termico, sia attraverso un diverso sistema fognario. Saranno anche un grande sistema di prevenzione ambientale: accumulando in verticale, fuori dal flusso ordinario, le acque mentre si depurano, si alcalinizzano o si dissalano, tenendo pulite e al secco le fogne e i corsi di acqua, quindi prevenendo fenomeni alluvionali. I depuratori attuali sversano acque degenerate con l’avvento delle prime piogge, non avendo la capacità di trattarle, né gli spazi per accumularle. I depuratori attuali, non possono alcalinizzare le acque per ragioni di costo, di volumi a disposizione e di tempi di trattamento. Inoltre, perché dovrebbero usare l’ossido di calcio che per produrlo comporta emissioni di CO2 [(CaCO3 + calore (~ 875° C) = CaO + CO2]. Anche gli impianti che producono la calce rientrano tra gli impianti da abbinare a un F.S.V. per recuperare CO2 e calore. I depuratori attuali devono stare fuori città perché trattando liquami settici e alti carichi organici emettono cattivi odori. I F.S.V. volendo depurare anche l’aria devono stare nelle città. Riducendo i percorsi e la degenerazione fognaria e diluendo i carichi organici in grandi masse di acqua non producono cattivi odori. Non restituendo subito le acque all’ambiente, per costituire delle preziose riserve idriche, le possono alcalinizzare senza usare l’ossido di calcio e quindi senza permettere altre emissioni di CO2. Ma esistono contesti extra urbani che non sono mai stati affrontati nel modo giusto come il trattamento delle acque di scolo agricole, piovane e la desalinizzazione delle acque salmastre e marine (molte centrali termoelettriche usano queste acque per il raffreddamento di turbine scambiatori di calore) che solo con i F.S.F. possono essere affrontati in modo sostenibile.
Fabbricati sinergici verticali (F.S.V.)
Ritornando all’impianto D.C.P.T.C.G: che stiamo dimensionando mentre precede la descrizione, avendo stabilito, in base alla quantità di acqua calda disponibile, di realizzare n. 20 fabbricati D.D.C.L., affianchiamo agli stessi n.20 fabbricati sinergici verticali (F.S.V.), contenenti: al centro lo “Stagno biologico coperto con magazzino calcareo verticale” e ai lati lo “stagno biologico facoltativo successivo coperto verticale + la “serra meccanizzata di produzione coperta verticale” (S.M.P.C.V. + S.B.F.S.C.V. + S.C.M.C.V. + S.B.F.S.C.V.+ S.M.P.C.V.). Come si vede le S.M.P.C.V., stando all’esterno del fabbricato, possono trasferire, per mezzo di un trasporto pneumatico, la loro produzione cerealicola, trinciata e aspirata, direttamente in fase di raccolto, ai silos che alimentano i digestori.
Nelle n.20 sezioni di “Stagni biologici coperti con magazzino calcareo verticale” (S.C.M.C.V.) dei bacini coperti (braa) arriverà acqua fredda dal canale principale di alimentazione e l’acqua che cade dalle vaschette (vas) che sono alimentate dai fasci tubieri di riscaldamento dei D.D.C.L., dalle acque depurate dei (sbffcv) e dalle stesse acque del bacino (braa) risollevate, nonché da eventuali acque piovane raccolte dal tetto di copertura del fabbricato. Nella serra S.C.M.C.V. saranno immessi i fumi caldi provenienti dal canale dei fumi (cacf), i quali saranno raffreddati mediante miscelazione con aria fredda e con i veli d’acqua: Le portate di acqua sollevate, indicativamente saranno le seguenti.
a)acqua prelevata dalla zona centrale dei bacini circa 240.000.000. L/h divisa in n.20 S.C.M.C.V.
b) acqua di riscaldamento dei digestori (dg) e delle serre verticali (S.M.P.C.V.) Per la centrale da 320 MWh circa 40.432.236 L/h divisa in n. 20 S.M.P.C.V.
c) acqua di troppo pieno (depurata dai passaggi in successione attraverso gli stagni biologici facoltativi), che fuoriesce dal piano superiore S.B.F.F.C.V. dipende dal carico dell’impianto e dalla quantità di acqua prelevata, destinata ad altri impieghi.
d) acque piovane raccolte dal tetto dei F.S.V:
Nell’ambiente S.C.M.C.V., l’aria diventerà sempre più ricca di CO2, che è il più pesante dei gas. potrà essere assorbito dalla superficie di contatto delle rocce e dalla superficie delle acque. Queste superfici sono moltiplicate dalla frantumazione delle rocce e dalla sovrapposizione dei bacini d’acqua. Inoltre, l’assorbimento viene moltiplicato ulteriormente dall’aumentata pressione specifica del gas, secondo leggi di Dalton e Henry, come già citato nella relazione precedente.
I quattro tipi di acqua, a-b-c-d, alimenteranno delle canalette con bordi di sfioro a profilo triangolare posto longitudinalmente sopra alle file dei cestelli pensili contenenti le rocce calcaree. L’acqua cadendo dall’alto completerà il proprio raffreddamento e contribuirà al raffreddamento dei fumi. Trascinerà nel bacino sottostante il calore residuo e gli ioni calcio sottratti alle rocce calcaree, insieme al CO2 solubilizzato nelle gocce di acqua. I gas più leggeri usciranno in atmosfera attraverso gli sfiati posti in alto. Questo sarà possibile grazie all’alta concentrazione di CO2 contenuto nei fumi e alla bassa salinità dell’acqua, supposta fluviale, di origine piovana, depurata e desalinizzata dai (sbfscv).
Ad esempio, nella sezione S.C.M.C.V. del fabbricato F.S.V. potremmo avere n. 16 file, 272 righe intervallate 1,1 m, su 24 piani, di cestelli contenenti ognuna, mediamente, 0,7 m3di roccia. Stimando il peso di roccia pari a 0,5 T/cestello avremo un totale di 52.224 T. di roccia; supponendo un rendimento estrattivo di CaO pari al 70%, potremmo estrarre 36.556 T di Cao. Considerando che in ogni F.S.V. ci passano 3,700 T/h di CO2 (74.093 / 20) e in un anno 32.412 T/anno (3,7* 365* 24), e Considerando il rapporto tra i pesi molari 56/44 = 1,27, potremmo dire che consumando tutte le rocce in un anno avremmo assorbito quasi l’intera produzione di CO2, essendo il rapporto 36.556 / 32.412 = 1,127. Per mantenere sempre al massimo la superficie di scambio possiamo integrare le rocce consumate ogni due o tre mesi, in funzione di prove sperimentali, diminuendo o intensificando l’integrazione in base ai risultati ottenuti. Ma considerando anche l’assorbimento che avremo attraverso la fotosintesi acquatica e terrestre, la sperimentazione dovrà essere completa anche di questi sistemi per decidere quale incrementare di più in funzione dell’economia e dell’utilità ambientale, che può variare da una zona all’altra del Pianeta. Essendo il sistema molto flessibile, non possiamo dire a priori quanto CO2 sottrarremo attraverso la carbonatazione delle rocce a freddo, per il momento, solo per il dimensionamento, semplifichiamo l’operazione ipotizzando di avere a disposizione una superficie di contatto e le condizioni ambientali equivalenti all’uso dell’ossido di calcio commerciale CaO.
Per neutralizzare i 74.093 kg/h, di CO2 contenuti nella portata dei fumi ( 810.538 kg/h), occorrono circa 94.098 kg/h di ossido di calcio (74.093* 56/44) in base ai rapporti dei pesi molari. Supponendo di somministrare mediamente 400 mg/L di calcio, utilizzeremo almeno 240.000.000 L/h di acqua per disciogliere la calce (94.098*106/400). Ovviamente, la portata di acqua che transiterà nel bacino coperto potrà essere molto superiore o molto inferiore dipendendo dalle disponibilità idriche del bacino vicino all’impianto. L’importante è sollevare alle vaschette di sfioro (vas) il quantitativo di acqua dolce necessaria, anche riciclando la stessa acqua più volte attraverso gli stagni biologici successivi facoltativi verticali (sbsfcv) (aiutati dalla circolazione di cestelli contenenti resine di scambio ionico per aumentare le capacità di addolcimento dell’acqua) e le serre calcaree (scmcv). In carenza di acqua, per aumentare le capacità depurative dell’acqua riciclata, potranno essere eliminate le sezioni (smpcv) ampliando quelle (sbfscv), inoltre le venti sezioni dei bacini (braa) invece di essere collegate in parallelo saranno collegate in serie, aumentando il PH dei bacini ad ogni passaggio fino ad arrivare alla precipitazione del carbonato di calcio nell’ultimo bacino con PH circa 9,6 e il conseguente rapido addolcimento delle acque. A questo punto s’invertirà il flusso di alimentazione dei bacini, previa estrazione del carbonato di calcio precipitato. Le acque che usciranno dagli impianti saranno prelevate soltanto dai bacini centrali che non raggiungeranno mai le condizioni estreme del PH, ma risulteranno sufficientemente alcalinizzate per trasportare carbonati ai bacini a valle. Comunque, più acqua passerà attraverso gli impianti, maggiore sarà la depurazione e l’alcalinizzazione dei corpi idrici di destinazione. Quindi, in ogni bacino S.C.M.C.V. si avrà un notevole rallentamento del deflusso delle acque verso il mare affinché possano raffreddarsi e assorbire i carbonati, consumare i nutrienti, fermo restando che il ramo principale fluviale, sarà sempre disponibile per le piene eccezionali. Per questo grande coinvolgimento delle acque difficilmente, si potranno realizzare grandi centrali concentrate in un unico posto. Supponendo che i tre tipi di acque più la miscelazione con aria riescano ad abbattere la temperatura dei fumi a circa 30oC, possiamo trasferire la miscela di aria, ancora ricca di CO2 nelle sezioni adiacenti, dove potrà continuare il consumo di CO2 producendo biomasse terrestri e acquatiche per mezzo della fotosintesi. Gli “stagni biologici facoltativi successivi coperti verticali (S.B.F.S.C.V.) affiancati dalle “serre meccanizzate di produzione coperte verticali” ( S.M.P.C.V.) sono realizzati negli stessi ambienti per sfruttare meglio gli spazi. Infatti, gli S.B.F.S.C.V., saranno posizionati sotto gli spazi pedonabili degli S.M.P.C.V. e saranno utilizzati come corridoio di servizio, dove saranno accessibili anche le valvole di intercettazioni idrauliche e le varie apparecchiature elettromeccaniche.
Da apposite prese di aria disposte, piano per piano, nella parete di separazione tra S.C.M.C.V. e F.S.V. l’aria calda e umida ricca di CO2, dalla S.C.M.C.V. si diffonderà negli ambienti comuni S.C.M.C.V. e S.B.F.S.C.V.
L’acqua che alimenta i bacini (brad) e gli S.B.F.S.C.V. sarà, principalmente, costituita dal digestato liquido proveniente dai D.D.C.L, e dall’acqua di scolo di irrigazione delle S.M.P.C.V., eventuale liquame fognario. I fanghi prodotti da questi bacini saranno estratti piano per piano dalle tramogge di fondo e sollevati ai serbatoi (sfa) che alimenteranno i D.D.C.L. oppure le autobotti di trasporto.
L’equivalenza tra il carbonio organico prodotto in uno stagno biologico definito come TOC o COD e il metano è data dalla reazione della sua completa ossidazione: CH4 + 2O2 →CO2 + 2H2O, dalla quale si deduce che una mole di metano consuma o si può ritenere equivalente alla rimozione di due moli di ossigeno, pari a 64 grammi (32+32). Così, essendo il volume occupato, una costante fissa per la teoria cinetica dei gas e in particolare per la legge di Avogadro: 22,4 litri/64 grammi = 0,35 L di metano a 0°C e 760 Torr (condizioni standard) sono equivalenti a 1 grammo di COD. Dato che il processo di recupero di questo gas si sviluppa trasferendo i fanghi prodotti in un ambiente anaerobico e si svolge in campo mesofilo intorno a 35°C, si può anche scrivere l’equivalenza a questa temperatura: 1 kg di carbonio produce 395 L di metano a 35°C e 1 atm. Possiamo dire che se lo S.B.F.C.V produce mediamente 10 T/ha di C* anno, produce circa 25.316 m3 / anno di metano (10.000 / 0.395). Considerando il potere calorifero inferiore del metano = 7,4 kw/m3 e un rendimento della trasformazione in metano 0,8 produrremo 149.870 Kw/ha*anno (25.316* 0,8 * 7,4). Bruciando questo metano in una CTE con ciclo combinato e rendimento 0,55, produrremo circa 82.428 kW / ha* anno.
Se, invece, consideriamo le coltivazioni energetiche in campo che hanno una capacità produttiva media di circa 47 T/ha, possiamo stimare che coltivata in serra aumenti del 30% e diventi 61 T/ha. Fermo restando, la capacità specifica di produzione di biogas di 389 m3/T di biogas, ogni ettaro coltivato in serra, abbinato a una C.T.E. con ciclo combinato può produrre circa 87.441 kW/anno (61*389*6,7*0,55). Come si vede queste produzioni molto intensive si avvicinano come prestazioni e sono possibili per la forte presenza dei nutrienti contenuti nel digestato liquido trasferito dai D.D.C.L. agli stagni e alle serre di produzione, e anche dalla concimazione carbonica dovuta alla presenza di CO2 nell’aria Ma nei fabbricati serra la produzione può essere moltiplicata su più piani. Nel nostro caso, abbiamo stimati necessari 12 piani più il piano finale sbffcv (il piano terreno è stato riservato agli interventi di manutenzione sui cestelli, le bilancelle addensamento fanghi, ecc). Escludendo anche lo spazio centrale, occupato dalla serra calcarea, possiamo stimare una superficie coltivata di circa 234 ettari ( 30*300*13*20/ 10.000) e un’unica a produzione arrotondata prudenzaialmente a 80.000 Kw/ha * anno per una produzione complessiva di 18.720.000 KW/anno (234*80.000). Trasformati in produzione oraria sono 2.363 kW/h (18.720.000 / 330/24). Tradotti in MWh saranno soltanto 2,36 dei 304 prodotti dalla centrale termoelettrica presa in esame. Questi equivalgono a 181 kg/ h di metano (2.363/13). Poiché una mole di metano corrisponde a una mole di CO2, possiamo dire che attraverso le serre di produzione o gli stagni biologici facoltativi successivi sottraiamo 181 Kg/h di CO2, per mezzo della fotosintesi. Sono pochissimi rispetto ai 74.093 kg/h di CO2 prodotti dalla centrale. Quindi, possiamo dire che la fotosintesi contribuisce poco alla produzione di energia e a sottrarre CO2. Ma il nostro scopo non è quello di produrre tutta l’energia attraverso le biomasse prodotte nei fabbricati serra e nemmeno quello di pulire, con la fotosintesi tutti i fumi degli impianti termici dal CO2. Possiamo considerare la produzione energetica e la sottrazione di CO2 come un regalo del processo scelto. La vera sorpresa energetica viene dai meno ingombranti fabbricati D.D.C.L. e la vera capacità di abbattimento del CO2 viene dalle meno ingombranti serre calcaree S.C.M.C.V.. Tuttavia, D.D.C.L. e S.C.M.C.V. non potrebbero funzionare se non fossero affiancate alle capacità depurative degli S.B.F.S.C.V. che come scritto in altre sezioni potranno essere aiutati dalla circolazione di resine di scambio ioniche in cestelli. I D.D.C.L. avrebbero addirittura la potenzialità di sostituire interamente i combustibili fossili originali con biogas se fossero alimentati con colture energetiche di qualità. Ma dovendo svolgere, soprattutto, una funzione di protezione ambientale devono dare la precedenza ai rifiuti organici, per cui, per scelte strategiche, non tecniche, produrranno meno energia. Prima di dire che questi MWh ci costano troppo dobbiamo chiederci quanto costa la depurazione che facciamo ma non protegge l’ambiente e quanto ci costerebbe l’alcalinizzazione delle acque che non abbiamo mai fatto e continueremo a non fare, anche se useremo il C.C.S. e gli alberi artificiali. Quanto costerebbe il C.C.S. che non recupererebbe nemmeno il calore.
Le S.C.M.C.V. non saranno accessibili all’uomo, mentre S.M.P.C.V. e S.B.F.S.C.V (con condizioni termo igrometriche e concentrazioni di CO2 accettabili) lo saranno, e conterranno anche le tubazioni e le apparecchiature di controllo, che in questo modo saranno rese accessibili. Concorreranno al mantenimento delle condizioni termo climatiche ottimali delle S.M.P.C.V. e S.B.F.S.C.V., oltre all’aria prelevata dalle S.C.M.C.V anche l’aria prelevata dall’ambiente esterno e le acque, che usciranno dai fasci tubieri dei D.D.C.L. e C.R.D. ancora calde, che sfrutteremo per la terza e la quarta volta in questo impianto (40.432.236 L/h), che solleveremo ai veli d’acqua per raffreddare i fumi della sezione S.C.M.C.V., facendole passare per la serra S.B.F.S.C.V. + S.M.P.C.V. dove contribuirà al riscaldamento o al post riscaldamento dell’aria dell’ambiente. Quest’acqua che necessariamente dobbiamo sollevare per favorire il contatto con le rocce calcaree, risalendo il F.S.V. attraverso fasci tubieri sospesi al soffitto contribuirà alla climatizzazione dell’ambiente. In estate potrà servire anche per alimentare l’impianto di irrigazione a pioggia dello S.M.P.C.V. Infatti, se l’acqua sarà utilizzata per l’irrigazione, calerà la pressione idrostatica del circuito e questa potrà essere incrementata da elettropompe di sollevamento di riserva, asservite a un sistema pressostatico con serbatoi di espansione, miscelando nella tubazione di mandata anche acqua fredda del bacino (braa). Di fatto, nella serra ci sarà un continuo scambio adiabatico di calore tra aria e acqua quando si procederà all’irrigazione. Ma anche le superfici degli stagni biologici parteciperanno allo scambio di calore estivo e invernale.
Parlare di “serre meccanizzate di produzione coperte verticali” comporta un modo nuovo di lavorare la terra “fuori terra” che oggi non esiste. Infatti, non è pensabile climatizzare e concimare carbonicamente a basso costo ambienti così grandi, né tantomeno utilizzare i trattori e le attrezzature che si usano in campo aperto. Bisogna pensare alle lavorazioni agricole con i criteri dell’automazione e dei trasporti interni industriali. Questo, rappresenta immense opportunità di lavoro e di sviluppo anche nel settore elettromeccanico e dell’impiantistica industriale.
Fabbricati digestori, disidratatori, compostatori lineari (D.D.C.L.)
La depurcogeproduzione globale comporta la produzione di grandissime masse energetiche da digerire, disidratare compostare. Come sempre, il fatto si può vedere come un problema oppure come una risorsa. Naturalmente, per il sottoscritto, è un’altra importantissima risorsa, come già spiegato. La chiusura del ciclo del carbonio, che oggi noi non facciamo, oltre a essere fatta attraverso l’alcalinizzazione delle acque e la fotosintesi, potrebbe continuare anche attraverso quest’altra via, che comporterebbe immensi risparmi economici, avendo il compost tutte le caratteristiche per sostituire i concimi chimici. L’abbondanza di compost prodotto da questo sistema energetico universalizzato, il risparmio idrico, il minore sfruttamento delle falde, potrebbe portare a una riqualificazione dei terreni in via di desertificazione, trasferendovi tutto il compost che non verrà riutilizzato.
Per produrre il compost, non possiamo pensare di usare i sistemi attuali, nati per il trattamento di piccole quantità di fanghi e dopo estesi anche alle biomasse. Non si può continuare a mescolare liquami e fanghi industriali e urbani; selezionare solo una piccola parte dei fanghi, disidratarli meccanicamente, trasferirli in altre aziende che li lavorano e miscelano per trasformarli in compost. In questo modo il compost costa troppo, quasi come un concime chimico. Aumentare le quantità di biomasse di centinaia di volte, comporta lo studio di nuovi processi e nuove soluzioni. Dai fabbricati D.D.C.L., inventati per essere inseriti nel processo dei D.C.P.T.C.G, dovrà uscire il compostato solido già insaccato.
Anche il punto di partenza della progettazione di un D.C.P.T.C.G.si trova nelD.D.C.L. Non può essere altro, che il dimensionamento del fascio tubiero, che viene fuori dal recupero del calore di scarto della C.T.E. presa in esame. Intorno a questo fascio tubiero, si costruisce il digestore, poi il resto del D.D.C.L. e dopo S.C.M.C.V. + S.M.P.C.V. + S.B.F.S.C.V. . Non a caso, per l’impianto da 320 MWh, è già stato dimensionato questo fascio di tubi della lunghezza di circa 513.000m (escluso il percorso successivo che risale i fabbricati serra), che ho ritenuto opportuno dividere in 20 digestori per contenerli in una lunghezza accettabile di 300 m. I digestori che li conterranno, li ho chiamati lineari e saranno alimentati ed evacuati tramite delle tramogge di accumulo e amalgamazione dei materiali in entrata e in uscita. Seguono le sezioni di disidratazione e compostaggio, concepite con un sistema estremamente semplice e poco ingombrante, ovviamente, da mettere a punto, come tutto il resto dell’impianto, di cui avrei parlato soltanto dopo averle sperimentate, se avessi trovato degli interlocutori disposti ad ascoltare i concetti su cui si basa la depurazione globale:
Tramogge di carico digestore (trcd) e alimentazione disidratazione (D.D.C.L.)
Queste tramogge avranno una funzione importante nella gestione dell’intero impianto. Avranno una forma tronca trapezoidale rovesciata, dotata di un coperchio di chiusura a doppio battente coibentato, un tubo di carico centrale con mescolatore a pale verticale, un trituratore ad aspi rotanti finale, un tubo di scarico con una valvola a ghigliottina; doppi attacchi per il carico del materiale da digerire che sarà costituito da:
– Fanghi liquidi addensati provenienti dalla tramoggia (trfa)
– matrici energetiche provenienti da silos o impianti mobili di separazione, vagliatura, triturazione. Nel tubo di carico sarà mescolato il fango fresco estratto dai bacini (braa) (brad) autobotti e dagli stagni S.B.F.S.C.V e le biomasse energetiche. Ma la zona tronco conica della tramoggia lavorerà con il flusso inverso: avrà la funzione di reattore intermedio nella fase di trasferimento dei fanghi alla disidratazione e al compostaggio, che avverranno con un sistema aerobico e pertanto in questa fase utilizzeranno una rampa di soffiaggio che inizia l’aerazione dei fanghi. Infatti, supponendo il ciclo digestivo della durata di quindici giorni, possiamo utilizzare la tramoggia come un reattore aerobico per lo stesso periodo, in modo che i fanghi digeriti possano essere compostati aerobicamente e disidratati. Per l’impianto da 320 mah, ogni digestore sarà diviso in undici sezioni autonome, ognuna dotata di tramoggia in grado di contenere tutti i fanghi digeriti nella rispettiva sezione. Nella tramoggia i fanghi vengono aerati, da una rampa alimentata con l’aria di un’elettrosoffiante (esa), in attesa di essere sollevati alla disidratazione dalla pompa (psf).
Se estraiamo, ogni quindici giorni, dai digestori l’8% del volume totale in digestione di 260.000 m3, avendo disposizione 220 tramogge il volume delle stesse sarà 94.5 m3 (260.000* 0.08/220) che arotondiamo a 100 m3.
Digestori lineari (D.D.C.L.)
Prima di descrivere questo tipo di digestore bisogna premettere che allo stato dell’arte, esistono tre tipi di digestori: Wet, Dry e Semi dry, secondo il grado di diluizione del rifiuto da digerire in acqua. Il sottoscritto ha preso in considerazione soltanto il primo tipo (Wet = umido), con la massima diluizione in acqua, essendo l’impianto di depurcoproduzione coperta globale, basato su sistemi con massa sospesa. Tuttavia, i digestori lineari, sono diversissimi dagli altri digestori wet. In questi digestori il contenuto in solidi totali TS è inferiore al 10%, non potendo il sistema di disidratazione e compostaggio abbinato permettersi concentrazioni superiori. Nei digestori wet, a causa delle caratteristiche fisiche dei rifiuti trattati, non è solitamente possibile ottenere una miscela perfettamente omogenea. Si riscontrano accumuli al fondo del reattore di materiali a densità elevata e formazione di croste superficiali dovute a materiali galleggianti. Inoltre, è frequente la corto circuitazione idraulica che si verifica quando il flusso del materiale entrante si miscela con il fluido già presente nel reattore e fuoriesce con tempi di ritenzione ridotti rispetto a quelli di progetto. Nei digestori lineari questi fenomeni negativi, che sono difficilmente eliminabili nei classici digestori cilindrici, vengono eliminati disponendo di una maggiore quantità di postazioni di carico e di estrazione dei fanghi, indipendenti. La miscelazione tra, quello che entra e quello che esce, non avviene, esistendo dei setti separatori, nella zona superficiale e nella zona fanghi, interrotti soltanto nella zona intermedia. Secondo la concezione del sottoscritto, il digestore può essere considerato come una lunghissima fossa Imhoff, da cui prendono la denominazione “lineare”, dotati di conche longitudinali in successione, intervallate, della lunghezza di 30-40 m, per non mescolare i fanghi più pesanti e degli sbarramenti superficiali per non rendere comunicanti le camere di accumulo del gas. Di fatto, la zona comune sarà soltanto quella intermedia, dove si produce il gas. Trasversalmente la sezione potrà essere completa di deflettori che delimitano le zone di chiarificazione, sedimentazione e digestione per facilitare l’intimo contatto dei microrganismi, soprattutto, nella zona di digestione.
Il troppo pieno dei digestori sfiora nelle canalette e alimenta il bacino di ossidazione (brad) che a sua volta alimenta gli stagni biologici facoltativi successivi coperti verticali, (sbfscv), di pari lunghezze e paralleli ai digestori. I fanghi prodotti dai bacini (brad), (braa), dagli stagni (sbfscv), sono tutti sollevati ai serbatoi di addensamento (sfa) che alimenteranno le tramogge di carico (sfa) e da queste passano alle tramogge (tcrd) dei D.D.C.L. nella fase di alimentazione dei digestori.
Dal tubo di scarico delle tramogge (tcrd), i materiali organici, le biomasse e i fanghi, saranno rilasciati nella zona di sedimentazione, mediante l’apertura della valvola a ghigliottina (vg). Le particelle più leggere tenteranno la risalita, ostacolate dai deflettori (df) e quelle più pesanti tenderanno a depositarsi sul fondo, ostacolate dai miscelatori a flusso orizzontale (agf) (con un campo di azione limitato alla conca dei fanghi sedimentati) e dal gas che cerca di salire in superficie. In questo modo si favorisce il rimescolamento e la formazione del gas.
Accenniamo soltanto ai fenomeni che avvengono nel tipo di digestione prescelto che in base alla temperatura di esercizio di circa 35- 37 oC è definito mesofilo e svolgendosi in una sola camera di digestione è definito monostadio, per quanto molto diverso dai digestori conosciuti, per forma e dimensioni, le funzioni sono identiche. Infatti, i digestori in genere, hanno sezioni cilindriche, e in genere, non superano le capacità digestive di 2500 – 3000 m3. Mentre nell’esempio che stiamo considerando, che è stato studiato per sfruttare il calore sprecato da una centrale termoelettrica da 320 MW, abbiamo ben venti digestori con la capacità di 20.000 m3 ciascuno. Considerando che la materia organica riempie i digestori per circa il 65 % della loro capienza, la parte restante è occupata dal gas prodotto dalla degradazione biologica. Complessivamente nell’impianto avremo un volume di 400.000 m3, di cui 260.000 occupati dalla digestione e 140.000 dal gas. Digestori così grandi non sono mai stati pensati perché nessuno ha mai pensato di sfruttare il calore sprecato dalle centrali termoelettriche per produrre nuova energia.
La produzione del biogas nei D.D.C.L.
Il biogas è composto da metano e CO2, questi gas hanno un peso molto diverso tra loro. Il CO2 alla pressione atmosferica e alla temperatura di 35 oC (Ps 1,85 gr/l)pesa quasi tre volte di più del metano (Ps 0,65 gr/l), quindi, se poniamo delle bocchette di aspirazione sulle pareti del digestore, poco al di sopra del pelo libero del liquame, previa misurazione della concentrazione del gas, con apposite sonde, stabilendo delle soglie di minimo e massime, possiamo aspirare o spillare periodicamente il CO2 con delle apposite elettrosoffianti ed immetterlo nella serra calcarea S.C.M.C.V. adiacente. In tal modo aspiriamo anche parte dell’idrogeno solforato (Ps 1,4 gr/l). Il CO2 nel bacino è utilizzato per produrre carbonato di calcio, attraverso la corrosione delle rocce calcaree. Una parte è trasferita alle serre foto sintetiche per essere utilizzata come nutriente e produrre altre biomasse che produrranno altro biogas, Non estraendolo rappresenterebbe una zavorra che riduce il potere calorifero e il rendimento del digestore. In questo modo potremmo avere del biogas con 80-90% di metano, anziché il normale 50-70%. Questo non si può fare nei digestori esistenti. Ma non basta, la restante parte di CO2 che passerà attraverso tutto il processo di filtrazione e combustione della C.T.E., ugualmente non verrà emesso nell’atmosfera, come avviene in tutti gli impianti termici esistenti, che espellono i fumi in atmosfera. L’idrogeno solforato aspirato insieme al CO2, può essere ossidato in anidrite solforosa (2 H2S + 3 O2 → 2 SO2 + 2 H2O) e successivamente in solfito e solfato. Un altro vantaggio di questa tipologia di reattori, diviso in conche, con caricamento ed estrazione del digestato dall’alto, è la possibilità di poter dividere le zone di carico delle varie matrici in base ai tempi di digestione di ogni singola conca. Essendo il consumo energetico pari a zero (recuperato dal calore disperso delle (C.T.E.), ed essendo altissimi i volumi a disposizione, possiamo digerire anche sostanze con lungi tempi di digestione, se non abbiamo nulla di meglio da digerire. Digerire è sempre meglio che bruciare, anche con bassissimi rendimenti. Ma, avendo la possibilità di sfruttare questa grande opportunità, potremmo impostare l’intera politica energetica e di protezione ambientale su questo sistema. Per saturare le grandi potenzialità del calore sprecato dalle centrali termoelettriche e degli impianti termici, in genere, saremo costretti a realizzare una società a prova d’inquinamento e di riscaldamento globale. Ovviamente, non solo in Italia. Una volta tanto, una società Globale, nel senso buono della parola.
Dentro questi reattori, privi di ossigeno e a temperatura costante di trentasette gradi, il materiale, in lento movimento, subisce delle reazioni biochimiche che portano alla formazione di biogas (metano e anidride carbonica) e acqua. Quello che segue in questo capitolo, non è farina del mio sacco e non saprei citarne la fonte, avendo trovato scritte, le stesse cose, in molte pubblicazioni e tesi di laurea.
Non lo dico nel senso dispregiativo, ma per avvalorare il grande processo della digestione anaerobica, che, come la fotosintesi, la carbonatazione a freddo delle rocce, la combustione, è stata inventata dalla natura. L’uomo, ha soltanto realizzato gli impianti, dove questi processi possano avvenire sotto controllo. Tuttavia, questi processi, non sono mai stati messi insieme in un unico impianto, come nella D.C.P.T.C.G. per proteggere l’ambiente e produrre energia pulita, contemporaneamente.
Nella digestione anaerobica la produzione di biogas, a partire da residui organici, avviene a livello microbico mediante: una prima biodegradazione del materiale eseguita da muffe, batteri fermentativi ed acidogeni; una successiva metanizzazione operata, in ambiente anaerobico, dai soli batteri metanigeni. La fase di biodegradazione può, a sua volta, essere scissa in due sottofasi: la fase idrolitica e la fase acidogena.
Durante la fase idrolitica avvengono le trasformazioni che portano alla degradazione delle sostanze organiche più complesse in composti più semplici, creando i presupposti per un efficace svolgimento delle successive reazioni operate dai microrganismi specifici: fermentazione acida, fermentazione alcalina e fase metanigena.
I batteri si nutrono assimilando le sostanze organiche; in particolare quelli coinvolti in questa fase sono i batteri fermentativi. Allo stato iniziale, però, tali sostanze sono costituite da polimeri, che i batteri non possono direttamente assimilare. Avviene allora da parte degli enzimi la trasformazione di tali macro-molecole in molecole di dimensioni minori. I batteri possono a questo punto idrolizzare il substrato primario – composto da materiali cellulosici, proteine, lipidi e carboidrati solubilizzandolo in molecole più semplici. Di fatto si ha l’idrolisi dei polisaccaridi a carboidrati semplici, delle proteine a peptidi e amminoacidi, dei grassi a glicerolo e acidi grassi. In questa prima fase inoltre, per merito dei microrganismi della putrefazione e precisamente per opera di muffe dei generi Penicillum, Aspergillus, Rhizopus, e di batteri dei generi Bacillus, Pseudomonas, Proteus, Serratia, vengono distrutti, in ambiente aerobico, i composti azotati. In questo stadio si ha la produzione di ammoniaca (NH3), biossido di carbonio (CO2) e idrogeno (H2).
Segue la fase acidogenica in cui i prodotti già decomposti vengono ulteriormente trasformati per mezzo di batteri acidogeni che producono acidi organici a basso peso molecolare (acido acetico, acido formico ed in minor misura acido propionico e lattico), alcoli (etilico, metilico, propilico), aldeidi, chetoni. La produzione di acidi organici in questa fase può ridurre il pH, per cui può essere necessario tamponare con aggiunta di calce o di idrossido di ammonio. In questa fase, per opera di batteri dei generi Bacterium, Cellulomonas, Pseudomonas, e muffe dei generi Penicillum, Aspergillus, Trichoderma, viene inoltre trasformata la cellulosa prima in cellobiosio ed in seguito in glucosio. Gli acidi vengono poi neutralizzati e si ha la formazione di sali che in seguito saranno decomposti in biossido di carbonio e metano. Nella fase di metanizzazione i batteri metanigeni utilizzano gli acidi organici ed i sali prodotti nelle fasi precedenti e li trasformano direttamente in metano e anidride carbonica. Questi batteri sono caratterizzati da una crescita molto lenta che avviene solamente in ambiente anaerobico. Essi sono dei generi: Methanobacterium, Methanococcus, Methanosarcina e sono presenti nei sedimenti naturali, nelle discariche controllate, nelle acque di scarico, nel rumine e nelle deiezioni dei ruminanti. Il metano prodotto deriva per il 72% dalla fermentazione di acido acetico operata dai batteri metanigeni aceti clastici (CH3COOH→CH4+CO2), mentre il rimanente 28% può derivare dalla riduzione dell’anidride carbonica per merito di batteri H2-ossidanti o dalla riduzione del metanolo eventualmente prodotto della prima fase. CO2+4H2→CH4+2H2O)
I batteri riduttori di solfati sono presenti nei liquami con alta concentrazione di zolfo e solfati, e grazie alla loro azione producono acido solfidrico che, se è presente in grosse quantità, conferisce al liquame uno sgradevole odore di uova marce. I nitrobatteri riducono i nitriti e i nitrati producendo ammoniaca o azoto gassoso. Il metabolismo delle proteine porta non solo alla formazione di acido acetico e piruvico, ma anche di molte altre sostanze derivate dal radicale libero di ogni amminoacido come ad esempio CO2, H2S e soprattutto NH3. La presenza di questi composti azotati ha la duplice funzione di fornire l’azoto necessario alla sintesi batterica e di contribuire a mantenere il pH intorno alla neutralità grazie all’azione tampone dell’ammoniaca sugli acidi organici presenti. Valori di pH più acidi dell’intervallo ottimale indicano senza dubbio un accumulo di acidi grassi volatili, causato generalmente da sovralimentazione del reattore, che causa inibizione dell’attività batterica. Valori più basici sono invece indice di un accumulo di ammoniaca, sostanza che, se presente in concentrazioni superiori ai 3000 mg/l, inibisce sia i batteri acidogeni che i metanigeni; allo stesso tempo si verifica un’eccessiva produzione di idrogeno (H2) e idrogeno solforato (H2S). Valori tipici per digestori operanti in condizioni ottimali e stabili sono compresi tra 3000 e 5000 mg di CaCO3 per litro. L’alcalinità è un parametro di fondamentale importanza nei processi anaerobici; tenendo presente che generalmente il tasso di crescita delle popolazioni batteriche metanigene è estremamente ridotto, talvolta può capitare che in occasione di un aumento del carico organico le aumentate capacità idrolitiche e acidificanti del sistema determinino uno sbilanciamento della popolazione batterica a favore della componente acidogenica, e quindi a sfavore della componente metanigena. Si avrà quindi una fase transitoria in cui si osserverà un incremento di concentrazione degli acidi grassi volatili. E proprio in questi casi risulta di fondamentale importanza la capacità tamponante del sistema, che deve essere in grado di neutralizzare l’abbassamento di pH. La procedura più semplice utilizzata in caso di eccessivo squilibrio consiste nel praticare delle immissioni di calce all’interno del digestore, cosi da ottenere un aumento di pH. Normalmente si sviluppa nel digestore un sistema tampone grazie alla coesistenza di ammoniaca derivante dalla degradazione delle proteine e di bicarbonato proveniente dalla dissoluzione del biossido di carbonio. Come ultimo prodotto di queste reazioni si ha un sale disciolto che conferisce alcalinità al mezzo tale da poter controllare il processo ed eventualmente tamponare accumuli di acidi grassi volatili. Il monitoraggio della composizione e della quantità del biogas prodotto è di fondamentale importanza per il controllo della stabilità del processo di digestione anaerobica. Se il reattore sta operando stabilmente, infatti, la produzione e la composizione del gas, espressa almeno in termini di concentrazione di metano e biossido di carbonio, risultano costanti. Per esempio, una diminuzione del gas in uscita ed un aumento nella percentuale di CO2 possono indicare fenomeni di inibizione dovuti alla forte presenza di acidi grassi volatili. Ne consegue che l’analisi del flusso del gas non può non essere associata al controllo di parametri, quali la concentrazione delle sostanze acide volatili e l’alcalinità del mezzo. Generalmente, si possono osservare tre diverse situazioni: una bassa concentrazione di vapori prodotti da fermentazione acida (VFA), associata a una consistente produzione di biogas in cui la percentuale di CO2 si attesti tra il 25-33% del campione, indica che il processo sta avvenendo stabilmente e si ha una buona capacità di trasferimento dai batteri acidificanti a quelli metanigeni; concentrazioni crescenti nel tempo di VFA, insieme con una produzione di biogas in cui la presenza di CO2 tende ad aumentare col tempo fino a raggiungere valori pari a ⅔ della produzione, indicano che i batteri acidificanti stanno fortemente prevalendo sulla popolazione metanigena, creando un forte accumulo di VFA all’interno del digestore; un aumento della concentrazione di VFA unita a un’emissione di biogas progressivamente decrescente può essere indice di problemi relativi o all’inibizione di alcune reazioni o all’aumento della tossicità dell’ambiente in cui avviene la digestione. Si possono avere condizioni limitanti all’interno del digestore dovute alla presenza di sostanze inibenti, come ad esempio residui di pesticidi e prodotti farmaceutici, solventi, disinfettanti, residui da trattamenti di conservazione dei cibi, metalli pesanti, sali, azoto ammoniacale (NH4+) e altri”.
Postazione mobile di selezione rifiuti e fanghi
La separazione dei rifiuti organici e il trattamento preliminare degli stessi potranno essere fatte da una postazione mobile che sarà alimentata direttamente dagli automezzi della raccolta differenziata dei rifiuti dai centri urbani, industriali, agricoli, eccetera. La postazione mobile sarà dotata di una tramoggia di carico, un nastro di trasporto con dispositivo rompi sacchi, vari dispositivi di sminuzzamento grossolano, setacciamento, rimozione di metalli, e scarichi in contenitori separati per il materiale scartato. I fanghi estratti dai bacini (braa, brad e dagli stagni sbfscv) o provenienti da autobotti, che facilmente, possono contenere delle pietre passeranno attraverso filtri a ciclone oppure filtri a rete. Il materiale scartato e selezionato sarà inviato ad altri siti per essere riciclato o incenerito. Nel caso considerato, di una centrale termoelettrica a ciclo combinato di 320 MW, con il calore di scarto, possiamo alimentare ben 20 digestori lineari dotati ognuno di n.11 postazioni di carico a tramoggia, con doppio attacco. Quindi, avremo ben 440 postazioni di carico dei digestori. Con un numero adeguato di postazioni mobili si potranno evitare lunghe file di automezzi, considerando che, oltre all’alimentazione di rifiuti e biomasse, ci sarà anche l’evacuazione dei sacchi drenanti contenenti il digestato con la stessa frequenza di caricamento dei digestori.
Disidratazione, stabilizzazione compostaggio dei fanghi (D.D.C.L.)
Il sistema proposto è talmente vantaggioso per l’ambiente che difficilmente gli oppositori troveranno argomenti da opporre. Uno di questi argomenti di opposizione potrebbe essere la grande quantità di fanghi che produrremo, centinaia di volte superiori a quelli attuali che già mettono in crisi l’attuale sistema di gestione, basato su discariche e compostaggi aerobici. Questi ultimi, concessi soltanto alla piccola percentuale di fanghi che sono reimpiegati in agricoltura. Il resto è incenerito, emettendo alte emissioni di CO2. Essendo noto che nessun digestore garantisce al 100% la digestione di tutte le sostanze organiche, se vorremo recuperare ai fini ambientali il calore e il CO2, dovremoper forza rivedere il modo di produrre e gestire i fanghi. I D.D.C.L. affrontano anche questo problema e i fanghi diventeranno una preziosa risorsa ambientale, producendoli in modo sostenibile, garantendone l’igiene con un buon sistema di disidratazione, compostaggio e stabilizzazione con polveri di calcio. Per questa ragione, una delle sezioni più importanti degli impianti D.C.P.T.C.G. sono proprio i fabbricati D.D.C.L., ossia “digestori, disidratatori, compostatori lineari ” che sono anch’essi degli impianti nati dall’azione sinergica di processi che oggi avvengono separatamente, senza sfruttare i vantaggi che derivano da quest’unione. Nel caso specifico,la progettazione di un D.C.P.T.C.G.inizia proprio nelD.D.C.L.. Il punto di partenza non può essere altro, che il dimensionamento del fascio tubiero, che viene fuori dal recupero del calore di scarto dell’impianto termico o della C.T.E. presa in esame. Dalla potenzialità termica di questo fascio tubiero, scambiatore di calore, si costruisce il digestore, poi il resto del D.D.C.L. e poi le altre sezioni dell’impianto D.C.P.T.C.G.. Come si vede dai disegni allegati dell’intero impianto: (1) schema di flusso; (2) sezione longitudinale; (3) sezione trasversale. Il processo inizia con il recupero delle acque calde da un qualsiasi impianto termico, a una temperatura media di circa 45 oC, le quali, sono pompate in un fascio tubiero (ftac) immerso in un lungo digestore intervallato da camere di accumulo e di estrazione del biogas e tramogge (tcrd) caricabili dall’alto. Sopra le camere del biogas si trova il trattamento fanghi con le camere di insaccamento compost (ci). Al di sopra si trovano i silos contenenti le biomasse da digerire (sbm) e l’ossido di calcio (sca). Al di sotto, si trovano le zone di sedimentazione, digestione (dg) delle biomasse, le cui zone di deposito fanghi sono separate da dossi, e setti separatori, in modo da realizzare delle conche che consentano digestioni ed estrazioni autonome dei fanghi, pur essendo unico il digestore. A ogni tramoggia corrispondono una conca di accumulo fanghi con un agitatore degli stessi (agi) che agisce solo in quella zona. D’importanza fondamentale sono le tramogge (tarda) che servono sia per il rapido caricamento delle biomasse, sia per il lento processo di disidratazione e compostaggio dei fanghi. Queste, come si vede dal disegno di dettaglio (1), per il caricamento, utilizzano la zona centrale costituita da un tubo cilindrico dotato di un mescolatore a pale verticale (MSN), un trituratore ad aspi rotanti (trait) finale e un tubo di scarico con una valvola a ghigliottina (va), mentre la zona periferica, tronco conica, che serve da accumulo e aerazione dei fanghi estratti, è dotata di una semplice rampa con tubi forati (rtf), alimentata da una elettrosoffiante (esa) che v’immette aria atmosferica. Pertanto, i tempi della digestione anaerobica e quelli della fase di evacuazione, disidratazione, compostaggio, stabilizzazione e insaccamento dei fanghi, che avverranno tutti con un ciclo aerobico, coincideranno. Questo grande vantaggio per la qualità del prodotto e per l’economia del processo è possibile ottenerlo abbinando al digestore lineare e alle tramogge (tcrd) il sistema di disidratazione e stabilizzazione chimica dei fanghi già depositato dal sottoscritto (CE2009A000008 del 15/09/2009), che consente di avere un prodotto disidratato, compostato insaccato, in un unico processo. Con questo processo si possono riempire lentamente e contemporaneamente centinaia o migliaia di sacchi. E’ costituito da una grande vasca (vdf) con centinaia o migliaia di galleggianti dal peso di circa 350 gr. (ga), nella quale versare il fango tenuto in sospensione con dell’ aria soffiata sul fondo (asf) e acqua di diluizione (adl). Il fango senza, additivi, viene estratto dalla tramoggia (tcrd) tramite la elettropompa di sollevamento (psf) e inviato al centro della vasca di distribuzione fanghi (vdf) passando attraverso dei filtri a cestello estraibili (fce), distribuendosi su tutta la superficie. Questa vasca, a pressione atmosferica, occupa l’intera area del locale disidratazione. Sotto la vasca e i galleggianti (ga) sono sospesi dei sacchi drenanti appesi a dei canotti (ca) comunicanti tra loro, nei quali sarà immessa dell’aria soffiata che trasporta la polvere di ossido di calcio (esca) dosata dalla valvola (vdca). Quando la spinta idrostatica nella vasca sarà tale da sollevare momentaneamente i galleggianti passerà circa mezzo litro di fango per ogni galleggiante che cadrà su un diffusore conico (dc) che lo distribuirà su tutta la circonferenza, separando immediatamente il fango dall’acqua che uscirà attraverso le porosità del sacco, mentre il fango, più pesante, cadrà nel sacco per mescolarsi con l’ossido di calcio. Ogni sacco sarà montato all’esterno di un telaio cilindrico in acciaio inox all’interno del quale è montato un piccolo agitatore meccanico alimentato con un motore pneumatico (agp), collegato all’alimentazione dell’aria compressa con una presa a innesto rapido. L’alimentazione dei motori pneumatici sarà temporizzata. Il disegno di dettaglio (1) mostra alcuni componenti del sistema di disidratazione e compostaggio in sacchi drenanti. Possiamo Prolungare il riempimento dei sacchi per un tempo corrispondente a quasi tutto il periodo di digestione, ed eventualmente allungare o abbreviare entrambi i tempi di trattamento in funzione delle caratteristiche delle matrici energetiche. Infatti, il digestore lineare, consentendo l’evacuazione dei fanghi dall’alto, permette di digerire, a zone, matrici molto diverse tra loro. L’aria immessa, prima nelle tramogge, poi nella vasca di distribuzione, infine nei sacchi e la moderata rotazione dell’agitatore nei sacchi stessi, avranno la funzione di compostare e biostabilizzare aerobicamente le sostanze organiche non digerite e di miscelare l’ossido di calcio in polvere, nelle percentuali richieste dal compost (5-15%), che assicura la stabilizzazione chimica, contribuendo all’essiccazione, senza compattamento. Con lo svuotamento della tramoggia (tcrd) di pretrattamento, rilevato con sonde capacitive, si arresterà l’elettropompa di sollevamento del fango e dell’acqua di diluizione (prelevata da una discesa dallo stagno biologico finale sbffv); successivamente si chiuderà la valvola a ghigliottina del silos della calce (vg) e si arresterà la valvola rotante di alimentazione dell’ossido di calce (vdca). Resteranno, invece, in funzione le soffianti che mantengono in sospensione i fanghi (esa) e la distribuzione dell’aria compressa agli agitatori, continuando a svolgere la funzione di aerazione dei fanghi, per il tempo programmato. Alla fine di ogni ciclo D.D.C.L., dopo aver sostituito i sacchi (ci), viene effettuato un ciclo di lavaggio della vasca con acqua pulita, proveniente da (sbffv), che filtrata dai sacchi appena montati, va ad alimentare il bacino di raccolta e ossidazione (brad) delle acque da depurare. In questo bacino arrivano anche le altre acque di scolo e il surnatante del digestore che alimenta gli stagni biologici (sbsfv) del fabbricato F.S.V.,oggetto di altro deposito di brevetto.
Con il sistema D.D.C.L. ci troveremo compattati nelle camere di fine trattamento centinaia o migliaia di sacchi di compost (ci), montati su un telai di acciaio inox, con interno un agitatore a comando pneumatico, sostenuto dallo stesso telaio. Alla fine del ciclo, dovremo, semplicemente, posizionare un piccolo carrello sollevatore sotto al sacco, scollegare le fascette metalliche con chiusura rapida a leva, liberando il sacco dal telaio, manovrare la leva manuale dell’agitatore che agevola la separazione del compost dal telaio, abbassare ed estrarre dal telaio il sacco con il compost, sigillare l’estremità superiore e tramite il carrello stesso, trasportarlo al mezzo di trasporto. Prevedendo eventuali rotture accidentali dei sacchi drenanti, il pavimento della camera di riempimento dei sacchi sarà realizzato con grigliati rimovibili in vetroresina o acciaio montati su pannelli filtranti in un comune telaio: rimuovendo il grigliato e il pannello sottostante si recupera interamente il compost disidratato che potrà essere ugualmente insaccato.
La sovrapposizione, al digestore, a partire del piano stradale, di questo sistema compatto (poco ingombrante) di disidratazione e biostabilizzazione aerobica e chimica dei fanghi, non produce cattivi odori, nonostante il processo anaerobico e il trattamento dei fanghi. Infatti, l’aria filtrata, che fuoriesce dai sacchi e non viene espulsa nell’atmosfera, ma tramite serrande di sovrappressione a gravità e brevi canali interrati sarà immessa nell’ambiente del bacino (brad) e da questa, tramite elettroventilatori (eva), nella serra del bacino (scmcv) del fabbricato F.S.V., dove l’aria potrà uscire soltanto dagli sfiati superiori (ua) dopo aver subito tutto il processo di deodorizzazione passando a contatto con le rocce calcaree (scmcv). Gli attuali digestori, composta tori, disidratatori , discariche, inceneritori, non potendo essere abbinati ai fabbricati serra, che non esistono, sono costretti a emettere cattivi odori, oltre che a inquinare e sprecare risorse.
Riferendoci alla capacità digestiva media di 6.933 T di rifiuti il giorno calcolata al cap. 25, il cui secco al 20% è circa 1400 T/g, supponendo che il risultato finale sia un compost con il 30% di umidità, confezionato in sacchi da 50 kg, ogn’una delle 220 sezioni disidratatrici e compostatici dell’impianto, produrrà dei lotti quindicinali di 124 T. di compost [ (1400*15)*1.30 / 220], diviso in 2480 sacchi. Lo spazio occupato da ogni sezione disidratatrice compostatrice sarà soltanto di circa 372 m2 ( 2480 * 0,15).
Alla fine di ogni ciclo D.D.C.L. sarà effettuato un ciclo di lavaggio della vasca con acqua pulita, c.s. proveniente da (sbffv) che filtrata dai sacchi appena montati andrà ad alimentare il bacino di raccolta e ossidazione iniziale delle acque da depurare (brad) che alimenta gli stagni biologici S.B.F.S.C.V.
Considerando che il tempo di riempimento medio di un sacco drenante sarà di circa 12-18 gg. ( in base ai tempi di digestione) e che ogni sacco ha il proprio sistema di aerazione e miscelazione, se tutto funziona come dovrebbe funzionare, e non ci sono ragioni per non crederlo, Nessun sistema di trattamento fanghi esistente potrebbero vantarsi di essere così completo, compatto, semplice e sostenibile.
Con il sistema D.D.C.L. ci troveremo compattati nelle camere di fine trattamento migliaia di sacchi di compost (senza nessuna necessità di movimentazione durante la lavorazione), montati su un supporto di acciai inox e contenuti in un telaio, con all’interno un agitatore a comando pneumatico, sostenuto dallo stesso telaio. Alla fine del ciclo, dovremo, semplicemente, scollegare il sacco e il telaio dai relativi attacchi, trasportare il tutto al punto di carico sul mezzo di trasporto tramite carrelli elevatori attrezzati, estrarre l’agitatore, chiudere il sacco, smontare il telaio, sollevare sul mezzo di trasporto il sacco pieno di compost; aprire il telaio, sostituire il sacco, rimontare l’agitatore e ricollegare il tutto e ai canotti di riempimento, sotto la vasca di alimentazione. Queste, che sembrano complesse operazioni, andrebbero a sostituire macchine molto più complesse e costose, fatte di centrifughe, essiccatori, cumuli di fanghi, coclee, nastri trasportatori e grandi capannoni industriali. Oggi il compostaggio aerobico, non preceduto da quello anaerobico, avviene in diverse fasi con notevoli costi spostando il compost in posti diversi. Durante queste fasi emette nell’atmosfera CO2, CH4, SOx, NOx ecc.. Assorbe energia elettrica per l’aerazione, ma non contribuisce alla produzione di nuova energia, attraverso i gas e i nutrienti contenuti nelle acque di scolo recuperati.
La sovrapposizione, al digestore, a partire del piano stradale, di questo sistema compatto (poco ingombrante) di disidratazione e biostabilizzazione aerobica e chimica dei fanghi, non dovrebbe produrre cattivi odori, nonostante il processo anaerobico e il trattamento dei fanghi. Infatti, l’aria filtrata fuoriesce dai sacchi e non viene espulsa nell’atmosfera, ma tramite serrande di sovrappressione a gravità e brevi canali interrati, sarà immessa nell’ambiente del bacino (brad) e da questo, tramite elettroventilatori (ev), nella serra S.C.M.C.V., dove l’aria potrà uscire soltanto dagli sfiati superiori dopo aver subito tutto il processo di deodorizzazione passando a contatto con le rocce calcaree. Quindi, il sistema non produrrà cattivi odori.
Compostaggio dei Fanghi non prodotti nei D.C.P.T.C.G.
Al capitolo 4 e al capitolo 32 accenno alle autobotti disidratatrici (deposito di brevetto CE2009A000010 del 28/10/2009), che ridurrebbero i costi e il numero di trasporti con autobotti di una cinquantina di volte, se i fanghi venissero trasportati già disidratati. La soluzione proposta dal sottoscritto e, naturalmente, passata inosservata, per non alterare il mercato degli “auto espurghi” è stata appunto l’autobotte per espurghi con disidratazione e stabilizzazione chimica con polveri di calcio, che non è altro che lo stesso sistema di disidratazione in sacchi sopra descritto ma montato su un auto carro. Questo sistema è stato pensato dal sottoscritto, non solo per ridurre i costi del trasporto dei fanghi ma anche per evitare di distruggere la flora batterica delle sezioni digestive a ogni spurgo, restituendo i liquami alla fossa dopo la disidratazione in condizioni alcaline, per favorire la digestione metanica. Ovviamente, i fanghi prodotti con questo sistema saranno più ricchi di calcio ma potranno essere non digeriti e sicuramente non compostati. Se non vogliamo continuare con le attuali autobotti che porterebbero i liquami con fanghi digeriti e non digeriti ai digestori, potremmo utilizzare il seguente sistema:
Essiccazione in un forno a tamburo rotante dei fanghi già disidratati e ricchi di calcio (30 – 50% in peso) e con questi ancora caldi e immissione degli stessi nella rete di pressurizzazione dei sacchi che trasporta anche l’ossido di calcio. Questo sistema consentirebbe di compostare anche i fanghi di provenienza esterna, di risparmiare ossido di calcio, di portare aria calda nei sacchi che migliorerebbe la disidratazione, di tenere asciutte e prive di condensa le tubazioni che trasportano l’aria e l’ossido di calcio.
Gasometri
Il biogas nell’impianto in oggetto è di qualità nettamente superiore al biogas prodotto dai digestori esistenti essendo stati aspirati i gas più pesanti, come il CO2, H2S, ma nel caso specifico preso in considerazione, abbinato a una centrale termoelettrica di 320 MWh avrebbe anche una notevole capacità di stoccaggio di 160.000 m3 (6 ore di produzione media calcolata al cap.25). Pari a 8.000 m3/h per ognuno dei 20 D.D.C.L.. Non mi risulta che esistano impianti di produzione biogas così grandi. Questa è un’altra ragione per distribuire meglio sul territorio la produzione energetica, evitando grandi centrali termoelettriche, a meno che, il biogas prodotto non venga inserito nella rete di distribuzione del metano, previo separazione dal CO2.
Proseguiamo il ragionamento impostato sul dimensionamento di una centrale da 320 MWh.
Per compensare le variazioni di produzione, sarà sempre necessario un gasometro con espansione volumetrica a campana o a membrana di almeno 16.000 m3nei pressi dell’utilizzatore finale e uno da 1600 m3 in testa a ogni digestore. Supponiamo di scegliere dei gasometri a membrana: La membrana esterna svolge una funzione protettiva e é costantemente in pressione per motivi statici. Il gasometro vero e proprio viene formato dalla doppia membrana interna. Questa, a seconda del livello di gas, si muove in senso verticale. In questi gasometri viene posta particolare attenzione ai carichi di progetto, quali: pressione interna, forza del vento, carico neve. Le membrane, rivestite di PVC, hanno caratteristiche, antincendio fungicida, e sono resistenti ai raggi UV. Per proteggerle da elementi quali (CH4, CO2, H2S etc.) le membrane interne e a pavimento possiedono un rivestimento speciale. Un condotto separato per l’afflusso e l’uscita del biogas nel gasometro serve a creare una miscelazione ideale del gas all’interno del gasometro. Devono essere previste più valvole di sicurezza dimensionate per la massima produttività dell’impianto per eventuali sovra e sottopressioni. Più soffianti riforniscono i gasometri della pressione necessaria per far fronte ai carichi dati dal vento e dalla neve creando allo stesso tempo una pressione sulla membrana interna. Tutte le soffianti sono collegate, tramite un tubo, al gasometro. Una valvola di ritegno, per ogni soffiante, impedisce in caso di mancata corrente lo sgonfiamento della camera d’aria fra membrana interna ed esterna. Ognuna delle 220 derivazioni di alimentazione del biogas sarà dotata di una valvola di ritegno a una valvola di sicurezza con sfiato convogliato verso la torcia. Ovviamente, il consumo del biogas, da parte dei bruciatori sarà prioritario rispetto agli altri combustibili, altrimenti sarebbero necessari altri impianti per il trattamento e la messa in rete del gas con altri investimenti. Nei gasometri non devono formarsi sovrappressioni e quindi per ogni gasometro si deve avere una valvola di sicurezza che rilascia il gas in atmosfera attraverso una torcia quando la pressione supera valori di 800-1000 mm H2O: questo si ottiene attraverso una guardia idraulica il cui battente idraulico determina la pressione di sicurezza. La guardia idraulica è corredata da ulteriori dispositivi di sicurezza come pressostati e valvole di scarico. Analogamente alle sovrappressioni vanno controllate anche le sottopressioni con valvole di blocco dell’alimentazione. Appositi separatori di condensa devono essere installati in tutti i punti più bassi della rete di trasporto del gas.
25) Le stime dimensionali le allocazioni potenziali della D.C.P.T.C.G. in Italia
Come abbiamo visto sopra, in un digestore anaerobico mesofilo monostadio a umido con temperatura del reattore di 35-37 oC, la percentuale di sostanza secca nel liquame in digestione può arrivare fino al 15%. Dalle varie matrici da rifiuti caricabili possiamo stimare una produttività media di in 87 Nm3/t con un tempo di ritenzione idraulica medio di quindici giorni. Considerando che le matrici, mediamente, siano costituite dal 20% di secco, supponendo di voler mantenere costante nel digestore la concentrazione media dei fanghi intorno all’8% di secco, alla fine del tempo di ritenzione dobbiamo aggiungere il 40% in peso delle matrici (8/20), dopo aver estratto i fanghi digeriti, mentre le acque e le schiume eccedenti, nelle fasi di esercizio e caricamento, sfioreranno nelle sezioni di depurazione tramite canalette di sfioro longitudinali al digestore. Avremo, pertanto, una capacità digestiva media di 6.933 T di rifiuti il giorno (260.000*0,40/15) e una produzione oraria media di biogas pari a 25.133 Nm3/h di biogas [ (260.000*0,40*87)/ (15*24) ], contribuendo alla produzione energetica per 160.851KW/h (25.133 * 6,4), quindi, potenzialmente alla fornitura del 29% della fonte energetica necessaria per alimentare la centrale termoelettrica in questione (160.851/552.000). Se invece di usare matrici di scarto utilizzassimo esclusivamente, matrici energetiche di qualità, in grado di produrre 390 Nm3/t, potremmo, addirittura, produrre più biogas della capacità di consumo della centrale. Infatti, il biogas prodotto sarebbe 112.666 Nm3/h [(260.000*0,40*390)/(15*24)] e assicurerebbe una capacità energetica al focolare di 721.000 KW/h contro i 552.000 necessari. ( in questo caso sarebbe necessario mettere in rete il gas).
Proseguendo nell’esempio di dimensionamento di un impiantoD.C.P.T.C.G. abbinato a una centrale termoelettrica di 320 MW possiamo considerare necessari i seguenti spazi, oltre quelli occupati dalla C.T.E.: n. 20 D.D.C.L. sottoposti ai silos di stoccaggio delle matrici cerealicole e a quelli dell’ossido di calcio, dim. 350 * 20 m = 140.000 m2; n. 20 F.S.V.dim. 350* 50 m = 350.000 m2; n. 22 strade 350*15 = 115.500 m2. Pertanto, lo spazio totale necessario è di circa 61 ettari, escluso il gasometro che sarà installato nell’area della centrale termoelettrica. Chiaramente, vengono fuori delle opere grandissime, ma bisogna ammettere che risolverebbero problemi grandissimi, la cui soluzione, oggi, non è nemmeno sfiorata dagli impianti attuali. Tuttavia, considerando che da questo semplice dimensionamento, si possono stimare necessari 0,2 ettari di terreno per ogni MWh di potenza della centrale (61/320), viene fuori, per esempio, che per pulire l’energia prodotta dalla C.T.E. di Brindisi, che è a carbone e già occupa una superficie di 250 ettari, dovremmo aggiungere alla stessa un impianto ( D.C.P.T.C.G)che occuperebbealtri 520 ettari (2600 * 0,2) più una nuova C.T.E. in grado di consumare almeno il biogas prodotto grazie al recupero delle risorse termiche sprecate dalla stessa centrale, che potrebbe portare al raddoppio della potenzialità energetica (se non il gas prodotto non si metta in rete). Lo stesso discorso potrebbe essere fatto per la centrale di Porto Tolle (2000 MW), che già occupa una superficie di 220 ettari. Ma sarebbe meglio distribuire diversamente gli impianti sul territorio, producendo meno energia in una singola località. Per esempio, in proporzione, un impianto D.C.P.T.C.G con una potenzialità di 32 MWh occuperebbe soltanto 6,1 ettari, e sarebbe costituito da n.2 F.S.V. affiancati da n. 2 D.D.C.L. oltre gli spazi necessari alle C.T.E. originaria. Diventerebbe il centro di riferimento del territorio circostante non solo per produrre energia pulita, ma anche per depurare e alcalinizzare le acque, per digerire i rifiuti organici, per produrre compost, con una qualità molto superiore a quella attuale e costi a dir poco dimezzati, se si considerano i costi attualmente sostenuti per produrre energia, depurare, digerire, compostare. Alla fine, anche gli spazi occupati sarebbero compensati dagli spazi non più occupati per questi trattamenti eliminati.
Ho riportato in precedenza la tabella estratta da Wikipedia con tutte le centrali termoelettriche italiane, affinché chiunque, soprattutto le associazioni ambientali, invece di fare proteste demagogiche, possano verificare, sul posto, se esistono le condizioni per pulire l’energia di una qualsiasi centrale termoelettrica, anche se alimentata a carbone. Se non esistono possono proporre di ridimensionare la potenzialità in quel posto, spostando il resto della produzione in un’altra zona dotata dei requisiti necessari. Lo stesso discorso vale per tutti gli impianti dotati di una ciminiera, in particolare le acciaierie, ma anche cementifici.
La depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale è molto diversa dalla produzione energetica che conosciamo e anche dalla produzione energetica semplicemente pulita, oggi tanto esaltata, ma non competitiva, se raffrontata con la D.C.P.T.C.G. né sul piano ambientale né su quello economico. Oltre tutto, la depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale, può essere fatta in casa da ogni Stato sovrano, senza bisogno di risorse naturali e materie prime soggette alle speculazioni dei mercati internazionali.
Nell’esempio in questione è venuto fuori che i venti fabbricati F.S.V. dimensioni 50*300*70, divisi in tredici piani e vari settori, potranno contenere complessivamente 234 ettari di coltivazioni terrestri e acquatiche a temperatura controllata, N. 2.088.960 (104.448*20) cestelli pensili contenenti 1.462.272 m3 di rocce calcaree. Ma, in caso di necessità, potrebbero contenere decine di milioni di cestelli con resine di scambio ionico in lento movimento per restituire acque salmastre all’irrigazione dei campi.
I fabbricati D.D.C.L. dimensioni 20* 300 m, saranno più bassi dei F.S.V.. Potranno avere, ad esempio, delle postazioni di carico ed estrazione fanghi ogni 27,5 m, che rappresentano 11 postazioni per ogni linea, per un totale 220 e un volume totale dei digestori di 400.000 m3, con il liquame in digestione di ben 260.000 m3. Pensando che, normalmente i digestori circolari non superamo il volume totale di 3.000 m3, non recuperano i fumi e non abbattono le emissioni di CO2, assorbono quasi il 50% dell’energia prodotta dalla C.T.E. a loro abbinata, si comprende facilmente che il sistema proposto, è immensamente superiore nelle potenzialità quantitative qualitative energetiche e depurative.
Le acque che entreranno nei bacini non saranno soltanto a quelle provenienti dalla centrale termoelettrica, necessarie al riscaldamento dei fanghi ( 40.432.236 L/h.), ma ne andranno aggiunte altre necessarie alla digestione a umido, al raffreddamento dei fumi, al trasporto idraulico dei fanghi alla disidratazione e compostaggio, alla coltivazione acquatica, all’irrigazione delle coltivazioni terrestri, e alla realizzazione delle piogge, possibilmente acide, che neutralizzano, principalmente, il CO2 nelle serre calcaree. Queste ultime, saranno quelle più abbondanti, se si vorranno utilizzare sistemi sostenibili per abbattere la percentuale di CO2 presente nell’atmosfera e di acido carbonico negli oceani. Ma in assenza di grandi quantità di acqua, ci si potrà accontentare di riciclare la stessa acqua producendo e precipitando nei bacini (braa), carbonati di calcio e magnesio, a spese delle rocce e del CO2.
Nell’impianto dimensionato per la centrale termoelettrica di 320 MWh si è ipotizzata una portata di acqua di 240.000.000 di L/h, pari a quella che utilizziamo per il raffreddamento dei fumi che ricade nello stesso bacino. Il grande fabbisogno di acqua imporrà di realizzare raramente impianti della dimensione considerata nell’esempio salvo che la centrale di produzione energetica non sia posta in parallelo a un grosso fiume o a un grande bacino idrico. Ma come si è detto, il sistema di dimensionamento illustrato è modulare e consente di ipotizzare la dimensione dell’impianto immediatamente, con una semplice proporzione, anche per potenze di pochi MWh.
Un’ultima considerazione sugli spazi occupati dall’impiantoD.C.P.T.C.G. abbinato a una centrale termoelettrica di 320 MW: considerando che la quantità di CO2 prodotta dalla centrale ipotizzata (74.093 kg/h) richiederebbero 650.000.000 milioni di alberi con un fusto da 30 cm, se è vero che questi assorbono mediamente 1 kg di CO2/anno (74.093*24*365). Concedendo a ogni albero 16 m2, questi occuperebbero uno spazio di circa 1.040.000 ettari di terreno [650.000.000 * (16/10.000)], contro i 61 ettari necessari all’impianto.
Non occorrono dati ufficiali per far comprendere le potenzialità del sistema D.C.P.T.C.G, se fosse applicato in Italia. Da Wikipedia, cito i dati concernenti, i consumi energetici nazionali, che, nel 2010, sono stati di 346.000 GW; mentre da una pubblicazione disponibile in rete: http://www.ladurnerambiente.it/544.pdf si riportano di seguito le capacità specifiche di produzione di biogas delle varie matrici espresse in m3/T: Fanghi civili 7; Fanghi agroindustriali 10; Reflui zootecnici 64; FORSU (frazione organica rifiuti urbani) 137; Scarti animali 208; Scarti vegetali agroindustriali 252; Scarti vegetali colturali 259; Amidacee e colture dedicate 389; Colture oleaginose proteiche 663. Dai valori espressi possiamo assimilare le piante acquatiche e il plancton tra gli scarti vegetali e le colture dedicate stimando una capacità specifica di circa 320 m3/T.
Da un’altra pubblicazione in rete: http://www.agroenergia.eu/attachments/073, che cita dati elaborati dalla C.R.P.A. spa di Reggio Emilia, risulta che in Italia produciamo annualmente le seguenti matrici produttive di biogas da rifiuti, espresse in tonnellate:
Deiezioni animali 180.000.000 (*64); Scarti agro-industriali 12.000.000 (*252); Scarti di macellazione 2.000.000 (*208); Fanghi di depurazione 3.000.000 (*7); FORSU 9.000.000 (*137); Residui colturali 10.000.000 (*252).
Moltiplicando questi valori per le capacità specifiche di produzione di biogas in m3/T riportati in parentesi, avremmo una produzione nazionale di biogas di circa 18.734.000.000. m3/anno di biogas e una capacità specifica di produzione media, da rifiuti, di 86,7 m3/T. Se questa risorsa non la sprecassimo in grandissima parte e avessimo delle centrali termoelettriche moderne, con ciclo combinato e un rendimento del 55%, moltiplicando questa produzione potenziale per il calore specifico inferiore medio del biogas, stimato in 6,4 kw/m3, avremmo la potenzialità energetica del Paese dovuta agli scarti e rifiuti, pari a circa 66.000 GW(18.734.000.000*6,4*0,55). Ma come spiegato, gli impianti di “D.C.P.T.C.G.” possono arricchire la percentuale di metano nel biogas aumentando il potere calorifero. Per il momento consideriamo che questo vantaggio influisca soltanto per il 10% e portiamo questa produzione a 72.000 GW.
Riporto di seguito una tabella non ufficiale, riportante le centrali termoelettriche italiane, estratta da Wikipedia, e modificata, asportando gli altri tipi di centrali.
La somma delle potenze installate sopra riportate è di circa 50.835 MWh, moltiplicando tale valore per 24 ore e per 330 giorni abbiamo la produzione di 402.613 GWh, che è già superiore al consumo registrato in Italia nel 2010 (346.000 GWh) esclusa la produzione delle centrali idroelettriche, eoliche e solari che assommano a ulteriori 9.221 MWh, pari al 18% (9.221/50.835%) Quindi, possiamo approssimare la produzione termica in Italia all’ 82% di quella totale, pari a 283.720 GWh (346.000 * 0.82).
Considerando, come da calcolo sopra riportato, che una centrale termoelettrica con ciclo combinato da 320 MWh, che è la migliore in assoluto con un rendimento del 55%, ha una potenza resa di 304 MWh e produce in un anno 2.407.680 MW (304.*330 * 24), spreca nelle acque di raffreddamento e nell’atmosfera ben 248 MWh (552-304), facendo le debite proporzioni, con un rendimento medio del 40%, a livello nazionale, sulle potenze rese, il calore termico sprecato è circa 472.866.000 MWh (283.720.000/0,60). Supposto il costo del MWh termico pari a $ 40 (50% del costo del MW elettrico, secondo la tabella MEPRI), ogni anno, in Italia, si spreca in calore $ 18.914.640.000 (472.866.000 * 40), convertiti in euro (1/1.30), sono € 14.549.723.000. Se i 72.000 GWh da rifiuti, visti sopra, fossero interamente convertiti in energia reale e pulita negli impianti di D.C.P.T.C.G. abbinati a centrali con ciclo combinato, varrebbero ben € 4.430.000.000 (72.000 * 1.000 * 80/1,30). Se consideriamo che a una centrale termoelettrica di 320 MW possiamo abbinare una serie di n.20 digestori lineari con un volume complessivo di 400.000 m3 e una capacità digestiva media di 6.933 T/g, come calcolato, e quindi digerire 2.287.890 T/anno (6.933 *330); in proporzione, a livello nazionale, alla potenzialità energetica di 50.835 MWh riportata da Wikipedia, potremmo abbinare una capacità digestiva di circa 363.452.775 T (50835/320*2.287.890), che è circa 1,68 volte il totale dei rifiuti che produciamo in un anno (216.000.000 T). La differenza tra 363.452.775 – 216.000.000 = 147.452.775 T, può essere utilizzata per digerire colture proteiche, che hanno potenzialità produttive di biogas ben superiori a quelle dei rifiuti (389 m3/T). Quindi, potremmo aggiungere una produzione di biogas di m3 57.359.000.000 (147.452.775 * 389). Moltiplicando questa produzione per il calore specifico inferiore medio del biogas stimato in 6.4* 1.1 kw/m3 (considerando che i digestori lineari abbinati ai depuratori coperti possono produrre un biogas con una percentuale maggiore di metano) abbiamo la potenzialità di 403.808 GWh (57.359.000.000 *7,04 /1000.000) che sommati ai 72.000 GWh da rifiuti fanno circa 475.808 GWh, la quale, con l’attuale rendimento della produzione energetica del 40%, produrrebbero 190.000 GWh. Per arrivare ai consumi energetici del 2010 di 346.000 GWh, resterebbero soltanto 156.000 GWh da pulire. Considerando che dovremmo digerire soltanto nuove produzioni energetiche, con maggiori rendimenti produttivi, potremmo ugualmente soddisfare al fabbisogno nazionale scaricando dalle C.T.E. acque più calde e realizzando altri D.D.C.L. a cui affiancare altri F.S.V.. Oggi per legge la temperatura delle acque di raffreddamento all’uscita delle C.T.E. non può superare i 35 oC, scaricando le acque direttamente nei corpi idrici e nel mare. Se fossero scaricate negli impianti, le potremmo scaricare anche a 45oC. Ci sarebbe ancora più energia recuperabile se le acque potessero sfruttare ulteriormente il calore posseduto raeffreddandosi nei D.D.C.L. e nei F.S.V.. Richiederebbe un altro studio appurare quanta energia termica potremmo recuperare dagli impianti termici industriali come acciaierie, cementifici, industrie, affiancando loro un D.C.P.T.C.G..
Ognuna delle centrali riportata in tabella dovrebbe essere esaminata per verificare come costruirle vicino un D.C.P.T.C.G.. Se non è possibile farlo, converrà, ridurre la potenza energetica e adeguare la centrale al D.C.P.T.C.G. che potrà essere realizzato in quel posto. Gli elementi smontati, se riutilizzabili, potranno servire a realizzare una nuova C.T.E. con D.C.P.T.C.G. da qualche altra parte.
26) I costi della D.C.P.T.C.G.
Con questa soluzione che consentirebbe il recupero del calore delle centrali termiche, di fatto, avremmo azzerato i costi della digestione delle matrici energetiche che valgono almeno il 40% del costo di produzione da biomasse riportati nella tabella EPRI (cap. 21), quindi possiamo dire che il costo energetico, a regime, con tutti gli impianti adeguati e senza emissioni, si potrebbe abbassare del 40% rispetto agli $ 83,5 medi, che in euro sono circa € 65 MWh. Per semplicità di calcoli, ipotizziamo che questo risparmio venga completamente investito per convertire le centrali termiche in impianti di depurcogeproduzione coperta (D.C.P.T.C.G) e quindi il costo della nuova energia sarebbe, appunto, € 65 MWh, mentre il costo capitale, in virtù dei maggiori spazi occupati, delle maggiori opere idrauliche, civili ed elettromeccaniche potremmo assimilarlo a una centrale con biomasse a letto fluido circolante ($/ kW.el. 3.580 = € 2.754), ma con un grado di efficienza superiore a qualsiasi tipo di centrale elettrica. Attualmente non raffrontabile con nessuna realtà. Se al ciclo combinato la tabella EPRI concede un’efficienza del 47%, a questo dovremmo aggiungere almeno altrettanto in valore di efficienza dovuto del recupero del calore delle acque e dei fumi, del depurare e alcalinizzare le acque della depurazione dei fumi dal CO2, della capacità di produrre biogas con minore percentuale di CO2. Tutto ciò comporta che all’efficienza strettamente energetica dobbiamo aggiungere dobbiamo aggiungere delle efficienze ambientali che, oggi sono variamente sparse sul territorio con rendimenti bassissimi e costi capitali elevatissimi. Non avendo termini di confronto, assimiliamo il costo del trattamento dei fumi, al costo dell’ossido di calcio (sebbene gran parte del calcio sarà estratto direttamente dalla corrosione delle rocce, con costi ambientali ed energetici inferiori). Per la centrale di 320 MW, come calcolato precedentemente, il consumo di ossido di calcio sarebbe circa 94.098 kg/h che arrotondiamo a 100.000 kg/h per tener conto delle dispersioni e moltiplichiamo per 330 gg. e 24 h e avremo un consumo di 792.000 T. anno. Supponendo il costo dell’ossido di calcio pari 100 €/T.. Questo avrebbe un’incidenza di circa € 33/MWh [100*792000/ (304*330*24)]. Inoltre, avendo sopra calcolato una potenzialità digestiva nazionale di masse pari a 363.452.775 T con una media del 30% di secco e utilizzando 10% di calcio per facilitare la disidratazione, la stabilizzazione e il compostaggio, occorrono circa 10.900.000 di T di ossido di calcio (363.452.775 * 0,3* 0,1), con un costo complessivo di € 1.090.000.000, con un’incidenza media di circa € 3,00 (1.090.000.000/363.000.000). Quindi, il nuovo costo energetico, se non sono sbagliati i dati di partenza, presi dalla tabella EPRI (elaborata da esperti internazionali), per un’energia pulita, prodotta interamente in Italia, senza importare prodotti petroliferi o energia nucleare, depurando e non inquinando l’ambiente è di € 110/MWh (65+33+3,0 + imprevisti arrotondati a € 9,0). Ma questi costi comprenderebbero pure la parziale depurazione, l’alcalinizzazione di circa 800 m3/h di acqua/MWh (240.000/304), la disidratazione e stabilizzazione e il compostaggio di circa 0,19 T di fango secco/MWh prodotto [(6.933* 0.20/24)/304 ], stimati al cap. 25 e nelle pagine precedenti. Questi non sarebbero una zavorra da incenerire ma una ricchezza da distribuire, essendo digeriti, stabilizzati e compostati. Ma pensiamo anche alle attività lavorative che si svolgerebbero dietro questa trasformazione dei sistemi di depurazione ed energetici. Ne risentirebbe l’intera società del futuro.
L’Italia, adesso, è tra gli ultimi in Europa nella produzione energetica da biomasse. Ma, questa potrebbe essere una fortuna, come è stata una fortuna aver abbandonato il nucleare, prima di spendere altre risorse. Avremmo ancora più debiti di quelli che abbiamo. Il nucleare avrebbe prodotto maggiori quantità di vapore senza interagire con altri sistemi per depurare e alcalinizzare le acque. Con investimenti sbagliati nel settore energetico avremmo accresciuto ulteriormente il nostro debito pubblico, aggiungendo debiti a debiti per realizzare opere, antieconomiche, dannose e pericolose, come il nucleare e il C.C.S., alberi artificiali. Prima di muoverci in questo settore strategico, che giustamente è accorpato, sotto il ministero dell’ambiente, dobbiamo riconoscere che, nella realtà, questo ministero è gestito come se esistessero quattro ministeri diversi: Idrico, depurativo acquatico, smaltimento rifiuti, energetico. Mentre la ricerca è un ministero a parte, dipendente dal ministero dell’Istruzione. Nessuno di questi settori è funzionante e mai lo sarà se non si accorpano, almeno, tutte le funzioni della progettazione impiantistica pubblica per recuperare le risorse sprecate e chiudere il ciclo del carbonio. Tutti gli impianti pubblici sono fonte di enormi sprechi, che contribuiscono notevolmente all’immenso debito pubblico. Questo vale per tutti i Paesi. L’Italia con la Depurcogenerazione globale a regime, estesa a tutto il Paese, potrebbe risanare l’enorme debito pubblico (di 2000 miliardi di euro) in pochi di anni, comportando risparmi in tutti settori. Solo che ci vorranno 40-50 anni per modificare gli impianti affinché possano costituire un percorso logico e razionale dell’acqua e dell’aria inquinata, essendo tutto da rifare. Un’altra ventina di anni occorreranno per far comprendere a che gestisce l’ambiente e a chi lo insegna nelle Università che il sistema è sbagliato. Se anche i giovani che lavoreranno in futuro nel settore ambientale vengono formati dalla stessa scuola, di anni ne occorreranno molti di più. Attualmente dall’inquinamento globale non sono protetti né gli ambienti urbani, né i corpi idrici. Le centrali termoelettriche, sprecano energia ed emettono CO2 nell’ambiente con doppio danno, ambientale, ed economico, essendo il CO2 una preziosa risorsa sprecata. Le altre produzioni energetiche non sono ancora economicamente sostenibili, ma comunque, potrebbero fare ben poco per contribuire a risanare le acque oceaniche che vanno verso l’acidificazione. Soprattutto, i sistemi di protezione globale studiati per le città, i corpi idrici e la D.C.P.T.C.G. dimostrano che è necessario realizzare impianti completi di depurazione aria, acque, rifiuti e dove possibile produrre anche energia, per ottimizzare i rendimenti e ridurre le emissioni inquinanti. Se non si vogliono comprendere questi concetti, è meglio lasciare le cose come stanno, che continuare a sbagliare addebitando i costi ai contribuenti. Prima di creare altre corporazioni come i notai, tassisti, farmacisti, ecc. trasformando gli agricoltori in produttori di energia fuori mercato, pagando, fino a dicembre 2012, 0,28 €/kwh, emettendo comunque CO2 nell’ambiente e disperdendo calore, rendiamoci conto, che con costi di investimenti e di gestioni di molto inferiori, possiamo azzerare quasi completamente le emissioni e sfruttare tutto il calore, che da un secolo sprechiamo nelle acque dei mari, dei fiumi e nell’atmosfera. G 0,28 €/kwh, pagati in Italia (in base alla legge del 23 luglio 2009, n. 99) per la produzione energetica da biomasse equivalenti a 280 €/MWh, sono molto lontani dai 110 €/MWh, sopra calcolati, partendo dai costi della tabella EPRI, per un’equivalente produzione energetica che comprende anche l’azzeramento delle emissioni di CO2, la depurazione e l’alcalinizzazione di immense portate di acqua, oltre al digestato liquido. Le ragioni per le quali il sistema che propongo, oltre che più efficiente è anche più economico, è molto semplice: si evitano gli sprechi energetici, si sfruttano le potenzialità delle stesse sostanze inquinanti ai fini depurativi, si evitano doppioni inutili e meno efficienti. A cosa servono impianti separati, che da soli, non potendo chiudere il ciclo del carbonio, sono costretti a emettere inquinamento nell’ambiente e costano anche di più come investimenti e gestione? Il D.M. 6 luglio 2012 va nella giusta riduzione abbassando il costo degli incentivi e favorendo la ricerca di soluzioni più complete ed economiche. Ma chi deve riconoscerle? Se gli enti di Stato preposti alla produzione e alla ricerca nel campo dell’energia, tacciono, di fronte alla proposta della D.C.P.T.C.G..
I costi di produzione riportati nella tabella EPRI, cap.21, sebbene calcolati nel 2008, si riferiscono a una stima al 2015, sono molto più bassi dei costi praticati in Italia. Tuttavia, questi costi, non comprendono l’abbattimento del CO2. Se assimiliamo il costo capitale della D.C.P.T.C.G. con i costi capitali delle biomasse a letto fluido circolante, riportato nella tabella (3.580 $/Kw), ci accorgiamo questo costo sarebbe inferiore al nucleare, al solare termico e al fotovoltaico, ma comprenderebbe anche l’abbattimento del CO2 e il trattamento delle acque, l’alcanizzazione dei corpi idrici, l’eliminazione di altri costi di depurazione delle acque, dell’aria, inceneritori e compostaggi.
Paradossalmente, se distribuissimo le 216.000.000 T. di rifiuti digeribili che si producono in Italia in impianti D.C.P.T.C.G. di varie taglie, secondo le esigenze del territorio, non solo risparmieremmo un quinto della produzione energetica del paese, ma sottrarremmo all’ambiente circa l’80-90% di tutto il CO2 prodotto dalle centrali termiche interessate (compreso quelli di origine fossile) e i nutrienti di milioni di m3 di acque fluviali lacustri e costiere interessate al processo o che attraversano l’impianto solo per il raffreddamento.
Si dovrebbe comprendere che di fronte a una tale potenzialità non c’è ragione di avere nel Paese altri sistemi di depurazione delle acque e trattamento dei rifiuti organici come discariche, digestori e cogenerazioni che emettono CO2 e non possono competere con le potenzialità, rendimenti costi. Le enormi quantità di postazioni di carico dei rifiuti digeribili, gestite da computer, consentirebbero di evitare accumuli puzzolenti negli impianti C.D.R. e discariche. Si accumulerebbero nei silos soltanto le produzioni energetiche integrative per la saturazione degli impianti.
Potremmo dire che le nuove energie, anche quando abbasseranno i costi capitale allo stesso livello della D.C.P.T.C.G. (v. tabella EPRI, cap. 21), non potendo svolgere le stesse funzioni di protezione ambientale, non saranno mai competitive.
In Italia, se dai rifiuti potremmo produrre circa 1/5 dell’energia nazionale, molto probabilmente gli altri 4/5 li potremmo produrre dalle coltivazioni dedicate cerealicole che non sono state considerate quantitativamente. Queste hanno una capacità produttiva media di circa 47 T/ha e una capacità specifica di produzione di biogas di 389 m3/T di biogas. Quindi, un ettaro di terreno ha una capacità media produttiva di 67.000 kW /anno (47*389*6,7 kW/m3* 0,55). Essendo il fabbisogno nazionale 346.000 GW e la potenzialità ricavabile da rifiuti di 72.000 GW, come sopra calcolato, per produrre i 274.000 GW mancanti occorrerebbero circa 4.089.000 ettari di terreno (274.000 GW/67.000 kW). Considerando che la superficie coltivabile in Italia è di circa 13 milioni e duecentomila ettari, potremmo ipotizzare anche una completa autonomia energetica se gran parte delle risorse non andassero sprecate e tanti terreni non fossero incolti per molte ragioni sulle quali non si vuole indagare. Tra le colture energetiche “dedicate” alla produzione di biogas, si utilizzano in particolare mais, sorgo, triticale, girasole. Si tratta di piante appartenenti tutte alla famiglia delle graminacee, caratterizzate da buoni rendimenti colturali, dalla crescita veloce, dall’adattabilità a diversi tipi di terreno e da un’elevata percentuale di sostanza secca.
27) Le proiezioni depurative della D.C.P.T.C.G in Italia.
La fonte energetica naturale, che restituirebbe gli elementi nutrizionali alla terra e carbonati ai mari nel giusto dosaggio senza emissioni di CO2, sarebbe proprio quella attraverso gli impianti di depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale (D.C.P.T.C.G.), che ancora non esistono, ma sono a portata di mano con la tecnologia esistente. Ma se in futuro gli uomini si accorgeranno che il miglior modo per produrre energia sostenibile e quello attraverso la produzione di bio carburanti, non potranno illudersi di procedere alle depurazioni attraverso i sistemi depurativi attuali, che non riescono a smaltire nemmeno l’inquinamento urbano, paragonabile alla centesima parte delle future necessità depurative. Per questo è indispensabile la depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale, che utilizza l’inquinamento prodotto dai D.D.C.L. e il CO2 nei Fabbricati sinergici verticali(F.S.V.), come nutrienti per produrre biomasse terrestri e acquatiche, scaricando soltanto acque depurate e alcalinizzate, se necessario, desalinizzate. Avremo oltre al CO2 (concimazione carbonica) grandi quantità di compost e di digestato liquido che sono delle immense risorse energetiche e ambientali, che la cultura ambientale attuale è impreparata a gestire.
Non illudiamoci che con le nuove energie abbiamo risolto i problemi ambientali ed energetici. Manca il meglio: Chi chiude il ciclo del carbonio? Chi protegge gli oceani, i corpi idrici, le falde acquifere? Non certo i depuratori delle acque. Non lo hanno mai fatto e mai lo faranno. Con la D.C.P.T.C.G., la depurazione ambientale, compreso il consumo di CO2, sarebbe compresa nel prezzo di produzine dell’energia.
Anche i liquami urbani conservati freschi attraverso la depurazione fognaria ignorata dalle autorità ambientali, potrebbero essere accolti gratuitamente come nutrienti per le biomasse nei D.C.P.T.C.G. Vediamo di cosa parliamo.
Nel Bel Paese la copertura del servizio di fognatura è all’84,7% (dati Rapporto Blue Book di Anea 2009) I depuratori trattano liquami per circa 69.000.000 di abitanti equivalenti. L’acqua che entra nelle reti pubbliche in un anno è circa 8 miliardi di m3, quella che esce dai rubinetti è circa 5,45 miliardi (il 44,6% si perde); quella che viene depurata è circa il 70,4% di quest’ultima (3,83 miliardi di m3). Il 44,7% (1,71 miliardi di m3) ha il privilegio di subire un trattamento depurativo fino al terziario; il 49% un trattamento secondario; il 6,3% un trattamento primario. Nel caso in cui realizzassimo la depurcogenerazione coperta globale trasformando tutte le centrali termoelettriche italiane, che secondo la tabella sopra riportata hanno una potenzialità di 50.835 MWh, avremmo bisogno di far circolare annualmente attraverso gli impianti almeno i seguenti quantitativi di acqua non legati alle attuali depurazioni:
acque di raffreddamento delle centrali e dei fumi: [ (50.835/320) * (40.432 *24 *365* 55/40)].= 77,365 miliardi di m3;
acque di condensa contenute nei fumi delle centrali: [ (50.835/320) * (105 *24* 365* 55/40)].= 200 milioni di m3;
Acque digestate; [ (50835/320) * (400* 365/15)].= 1.54 milioni di m3;
La somma totale è 77,58 miliardi di m3/anno, ma nell’esempio di dimensionamento dell’impianto di “depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale” da 320 MWh, abbiamo visto che per neutralizzare il CO2, quando la produzione energetica non richiede concimazione carbonica abbiamo bisogno di far passare negli impianti molta più acqua: circa 460 miliardi di m3/anno [ (50.835/320) * (240.000 *24 *365* 55/40)]. Oltre tutto, questa maggior portata servirebbe a raffreddare meglio i fumi e le acque di raffreddamento delle centrali termoelettriche.
Di fronte a questi valori, dobbiamo riconoscere che le acque che trattiamo (3,83 miliardi di m3/anno) in Italia, senza nemmeno alcalinizzarle, non fanno nemmeno il solletico ai grandi problemi ambientali che abbiamo a livello globale. Ma, come detto, Aumentando le portate ne beneficerebbero anche i corpi idrici e le zone costiere, perché le acque non devono essere depurate come facciamo attualmente, acidificandole ed emettendo nell’ambiente un carico inorganico, come il CO2, che riassorbito dall’ambiente provoca ulteriore inquinamento e acidificazione. Ipocritamente, facciamo soltanto le analisi delle poche acque depurate, trascurando il valore alcalino. Le acque depurate dovrebbero avere precise caratteristiche fisiche chimiche, adeguate al corpo idrico ricevente e circolare nell’ambiente globale partecipando attivamente ai cicli del carbonio e alla regolazione termo climatica globale (che incide anche sulle correnti oceaniche, lo scioglimento di ghiacciai, i tifoni le alluvioni, ecc). Non si dica che no proteggiamo l’ambiente perché costa troppo, perché non è vero. Costerebbe molto di più il C.C.S. che vogliono attuare, il quale, certamente, non correggerà l’alcalinità, né raffredderà le acque. Nemmeno quelle che già oggi passano attraverso le C.T.E. Le acque che trattiamo attualmente sono soltanto lo 0,8 % di quelle che vengono fuori dall’estensione del sistema D.C.P.T.C.G a livello nazionale. Questa piccolissima percentuale, poiché durante il trattamento locale, in genere, viene acidificata senza correzione e comporta emissione di CO2, ai fini dell’inquinamento globale, porta soltanto a un peggioramento dell’ambiente. Quindi, la legislatura se vuole tener conto dell’inquinamento globale deve imporre trattamenti diversi da quelli attuali e parametri di alcalinità adeguati alle caratteristiche locali. In linea di massima, le acque urbane potrebbero essere pre-trattate nella depurazione fognaria e completare la depurazione e l’alcalinizzazione passando attraverso i depuratori coperti o i fabbricati sinergici verticali (F.S.V.) senza ulteriori trattamenti, eliminando completamente i depuratori attuali, che non sono progettati per poter contribuire alla depurazione globale dell’ambiente. Non sono stati progettati per consumare il CO2, anzi lo emettono; né per produrre biomasse e nemmeno per sopportare le variazioni dei carichi idraulici: sversando liquami non trattati nei corpi idrici in condizioni assai peggiori di quando sono stati accolti in fogna.
I 460 miliardi di m3/anno, stimati, pari a circa 14.560 m3/sec, pari a dieci volte la portata media del Po (1540 m3/sec) devono semplicemente passare attraverso gli impianti D.C.P.T.C.G raffreddare le acque riscaldate dalle C.T.E. consumare i nutrienti e il CO2 e subire l’alcalinizzazione attraverso gli S.C.M.C.V. Solo una piccola percentuale di queste acque, quelle più inquinate, pari a circa 10 miliardi di m3/anno saranno deviate negli S.B.F.S.C.V. per essere depurate in modo più intensivo, prima di essere inserite negli S.C.M.C.V. (stagni di carbonatazione meccanizzati coperti verticali) per uscire definitivamente dagli impianti e proseguire nei corpi idrici.
Ovviamente, per sopperire a questo grande fabbisogno, una parte di queste acque verrà continuamente riciclata negli impianti e una parte potrà essere presa dal mare (utilizzata soprattutto per il raffreddamento). La quantità di CO2 da abbattere, basandoci sempre sulla proporzione con la C.T.E. da 320 MWh presa come esempio, potrebbero essere: [ (50.835/320)* (649.000*55/40)] = 141.762.692 T/anno, pari a circa ¼ della produzione nazionale, nella fortunata ipotesi che tutte le centrali fossero trasformate a metano. Se dividiamo la quantità di CO2 per la quantità di acqua che passerebbe attraverso gli impianti, riportando tutto in tonnellate (141.762.692/460.000.000.000), abbiamo un rapporto pari a 0.00308 T/T = 3,08 g/L. Come già scritto, a temperatura ambiente e alla pressione atmosferica, l’acqua non è in grado di assorbire più biossido di carbonio di quanto ne contiene normalmente in base al proprio equilibrio salino. Se insistiamo a somministrare CO2 nell’acqua, circa l’1% viene trasformato in acido carbonico (CO2 + H2O → H2CO3), il resto viene restituito all’atmosfera, dove partecipa attivamente all’effetto serra. Affinché l’acqua possa assorbire il CO2, senza restituirlo in atmosfera, occorre aumentare l’alcalinità dell’acqua, cioè il contenuto di carbonato di calcio (CO2 + Ca++ + 2OH─ ⇄ CaCO3 + H20), il quale aumenta la durezza carbonatica dell’acqua, oppure bisogna innescare un processo foto sintetico che trasformi il CO2 in zuccheri e ossigeno. Questi processi non possiamo farli a cielo aperto, ma negli ambienti creati appositamente nei F.S.V., dove la maggiore concentrazione di CO2 ne favorisce gli assorbimenti, in base alle leggi di Dalton ed Henry, aumentando il rendimento di queste reazioni. Il CO2 solubilizzato nell’acqua nell’ambiente coperto, ma non trasformato in bicarbonato, all’uscita dell’impianto viene restituito immediatamente dalle acque all’atmosfera. Per favorire questo assorbimento occorrono grandi portate di acqua, grandi portate di aria e grandi superfici di contatto con le rocce calcaree. E’ questo il motivo per il quale con questo sistema si depura anche l’aria che, oltre al CO2, contiene anche altri gas e polveri sottili che sfuggono alla depurazione dei fumi.
28) L’economia del calcio e dell’acqua nei bacini e fabbricati serra coperti.
Per combattere il riscaldamento globale e l’acidificazione oceanica disidratare e stabilizzare i fanghi dobbiamo consumare molto ossido di calcio. Per risparmiarlo, oltre che realizzare “stagni biologici coperti con magazzino calcareo verticale” (S.C.M.C.V.), dobbiamo intensificare la produzione foto sintetica di biomasse al coperto attraverso le “serre meccanizzate di produzione coperte verticali” (S.M.P.C.V.) e gli “stagni biologici facoltativi coperti verticali” (S.B.F.S.C.V.). Possiamo fare tutto insieme nei fabbricati sinergici verticali (F.S.V.). Abbiamo anche bisogno di evitare inutili e dannose combustioni, che producono altro CO2. Le combustioni ammissibili dovranno essere quelle necessarie a produrre energia da fonti rinnovabili. I cicli di recupero del calore e del CO2 devono continuare oltre la combustione per la produzione di biomasse che serviranno a produrre energia in un ciclo chiuso e infinito. Le scelte impiantistiche ambientali del passato remoto e recente hanno trascurato la chiusura del ciclo del carbonio. Si sono trascinate dietro uno sviluppo industriale ed energetico inquinante ed è diventato sempre più difficile riconoscere gli errori per riprendere il controllo della situazione. Sono stati investiti capitali enormi per produrre impianti e macchine, che in una logica di depurazione globale, non servono; concimi chimici che potrebbero essere sostituiti o integrati egregiamente da digestati disidratati e stabilizzati; energie pulite costose, che pur essendo utili, non partecipando al ciclo del carbonio, andrebbero ridimensionate nelle aspettative. Il solare e l’eolico, se guardiamo la tabella EPRI dei costi (cap. 21), riportata nelle pagine precedenti, sono estremamente costosi rispetto al ciclo a gas combinato (e lo saranno ancora di più con la depurcogenerazione coperta che, complessivamente, potrà raddoppiare gli attuali rendimenti). Ma le nuove energie sono appena nate e già scarseggiano gli elementi essenziali per la produzione dei componenti principali (tellurio, indio, gallio, neodimio, disprosio). Non può essere casuale, che i sistemi depurativi attuali, abbiano consumato, in oltre 100 anni, miliardi di miliardi di dollari e non sottraggono all’ambiente un grammo di CO2, anzi lo incrementano. Mentre i futuri depuratori, secondo il sottoscritto, saranno i protagonisti non solo nella riduzione del CO2 ma anche dell’alcalinizzazione delle acque oceaniche, del raddoppio del rendimento delle centrali termoelettriche, dell’incremento della produzione di biomasse, della lotta alla desertificazione, sia producendo compost, sia desalinizzando le acque marine, come descritto al cap. 30. Questa logica semplice e lineare dei processi depurativi ed energetici, legati indissolubilmente negli impianti globali, dovrebbe insegnare a chi governa l’ambiente quale sia la strada sostenibile da seguire. Nel 2013, di fronte al riscaldamento globale e alla crisi economica mondiale, dovrebbe essere logico fare il punto sullo stato dell’arte della protezione ambientale mondiale, eliminando il superfluo e concentrandosi soltanto sui sistemi sostenibili che possano ridurre l’addolcimento delle acque oceaniche e il riscaldamento del Pianeta. Ben vengano i pannelli solari (installati anche sulle coperture dei depuratori coperti) e le pale eoliche che ridurranno le emissioni di CO2 e calore, ma il contributo maggiore lo dovremmo aspettare dalla depurcogenerazione coperta globale, la sola che può contenere l’inquinamento atmosferico e acquatico, ma anche trasformarlo in energia pulita contenendo l’acidificazione oceanica che si sviluppa con leggi che superano di ben dieci volte i modelli matematici, pur esponenziali, predisposti dagli scienziati. Per quanto la depurcogenerazione coperta nei F.S.V. richieda grandi opere, occuperanno spazi circa quindicimila volte inferiori delle foreste che stanno scomparendo, ma saranno migliaia di volte più efficienti, chiudendo completamente il ciclo del carbonio, pur lasciandone sfuggire una parte per motivi di spazi e di costi. Non dobbiamo accontentarci del fatto che producendo e consumando biogas non aumentiamo complessivamente la percentuale di CO2 nell’ambiente. Dove ne abbiamo l’opportunità, dobbiamo consumare più CO2 di quanto ne produciamo. Con “la depurcogenerazione coperta globale”, come abbiamo visto, possiamo consumare combustibili fossili e produrre biogas, ma se producessimo e consumassimo soltanto biogas, ci metteremmo nelle condizioni di sottrarre in modo sostenibile all’ambiente più CO2 di quanto ne produciamo, per giunta depurando e alcalinizzando le acque. Questo vale molto di più di qualsiasi sistema C.C.S. e nel concetto di depurazione globale, va a vantaggio di altri ambienti industriali e urbani dove è più difficile e costoso sottrarre CO2.
L’evento azolla dimostra che possiamo sequestrare il CO2 anche con la sola fotosintesi, ma nel caso degli stagni biologici, dobbiamo evitare la morte dei fondali a causa dei sedimenti e nel caso della produzione intensiva di biomasse, dobbiamo evitare inquinamento delle falde acquifere, spostando fuori terra gran parte della produzione nei fabbricati sinergici verticali (F.S.V.) dove l’acqua potrà essere recuperata, depurata e reimpiegata. Come abbiamo visto, il basso rendimento della fotosintesi può essere incrementato nelle serre e l’azione depurativa degli stagni biologici facendo circolare meccanicamente dei cestelli con resine ionizzate. Quindi, a lungo andare, è pericoloso, per l’ambiente intensificare la produzione di piante acquatiche e terrestri, dove non può essere controllato l’inquinamento delle falde e dei fondali. Lasciamo lavorare in sicurezza i campi agricoli e intensifichiamo le produzioni fuori terra nei F.S.V.. Più grandi saranno i bacini e le serre, maggiore sarà la quantità di rocce immagazzinate, maggiore la superficie di contatto, maggiore sarà la quantità di carbonati trasportati agli oceani e di CO2 assorbito. Se necessario, anche nel bacino sottostante si potrà svolgere anche la fotosintesi assicurando una luce artificiale. Per la fotosintesi, sappiamo che dobbiamo garantire il ristagno dell’acqua superficiale affinché si avvicendino le colture di piante acquatiche, senza soluzione di continuità. Queste nascono e muoiono in cicli di dieci – quindici gg, consumando nutrienti e producendo fanghi che sarebbero estratti e trasferiti ai digestori anaerobici lineari (D.D.C.L.). Il CO2 contenuto negli S.C.M.C.V. non assorbito dai processi presenti, potrebbe essere richiamato insieme all’aria che lo contiene dagli stagni biologici facoltativi coperti verticali e dalle serre meccanizzate di produzione coperte verticali (S.B.F.S.C.V. – S.M.P.C.V) dove avverrà il grosso della depurazione delle acque e il grosso della produzione di biomasse energetiche, anche esse trasferite ai D.D.C.L., dove si concretizzerebbe il recupero del calore e del CO2 dei fumi in biogas senza inquinare l’ambiente. Per il dimensionamento di un D.C.P.T.C.G. della potenzialità di 320 MWh abbiamo parlato del fabbisogno di circa 94.098 kg/h di ossido di calcio che richiedono circa 240.000.000 L/h di acqua per essere assorbiti in modo razionale per l’ambiente, affinché, oltre a produrre energia pulita proteggiamo anche l’ambiente evitando l’acidificazione oceanica. I fautori dei palliativi ambientali attuali, avranno gioito pensando che questi impianti difficilmente si potranno realizzare. In molti casi non avremo le portate necessarie. Purtroppo è vero, in molti casi e in molti paesi potremmo trovarci in difficoltà per le carenze dell’uno o dell’altro o di entrambi. Ma gli oppositori silenziosi della depurazione globale, non potranno ugualmente gioire, perché addirittura possiamo desalinizzare l’acqua del mare e usarla in ricircolo (v. cap. 30). Supponiamo di avere a disposizione soltanto i 40.432.236 L/h dell’acqua di raffreddamento della centrale o meno della stessa (se l’acqua viene raffreddata con torri di raffreddamento e parzialmente recuperata. In questo caso l’impianto D.C.P.T.C.G, così come descritto e dimensionato, potrà essere realizzato ugualmente ma gestito diversamente. Essendo un impianto multifunzione: l’acqua e il calcio possono essere economizzati ricircolandoli nell’impianto riducendo la portata. Quindi, saremo costretti a rinunciare, parzialmente, all’importante funzione di trasportare carbonati verso il mare, ma ugualmente, con minori opere idrauliche, puliremo l’energia, aumenteremo i rendimenti produrremo energia supplementare, restando identiche tutte le altre funzioni.
Abbiamo visto che l’impianto è diviso in 20 sezioni perfettamente uguali che hanno i bacini di flusso dell’acqua da alcalinizzare (braa) collegati in parallelo. Il discorso sarebbe valido anche per un numero di sezioni inferiore. In assenza di risorse idriche e di calcio, collegando i bacini in serie e invertendo il senso del flusso quando si raggiunge la saturazione calcica nei bacini finali, potremmo lavorare ugualmente. Infatti, in assenza della portata di acqua necessaria a tenere in soluzione il CO2 e il calcio, la concentrazione di questo aumenta provocando la trasformazione del bicarbonato solubile in carbonato insolubile. Di conseguenza, estraendo i carbonati precipitati, l’acqua del bacino (braa) si addolcisce rapidamente, ripristinando di nuovo la capacità di assorbimento, sia del calcio sia del CO2, come descritto nei capitoli 15 (La carbonatazione a freddo delle rocce calcaree) e 17 (Anche i fumi possono costituire una risorsa ambientale). Con questo tipo di gestione, per lo meno per i bacini estremi, che saranno interessati a questo fenomeno, converrà recuperare il calcio precipitato, che essiccato, potrà produrre ossido di calcio con minori costi ed emissioni di CO2 di quanto avviene riscaldando le rocce. Come abbiamo detto, la grandissima parte delle impurità contenute nelle rocce originarie sarà stata trattenuta, nei cestelli pensili con doppio fondo filtrante. Naturalmente, le acque che usciranno dal D.C.P.T.C.G. saranno prelevate dai bacini (braa) centrali, che non avranno acque con valori di PH alterati.
29) I brevetti e disegni della D.C.P.T.C.G.
Per rendere maggiormente comprensibile quanto sopra esposto si allegano di seguito i seguenti disegni:
– Schema a blocchi dell’attuale ciclo del carbonio estratto dalla pubblicazione in rete: http://www.google.it/imgres?imgurl=http://www.co2club.it/UserFiles/image/itco2/ciclo%2520carbonio.
– Schema a blocchi del ciclo del carbonio antropico elaborato dal sottoscritto, comprendente le depurazione globale e l’energia protettiva dell’ambiente.
– N. 4 riassunti di depositi di brevetto nazionali (ancora nuovi, ma, al momento, umiliati).
– Schema di flusso impianto di depurcogeproduzione termoelettrica coperta globale D.C.P.T.C.G
– Sezione longitudinale D.C.P.T.C.G. sul settore D.D.C.L.
– Sezione trasversale impianto D.C.P.T.C.G. sui settori F.S.V. e D.D.C.L.
Si riporta di seguito una legenda alfabetica con il significato delle sigle riportate sui disegni.
Legenda: (aa) alimentaione acqua alcalina; (aalr) acqua lavaggio resine; (acf) arrivo collettore fognario; (ad) alimentaione acqua decarbonata (agf) agitatore fanghi; (bam) bilancella attrezzata motorizzata; (braa) bacino raccolta acqua da alcalinizzare; (brad) bacino raccolta acqua da depurare; (cbio) collettore biogas; (ci) compost insaccato; (cim) corpo idrico a monte; (civ) corpo idrico a valle; (C.T.E.bio) centrale termoelettrica alimentata con biogas; (C.R.D.bio) ciminiera di recupero e depurazione fumi combustibili biologici; (C.R.D.fos) ciminiera di recupero e depurazione fumi combustibili fossili; (cpcc) cestelli pensili calcarei carrellati; (cprc) cestelli pensili porta resine carrellati; (crp) canale raccolta pietre; (dg) digestore; (eva) elettroventilatore per aria; (evf) elettroventilatore per fumi; (ffct) filtrazione fumi centrale termica; (fcb) filtro a ciclone per biogas; (ftac) fascio tubiero acque calde; (gp) gru a ponte; (I.T.fos) impianto termico fossile; (mscb) montacarichi di smistamento cestelli e bilancelle; (ntm) nastro trasporto melme; (plv) pluviale; (ps) pannelli solari; (psa) pompa sollevamento acqua; (psac) pompa sollevamento acqua calda; (psf) pompa sollevamento fanghi; (pst) pannelli solari trasparenti; (sca) silo calce; (scmcv) stagno biologico e calcareo meccanizzato coperto verticale; (sbm) silo biomasse; (sbfscv) stagno biologico facoltativo successivo coperto verticale; (sbffcv) stagno biologico facoltativo finale coperto verticale; (scmcv) serra calcarea meccanizzata coperta verticale; (scaa) scambiatore di calore acqua acqua; (scaar) scambiatore di calore acqua aria; (scfa) scambiatore di calore fumi acqua; (scfv) scambiatore di calore fumi vapore; (scva) scambiatore di calore vapore acqua; (sfa) serbatoio di transito per fanghi da addensare; (smpcv) serra meccanizzata di produzione coperta verticale; (srea) serranda di regolazione entrata aria; (sif) serranda intercettazione fumi; (src) serbatoio raccolta condensa; (ssa) serbatoio soluzione anionica; (ssc) serbatoio soluzione cationica; (tlr) tunnel lavaggio resine; (tor) torcia; (tpbio) trasporto pneumatico biomasse; (tlfr) tunnel lavaggio finale resine; (tra) tunnel rigenerazione anionica; (trc) tunnel rigenerazione cationica; (trfa) tramoggia per fango addensato; (trcd) tramoggia di carico digestori; (trmc) tramoggia per massi calcarei; (trr) tunnel rigenerazione resine; (ua) uscita aria; (uta) unità di trattamento aria; (vas) vaschette per acqua di sfioro; (vsa) vano scale e ascensore; (vsd) valvola di scarico acqua depurata; (vrc) valvola di intercettazione acqua di ricircolo; (zcsbc) zona coperta smistamento bilancelle e cestelli.
Luigi Antonio Pezone